Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Ferrari, Di Caro, Nicastro, Battistini, Frattini, Fubini Cronache e analisi
Testata: Corriere della Sera Data: 31 dicembre 2008 Pagina: 1 Autore: Ferrari, Di Caro, Nicastro, Battistini, Frattini, Fubini Titolo: «Vari»
Sul CORRIERE della SERA di oggi, 31/12/2008, una serie di servizi sulla guerra di Israele contro Hamas. L'editoriale di Antonio Ferrari, che lamenta l'assenza del ministro degli esteri Frattini al summit di Parigi. Che era certamente più importante delle relazione in Commissione esteri della Camera, dove pelaltro, se non vi si fosse recato, avrebbe provocato le proteste dell'opposizione. La cronaca della seduta è di Paola Di Caro che riportiamo. Segue la cronaca del summit di Parigi di Andrea Nicastro. Da Gerusalemme la decisione in favore di una tregua di 48 ore è commentata da Francesco Battistini, mentre Davide Frattini racconta i missili Kassam che colpiscono le città israeliane. Federico Fubini intervista Moises Naim, direttore di "Foreign Policy". Li riportiamo nell'ordine:
Antonio Ferrari: " Il tentativo dell'Unione"
Forse è un miracolo, perché una volta tanto potrebbe succedere che l'Europa riesca ad ottenere un importante risultato politico in Medio Oriente, magari approfittando della transizione americana dovuta al passaggio dei poteri tra Bush e Obama, che si insedierà il 20 gennaio. Se accadesse davvero, bisognerebbe ringraziare il decisionismo del presidente francese Nicolas Sarkozy.
Che ieri, nell'ultimo vertice ministeriale della sua presidenza europea, potrebbe essere riuscito a ottenere un cessate il fuoco, seppur limitatissimo, nella guerra che contrappone gli estremisti islamici palestinesi di Hamas allo stato di Israele. La visita che il ministro degli Esteri Tzipi Livni farà a Parigi nei prossimi giorni potrebbe garantire il sigillo sulla temporanea interruzione del conflitto. È d'accordo, sulla tregua-lampo, il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, che pur essendo il militare più decorato di Israele è assai scettico sull'efficacia di un' invasione terrestre, e non sarebbe contrario neppure il dimissionario premier Ehud Olmert. Ma lo stato ebraico si vedrebbe costretto a decidere mentre missili, ben più velenosi e a lunga gittata dei rudimentali Qassam, hanno raggiunto persino la città di Beersheva, che dista quasi quaranta chilometri dai confini di Gaza. Cessate il fuoco forse possibile, grazie alla reattività di Parigi, all'impegno dell' Europa e alla disponibilità di Israele. Diciamo subito che l'Italia ha partecipato al vertice voluto da Sarkozy non con il ministro degli Esteri Franco Frattini, ma con un sottosegretario. Frattini ha molte giustificazioni, perché ieri doveva tenere la sua relazione alle commissioni Esteri della Camera e del Senato. E chi ne ha seguiti i lavori, ha colto appieno il puntiglio del capo della nostra diplomazia, non tanto quando ha spiegato la posizione del governo italiano, ma quando ha illustrato quella dei più importanti interlocutori della regione, con i quali aveva parlato. Tutto bene. Ma una presenza a Parigi avrebbe giovato all'immagine del nostro Paese impegnato più di altri ad offrire il proprio contributo per risolvere la gravissima crisi di Gaza.
Paola Di Caro - " Frattini: E' Hamas il problema . Critiche per l'assenza al vertice "
ROMA — È stata la «sconsiderata » scelta di Hamas di alzare il tiro per «rinegoziare un accordo a suo favore» a provocare la reazione di Israele e la drammatica escalation che insanguina Gaza. È questo il giudizio del governo italiano espresso da Franco Frattini, ieri presente a Palazzo Madama per un'audizione davanti alle commissioni Esteri di Camera e Senato. Il capo della Farnesina, che ha disertato il vertice dei ministri degli Esteri Ue a Parigi provocando qualche polemica (secondo il socialista Bobo Craxi si tratta di un «brutto segnale ») acuita anche dalla sua scelta di lunedì scorso di farsi intervistare dal Tg1 in tuta da sci, ha spiegato la sua assenza dal summit con la convinzione che lì «non si dovevano prendere decisioni nè approvare risoluzioni» e «sfortunatamente — ha ironizzato — non ho il dono dell'ubiquità: quello che mi interessa è la sostanza ». Alle commissioni, Frattini ha illustrato i passi diplomatici nei quali è impegnato il nostro Paese, primo fra tutti il lavoro congiunto assieme alla Francia per una risoluzione da presentare in Consiglio di Sicurezza Onu in cui si chiede il «cessate il fuoco immediato, la ripresa dei flussi umanitari, il dispiegamento di osservatori internazionali e la presenza europea sul territorio». Ma se la sostanza dell'azione dell'esecutivo, che consiste anche nel sostenere gli sforzi dell'Egitto per una mediazione tra le parti in causa e quelli contestuali della Lega araba che terrà oggi una sua importante sessione nella convinzione che «Israele non ha intenzione di passare all'attacco di terra», ottengono l'approvazione unanime del Parlamento, sull'analisi delle responsabilità del conflitto e sul ruolo di Hamas lo scontro è forte. Ad alimentarlo è soprattutto Massimo D'Alema, che al suo successore alla Farnesina rimprovera «considerazioni contraddittorie» e una certa «ambiguità», perché «è difficile avallare l'azione israeliana e, contemporaneamente, sostenere l'operato egiziano che, di fatto, punta a un confronto con Hamas», una forza politica certo «estremista» che «purtroppo esce rafforzata » da questa crisi ma che comunque, se si vuole che il processo di pace riprenda, deve avere «un certo coinvolgimento » nei negoziati perché «è stata votata in libere elezioni da metà del popolo palestinese» e non può essere eliminata con le armi «a meno di non voler uccidere decine di migliaia di persone...». Di più. Secondo l'ex premier, può e deve essere definita «sproporzionata» la reazione di Israele alle provocazioni a suon di missili di Hamas «e queste cose le dice anche Sarkozy: io sostengo le posizioni dell'Unione Europea, anche se questo in Italia significa essere considerato un estremista... », dice D'Alema mostrando ai giornalisti una copia di Le Monde e insistendo sull'errore di una reazione armata che «come già avvenne in Libano» sta appunto «rafforzando l'estremismo e indebolendo Abu Mazen». A D'Alema replica seccamente e duramente lo stesso Frattini: «Credo che attualmente Hamas sia parte del problema, non parte della soluzione » perché è «una organizzazione estremista che ha violato la tregua», e con lui si schiera tutto il Pdl, che accusa l'ex premier, per dirlo con Isabella Bertolini, di «amoreggiare con i terroristi»: «È grave l'apertura di D'Alema ad Hamas », protesta Maurizio Gasparri, con l'ex ministro Antonio Martino che osserva come «nello statuto di Hamas c'è l'uccisione di tutti gli ebrei e, su queste basi, il dialogo è impossibile: non si possono mettere gli anti-semiti sullo stesso piano della democrazia». Ma anche nel Pd le considerazioni di D'Alema creano qualche imbarazzo, se è vero che il ministro ombra Piero Fassino, pure presente in commissione, provvede subito a smussare e «correggere» le parole del collega: «Il nodo del problema — dice — è proprio Hamas, che ha un consenso elettorale ma che, negando a Israele il diritto di esistere, nega le precondizioni per un processo di pace. Il vero problema è come si supera questa contraddizione».
Andrea Nicastro: " L'Europa scende in campo, cessate il fuoco immediatamente "
PARIGI — L'Europa si mette in prima fila nel tentativo di fermare la guerra a Gaza. Ieri, quarto giorno di bombardamenti israeliani su Gaza, la diplomazia internazionale è restata ancora a livello di appelli senza ventilare l'ipotesi di sanzioni. L'Europa, però, è arrivata ad offrire una missione per verificare il rispetto dell'eventuale tregua. In due ore di vertice a Parigi, i ministri dei 27 hanno sposato la linea francese e chiesto un «cessate il fuoco permanente». Il Quartetto (Usa, Russia, Onu e la stessa Ue) ha variato di poco il vocabolario domandando una «tregua immediata da rispettare appieno». Il nostro sottosegretario agli Esteri, Vincenzo Scotti, ha spiegato che la proposta europea è articolata in quattro punti. Il cessate il fuoco e l'apertura dei valichi per ragioni umanitarie. Poi la ripresa dei negoziati e la disponibilità al monitoraggio della tregua. Non dovrebbe essere troppo difficile per Israele accontentare gli europei almeno per quanto riguarda l'accesso degli aiuti umanitari. Lunedì avevano avuto il permesso di entrare a Gaza 63 camion, ieri 90 più 5 ambulanze. Più complesso, invece, ottenere da Israele allo stop ai bombardieri. In mattinata il premier Ehud Olmert era stato esplicito: «Ad Israele non serve in questo momento una tregua, darebbe solo ad Hamas la possibilità di riorganizzarsi ». Per tutti il problema è anche rivolgersi ad uno solo dei protag onisti sul campo, Israele, dal momento che Hamas è qualificato come organizzazione terroristica e non può quindi essere ufficialmente un interlocutore. I contatti avvengono attraverso l'Egitto e l'Autorità palestinese che governa in Cisgiordania, ma non a Gaza. Ed Israele, ovviamente, pretende garanzie da Hamas prima di fermarsi. Ieri telefonate anche da Washington al presidente palestinese Abu Mazen e al leader egiziano Hosni Mubarak. Ma il più dinamico è parso il francese Nicolas Sarkozy a dispetto della fine, il 31 dicembre, dei sei mesi di presidenza europea. Per il 1˚ gennaio è attesa a Parigi il ministro degli Esteri d'Israele Tzipi Livni. E per lunedì 5, la stampa di Tel Aviv parla addirittura di un viaggio di Sarkozy a Gerusalemme. I tempi della diplomazia e quelli della guerra potrebbero a quel punto essere entrambi maturi.
Francesco Battistini- " Israele considera una tregua, ma siamo solo all'inizio "
GERUSALEMME - Giù le bandiere. Niente veglioni. Il Capodanno a Gaza e in Cisgiordania non porterà feste di mezzanotte (così ha deciso l'Autorità palestinese) e neppure una mezza pace: forse una tregua, dopo il travagliato vertice di governo convocato ieri sera a Gerusalemme e durato fino a tarda notte, con un'apparente apertura al piano d'emergenza presentato dalla Francia. Sei occhi a guardarsi — il premier Ehud Olmert, i ministri di Esteri e Difesa, Tzipi Livni ed Ehud Barak —, cinque ore a discutere sulla proposta di Sarkozy e Kouchner: 48 ore di stop ai bombardamenti, una «tregua permanente», il necessario per ridare fiato alla Striscia, portar fuori tutti i feriti, ma soprattutto dare un'estrema chance a Hamas. L'ipotesi non dispiace a Barak, che fino all'ultimo voleva evitare la guerra e ora è il primo a dirsi «favorevole» alla tregua. Più incerta la Livni, che domani sarà a Parigi e lunedì riceverà il presidente francese. Tutt'e tre i ministri, comunque, d'accordo su una cosa: al primo razzo sparato da Gaza, parte l'attacco di terra. Il quarto giorno, il piombo fonde un po' meno. Ma è solo un'impressione. E' la fine della prima fase. «L'offensiva è appena iniziata», avverte in mattinata Olmert. Probabilmente, siamo alla prima svolta: quattro giorni martellanti dal cielo, quel che serviva a stordire Hamas, quel che ieri non ha salvato nemmeno due sorelline di 4 e 11 anni. Nel massacro di questi giorni sono state usate bombe speciali, del migliaio comprato dalla Boeing in settembre, dopo il via libera ottenuto dal Congresso americano. Si chiamano Sdb Gbu-39. Piccole e leggere, le montano i caccia F-16 e cadono da più di duemila metri, una quota di sicurezza per i piloti. Sono devastanti, arrivano fino a 15 metri sottoterra, scavano come talpe e «cercano» l'obbiettivo in profondità, prima d'esplodere: lunedì, in quattro minuti sono stati distrutti 40 tunnel. I raid aerei rallentano, ma non finiscono, e il target è sempre il Corridoio Filadelfi, striscia nella Striscia, 12 chilometri che portano verso l'Egitto e nascondono decine di gallerie scavate nell'ultimo anno e mezzo. Colpire lì, non presenta particolari problemi, visto che il presidente egiziano Mubarak («il nostro peggior nemico dopo Israele», dice Hamas) ha vietato l'apertura del valico finché a Gaza non torneranno a governare i moderati di Abu Mazen: cioè mai. E ora? La tregua è una probabilità che non spiazza i militari. «Un'eventuale sospensione delle ostilità non c'impedisce di preparare un'offensiva via terra», spiega un collaboratore di Barak. Perché Hamas non dà segno di placarsi. Non ha usato la contraerea, se ce l'ha, e per ora punta soprattutto sui Grad, i razzi rinforzati, capaci d'arrivare dove non arrivano i Qassam: per la prima volta, ieri sera, una testata è caduta a Beer Sheva, la città sulla strada che porta i turisti al Mar Rosso di Eilat. I razzi arrivano ormai con una certa regolarità anche su Ashkelon, il secondo porto d'Israele, che sta solo a 40 chilometri da Tel Aviv. O addirittura sulle città beduine, nel Negev orientale, a quasi sessanta chilometri dalla Striscia. Le prove di dialogo, a fine anno, devono fare i conti con questi botti. «Voi in Occidente non capite che pericolo sia Hamas », spiega Avi Pazner, già ambasciatore israeliano a Roma, ora portavoce «speciale» del governo: «E in Italia siete ancora più distratti: certi leader della vostra sinistra finiscono per difendere un'ideologia fascista da "viva la muer-te!", di gente pronta a tutto». La prova? «Le leggo questo sermone mandato in onda dalla tv di Hamas lo scorso aprile: "Presto conquisteremo Roma, la capitale dei cattolici, la capitale crociata che ha dichiarato guerra all'Islam. Roma sarà un avamposto che porterà alla conquista islamica dell'Europa!". Le sembra un interlocutore, uno che parla così?»
Davide Frattini - " Razzi kassam tra aranci e ulivi, i bunker dei tiratori di Hamas "
GERUSALEMME — Gli «agricoltori» di Hamas hanno usato i mesi della tregua per coltivare i loro campi. Buche profonde tra gli ulivi e gli alberi d'arancio, coperte da un tettoia di legno o di lamiera. Dentro, i frutti che il movimento fondamentalista ha accumulato negli arsenali: razzi. I miliziani comprano i piccoli appezzamenti o chiedono il permesso ai proprietari. Scavano i bunker e piazzano i Qassam, comandati anche a distanza con un telefonino: il cellulare squilla ed è come pigiare sul detonatore. E' così che hanno imparato dagli Hezbollah, è così che ha ordinato Ahmed Said Jaabari, il comandante delle Brigate Ezzedin Al Qassam, di fatto il capo di stato maggiore delle forze palestinesi. Voci da Gaza, riprese dal quotidiano Jerusalem Post, dicono che sarebbe morto in un attacco alla moschea dove andava a pregare. E' lui che ha studiato le lezioni della guerra in Libano e che ha spinto perché i missili diventassero la nuova arma strategica dell'organizzazione integralista. Un terzo dei razzi accumulati da Hamas — stimano i servizi segreti israeliani — sarebbe andato distrutto nei bombardamenti. Quel che rimane — almeno duemila proiettili — continua a cadere sulle città attorno alla Striscia: 43 Qassam, 17 Grad e colpi di mortaio è il bilancio di ieri. Novanta è il totale del giorno prima. Dal 2001, ne sono stati lanciati 10.048, un numero che continua a salire durante questa offensiva. «I miliziani vogliono sparare a ogni costo — commenta Alex Fishman, analista militare di Yedioth Ahronoth —, devono dimostrare di non essere demoralizzati. Presto tenteranno un attacco contro le truppe stazionate attorno al confine. Per ora, tirano fuori qualche arma-sorpresa». Come il missile che ieri è caduto dalle parti di Beersheva, a una quarantina di chilometri dalla Striscia, nuovo record di distanza (verso est). Sarebbe uno dei Grad prodotti dal-l'Iran, razzi-lego che vengono smontati in quattro pezzi, facili da trasportare attraverso i tunnel alla frontiera con l'Egitto. «Hamas sta dimostrando la sua ostinazione — scrive Ben Caspit su Maariv —. Come ogni altra strategia preparata a Gaza, anche questa vuole emulare gli Hezbollah. Il messaggio è semplice: ci avete colpiti all'inizio, siamo ancora qui, ancora al potere, non ci spezzerete, conserviamo le forze in silenzio». Quando parlano dai nascondigli sotterranei, i portavoce del movimento invocano un'invasione di terra. Nei giochi di guerra, l'esercito israeliano ha provato a vaticinare quali trappole aspettarsi, se le truppe dovessero combattere per le vie di Gaza. Hamas cercherebbe di ottenere un rapido ritiro per proclamare vittoria — sostengono i pianificatori dello Stato maggiore. Ha minato le strade, ha pronti i kamikaze e appostati i cecchini. Proverebbe ad attirare le truppe di Tsahal dentro ai villaggi e campi profughi, dove i soldati non avrebbero l'appoggio dei mezzi corazzati. Nei diciotto mesi da quando ha preso il controllo della Striscia, ha potuto contrabbandare attraverso i tunnel armi anticarro sofisticate. Anche questi preparativi sono l'eredità — se fosse davvero morto — di Jaabari. Chiamato «il sovrano di Gaza», ha tre mogli, una di loro è la figlia di Abdel Aziz Rantisi, il successore dello sceicco Yassin, tutti e due uccisi dagli israeliani nel 2004. Ha sempre vissuto in clandestinità e si è costruito un circolo protetto, fatto di legami ideologici e di sangue. Il primogenito ha sposato la figlia di Salah Shehade, il fondatore delle Brigate Ezzedin Al Qassam. A lui Jaabari ha intitolato l'accademia militare dove ha addestrato l'esercito di Hamas. Quei miliziani fondamentalisti che in questi giorni girano in abiti civili, mentre aspettano i soldati israeliani.
Federico Fubini - " I Palestinesi vittime di un cinico gioco mediorientale ".
Moisés Naím è già passato di qui. I missili da Gaza sulle città israeliane, la risposta dello Stato ebraico, il gioco delle parti delle reazioni e dei silenzi dei governi in tutto il mondo: l'economista e direttore di Foreign Policy, l'ex ministro venezuelano che lanciò le riforme poi spazzate via da Hugo Chávez, vive un'intensa sensazione di «déjà vu». Già viste le ipocrisie degli europei che, accusa Naím, tacciono o parlano come se uno Stato democratico non avesse diritto a difendersi. Già vista soprattutto la tecnica della «proxy war», la guerra tramite intermediari, dove il peso dell'Iran nel Medio Oriente diventa una posta alla quale i cinici di tutte le sponde sacrificano il destino dei palestinesi. È troppo immaginare che i Paesi arabi moderati seguano in parte con favore la reazione di Israele contro Hamas? «Non è difficile sospettarlo. Tutto comincia con il fatto che arriviamo da quasi sei anni di instabilità in Iraq e proprio lì l'Iran ha potuto accrescere l'importanza del suo ruolo. L'ascesa di Teheran è uno dei risultati più evidenti di otto anni di politica estera dell'amministrazione di George W. Bush». Cos'ha a che vedere tutto questo con la crisi di Gaza di questi giorni? «A partire dall'Iraq, l'Iran ha guadagnato in Medio Oriente un peso che non aveva mai avuto prima e ora ha iniziato svilupparsi come potenza nucleare, ha potenziato Hamas fra i palestinesi così come ha fatto con Hezbollah in Libano. Oggi l'Iran influenza ogni Paese in Medio Oriente». Per questo agli arabi moderati non dispiacerebbe un ridimensionamento anche militare di Hamas a Gaza? «Resta da vedere chi sarà nei prossimi anni la principale potenza islamica in Medio Oriente. È questa la posta in gioco per molti nella regione, in questi giorni di crisi a Gaza. Così assistiamo una ricorrenza storica, l'utilizzazione ancora una volta dei palestinesi come pedina di un confronto fra potenze regionali». Sta parlando di «proxy war», guerra per interposta persona? «Ciò a cui assistiamo è un'esplosione di violenza fra due parti che nella pratica sono surrogati di uno scontro di potere fra altri protagonisti. Ricordiamoci che lo stesso fronte palestinese è fratturato, chi si identifica con Fatah non si sente certo rappresentato da Hamas». Che impatto avranno gli scontri di questi giorni sugli equilibri politici interni all'autorità palestinese? «Presto per dirlo, gli eventi si stanno ancora svolgendo. Ma è già chiarissimo che questo non è solo uno scontro fra Israele e una parte palestinese: c'è una dinamica di concorrenza che coinvolge Paesi moderati come l'Egitto o la Giordania, ma anche altri come la Siria e l'Iran». Ridimensionato a Gaza, impoverito dal crollo del petrolio: l'Iran è entrato in una fase di declino? «È possibile ipotizzare un ridimensionamento. Ma tutto questo appartiene a una categoria di analisi del 2009 che va aldilà dell'Iran ed è la grande storia dell'anno prossimo: vedremo molti esempi di un'unica tendenza, le conseguenze del petrolio a basso prezzo e della crisi finanziaria globale. La caduta del prezzo del barile avrà un impatto sull'Iran, ma anche sul Venezuela, in Russia, in Pachistan, in Cina, India, Indonesia e Turchia. Tutto dipende dal prezzo del greggio al quale i produttori riusciranno a pareggiare i loro bilanci pubblici». Non trova ipocrite le parole degli europei sull'uso della forza «sproporzionato » da parte di Israele, dopo mesi di silenzio? «Sono d'accordo. Basterebbe chiedere ai cittadini europei cosa penserebbero di un governo francese, tedesco o britannico che tollerasse che un giorno sì e l'altro no un altro Paese lanci dei razzi sul suo territorio. È qualcosa che neanche un sistema politico democratico può sopportare».
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