Il consolidamento del potere di Khomeini in Iran si accompagna con lo sfaldamento di tutte le strutture civili e militari volute da Reza Pahlavi, il cui desiderio era stato di occidentalizzare al più presto l’Iran, magari al prezzo di scorciatoie “levantine”.
L’Iran vede così il brusco stabilirsi di un fanatico integralismo che conduce a una vasta opera di epurazione.
Il fenomeno è particolarmente visibile nelle Forze Armate e l’aeronautica militare, il gioiello dello Scià, ne fa largamente le spese. Il risultato è l’indebolimento della difesa.
L’Iran si presenta dunque in un momento di grande difficoltà che incoraggia la cupidigia del dittatore iracheno Saddam Hussein, il quale si propone tre obiettivi: impedire con la forza delle armi all’Iran di imporre la sua influenza su tutto il mondo islamico; impadronirsi di alcuni ricchi giacimenti di petrolio siti in zone dell’Iran considerate di pertinenza irachena; umiliare l’avversario iraniano imponendo il cambiamento di nome al Golfo Persico per sostituirlo con quello di Golfo Arabo (va ricordato che gli iraniani sono islamici ma non arabi e che la Persia esiste da tempi immemorabili mentre l’Iraq è una invenzione del Novecento).
A maggio ’80 caccia iraniani colpiscono con missili aria-terra una petroliera saudita, rea di essere entrata nelle acque del Golfo Persico, considerate territoriali dall’Iran, e subito l’Iraq risponde affondando una nave greca diretta a un porto iraniano.
La tensione sale fino a che il 22 settembre l’Iraq muove le sue truppe oltre il confine, senza nemmeno prendersi il disturbo di comunicare a Teheran la dichiarazione di guerra.
Il 24 Saddam Hussein convoca una conferenza stampa e ai giornalisti di tutto il mondo dichiara che “la banda di estremisti fanatici andata al potere a Teheran ha i giorni contati. Il popolo iracheno ha deciso di riprendersi le terre arabe a occidente di Bassora e di aiutare gli iraniani a rovesciare il regime khomeinista. Questi obiettivi probabilmente saranno raggiunti entro la fine dell’anno”.
Tutti credono che l’Iran, in stato di evidente disgregazione, sarà messo in ginocchio in poche settimane, ma “per ogni situazione la rivoluzione islamica è la sola soluzione”, come suona uno slogan di Khomeini, il cui straordinario carisma infiamma tutto il Paese.
La “rivoluzione islamica” porta al macello masse di giovani, addirittura adolescenti, pasdaran che quasi letteralmente si gettano sulla punta delle baionette irachene. La strage, negli otto anni che durerà la guerra, risulterà di dimensioni enormi (si parlerà di un milione, un milione e mezzo di morti tra le due parti, di cui le vittime più numerose saranno iraniane),
Dopo gli iniziali successi di Saddam Hussein, la maggiore disponibilità iraniana di “carne da cannone” riesce a creare uno stallo. A un certo momento le sorti della guerra sembreranno capovolgersi e Saddam Hussein dovrà ricorrere all’uso di armi chimiche (che per buona misura userà anche contro le sue popolazioni curde) per evitare il peggio.
Ci vorranno otto anni per scrivere la parola “fine” a questo conflitto, le cui conseguenze, dirette e indirette, saranno devastanti.
La guerra Iraq-Iran coinvolge grandi interessi economici e politici. Gli Stati Uniti riforniscono di materiale bellico l’Iraq. L’Europa tende a non spezzare i vincoli con Teheran ed equamente aiuta entrambi i Paesi, così come fa, in misura più rilevante, l’Unione Sovietica.
Gli Stati Uniti, che (almeno in questo 1980) vedono correttamente nell’Iran di Khomeini il maggiore pericolo per gli equilibri mondiali e nel fanatismo islamico una minaccia per tutto l‘Occidente, e decidono quindi di appoggiare incondizionatamente Saddam Hussein.
(In questa luce appaiono ancora più gravi le responsabilità di Washington per aver voluto abbandonare lo Scià, al suo drammativo destino khomeinista).
Israele con la caduta di Reza Pahlavi ha perduto un alleato e un amico. E Khomeini non dimentica mai di citare Israele tra i piccoli “Satana” satelliti del grande Satana americano (e l’altro piccolo Satana è, nemmeno a dirsi, Saddam Hussein).
Stretto tra Scilla (Khomeini) e Cariddi (Saddam Hussein), Israele, contrariamente agli USA, teme in questo momento più il secondo del primo: da anni denuncia l’aspirazione dell’Iraq a diventare il paese-guida del modo arabo e la conseguente corsa irachena all’arma nucleare. Sa quindi che il maggior pericolo viene ora da quella parte. E paradossalmente anche Israele, come la Siria (che sua amica proprio non è), finisce per aiutare sottobanco l’altro nemico, l’Iran.
E’ dalla metà degli anni Settanta che Baghdad si equipaggia freneticamente di materiale bellico sofisticato, e l’Europa non si fa indietro per rifornirglielo. L’affare infatti è allettante.
Se l’Italia vende a Saddam tre fregate lancia-missili (che però dovranno restare a bagnomaria alla Spezia perché troppo visibili per poter fargliele pervenire di nascosto all’inizio delle ostilità con l’Iran), l’Iraq importa dall’Europa armi, tra cui elementi, letteralmente contrabbandati, atti a dare l’avvio al nucleare (non sempre però questi rifornimenti clandestini vanno a buon fine e quando un “viaggio” viene scoperto emergerà la clamorosa correità di diversi paesi europei). Il business si calcola in oltre cinquanta miliardi di dollari (di allora), mentre il grosso – carri armati, aerei, artiglieria – è fornito dall’URSS.
La Gran Bretagna e l’Olanda provvedono a rifornire congegni elettronici e sistemi di comunicazione, la Francia 133 cacciabombardieri, i Mirage F1, 140 elicotteri da combattimento, ventimila missili anticarro. Un business colossale. Anche gli Stati Uniti riforniscono abbondantemente l’Iraq di mezzi militari. L’Unione Sovietica dal canto suo è equa fornitrice degli uni e degli altri, così l’affare è duplice.
Nel frattempo continua senza sosta la guerra civile libanese iniziata nel 1975 (si concluderà nel 1990). Il Libano, che era chiamato la Svizzera del Medio Oriente, è un campo di battaglia, dove i cristiani libanesi finiranno per soccombere sotto gli occhi disattenti di Europa e America, mentre il Vaticano sceglie la strada della prudenza nel tentativo (che si dimostrerà vano, come è già facile prevedere) di non danneggiare le comunità cattoliche nei vari paesi musulmani. Dal Libano si registra un ininterrotto esodo di cristiani che non credono più ai miracoli.
Luciano Tas