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Il Foglio Rassegna Stampa
31.12.2008 Da Gerusalemme, Il Cairo e Bruxelles a che punto siamo
e gli elogi meritati a Angela Merkel

Testata: Il Foglio
Data: 31 dicembre 2008
Pagina: 1
Autore: Vari
Titolo: «L'impazienza del Piombo - L'Angela di Gerusalemme»

Sul FOGLIO di oggi, 31/12/2008, a pag. 1 e 3, da Gerusalemme, Cairo e Bruxelles le analisi sulla guerra contro Hamas. Segue un editoriale sulle dichiarazioni da Angela Merkel.

" L'impazienza del piombo " il Gabinetto di guerra favorevole a 48 ore di tyregua a Gaza. Qualunque sia la scelta, ora la frtetta è la migliore consigliera del governo e di Ashkenazi. Hamas spera di attirare l'esercito nella trappola della guerriglia urbana.

Gerusalemme. Israele prosegue i raid aerei contro gli obiettivi di Hamas nella Striscia di Gaza ma non procede ancora con le operazioni di terra. Il capo dell’esercito, Gabi Ashkenazi, crede che l’Idf – Israel defence force – debba entrare nei Territori il meno possibile. Serve una guerra lampo ed efficace, bisogna convincere i miliziani di Khaled Meshaal a lasciare le armi ma senza occupare la Palestina. Il premier, Ehud Olmert, e il ministro della Difesa, Ehud Barak, sono sulla stessa linea ma quest’ultimo si è dichiarato favorevole a una tregua di 48 ore. Al quarto giorno dall’inizio dei combattimenti, Hamas ritrova la forza necessaria per colpire Israele. Negli ultimi due giorni le milizie islamiche hanno lanciato più di cento razzi sulle città del Negev, uccidendo tre persone e ferendone almeno quaranta. Ieri un missile Grad ha raggiunto il villaggio di Kiryat Malachi, a trenta chilometri da Gaza, mentre un Qassam è caduto in una zona disabitata alla periferia di Rahat. E’ la prima volta che Hamas riesce a colpire così lontano. La reazione non ha sorpreso i vertici dell’esercito di Gerusalemme. Ashkenazi prepara lo scenario dello scontro da sei mesi; una settimana prima che l’operazione Piombo fuso prendesse il via, i servizi segreti hanno diffuso un dossier sulle nuove armi, più potenti, dei miliziani palestinesi. L’ultimo lancio di razzi non mette in allarme la Difesa, ma avvicina il governo alla decisione più importante della campagna: quella sull’eventuale sull’eventuale attacco via terra. Alcuni commando di specialisti sarebbero già al lavoro nei Territori, due divisioni dell’esercito sono pronte a partire. Olmert e Barak vorrebbero ottenere la resa di Hamas senza entrare a Gaza con i carriarmati. Israele rifiuta il dialogo ufficiale, ma le trattative proseguono a livello indiretto. I possibili mediatori, però, sono lontani dallo scontro. Nessun inviato europeo è in viaggio per il medio oriente, il Cremlino tace, il futuro presidente americano, Barack Obama, è ancora alla finestra. Ashkenazi sa che i raid aerei potrebbero rivelarsi insufficienti. Da quasi due anni allena i suoi uomini alla guerriglia urbana, ma ritiene che l’intervento delle unità di terra, se ci sarà, dovrà essere rapido e definitivo – anche Hamas, dopotutto, aspetta lo scontro nel fango di Gaza. Sinora i modelli di previsione del generale si sono rivelati corretti: scarso interesse del mondo arabo, poche proteste della comunità internazionale, risveglio dei miliziani organizzati dopo lo shock dei primi raid. C’è un altro elemento che costringe il governo israeliano a muoversi per tempo. Fra meno di due mesi il paese andrà al voto per scegliere il nuovo esecutivo. La popolarità di Barak è in salita insieme con quella del suo partito, il Labour, ma anche Olmert ottiene risultati positivi. Per il momento, il presidente del Likud, Benjamin Netanyahu, resta sullo sfondo. Il vero vincitore, però, sarà quello che riuscirà a ottenere la pace migliore e più veloce.

" L' ariete dell' Iran e il muro egiziano ", Teheran allo scontro con Riad e il cairo per spaccare la Lega araba.

Il Cairo. Hosni Mubarak è stato tanto chiaro contro Hamas quanto ambiguo, al solito, nei confronti del mondo arabo, ma ha confermato la sua svolta epocale: l’Egitto ha deciso di eliminare da Gaza l’estremismo palestinese. Perduti 27 anni in una miope politica di bilancino nel timore di fare la fine del suo predecessore Sadat, ucciso perché aveva scelto di allearsi con Israele contro l’estremismo dell’Olp di Arafat firmando gli accordi di Camp David del 1979, oggi Mubarak ne riprende esattamente la strategia. La frase chiave che ha pronunciato per rispondere alle accuse arabe di complicità con Israele è criptica, ma ha immense conseguenze politiche: “Non possiamo aprire il valico di Rafah in assenza di un’autorità palestinese e degli osservatori europei perché violeremmo gli accordi internazionali da noi sottoscritti”. In chiaro: fino a quando a Gaza non sarà restaurata l’autorità della Anp di Abu Mazen, la frontiera con l’Egitto sarà chiusa e Hamas sarà in un cul de sac, vittima del fuoco israeliano. Conferma più chiara alle voci su un via libera egiziano ai raid israeliani concordato al Cairo con Tzipi Livni, non poteva esserci. Il problema è che ora Mubarak è costretto a riprendere la saggia linea di Sadat di rottura con l’estremismo palestinese, essenzialmente perché la sua linea ha fatto crescere a dismisura l’estremismo islamico dentro l’Egitto. Hamas è la sezione palestinese dei Fratelli Musulmani e oggi Mubarak opera perché venga colpita a morte da Israele con due obbiettivi: dimostrare all’opinione pubblica egiziana che la avventurosa leadership della Fratellanza Musulmana (che sarebbe il primo partito nel paese, se vi fosse la democrazia) porta solo a sciagure e imporre, in una logica emergenziale, la leadership unica di un Abu Mazen che dal 9 gennaio decadrà dal ruolo legittimo di presidente della Anp. Esattamente come accadde a Sadat, Mubarak avrà ora una Lega araba ostile, ma non proprio come nel 1979, quando espulse l’Egitto dalla “comune patria araba”. La bandiera palestinese di Hamas, è oggi agitata con successo nella umma musulmana innanzitutto dall’Iran e Egitto e Arabia saudita sanno bene che i suoi progetti atomici sono diretti contro di loro, oltre che contro Israele. Riad e il Cairo andranno dunque allo scontro nella Lega araba e avranno la sorpresa di vedere un fronte a loro avverso, egemonizzato dall’Iran, tramite il Libano controllato da Hezbollah. L’avere dato spazio all’Iran dentro la Lega araba è una delle conseguenze paradossali della trentennale linea irresponsabile dell’Egitto e dall’Arabia Saudita, regimi in crisi.

" L'Europa futile e le grandi eccezioni ", Da Parigi l' Ue chiede il cessate il fuoco. Praga e Berlino durissime.

Bruxelles. Il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, ieri ha proposto un “cessate il fuoco umanitario” di 48 ore nel conflitto Israele-Hamas e, secondo Yedioth Ahronoth, una parte dell'establishment di sicurezza israeliana ha consigliato al premier Ehud Olmert di accettare. Senza fare i conti con la risposta di Hamas, dal Vertice dei ministri degli Esteri europei a Parigi è arrivato lo stesso messaggio. Prima di andare a cena, l’Unione europea era sul punto di chiedere un “cessate il fuoco”, assortito dalla disponibilità di ripristinare la missione di osservazione al valico di Rafah e di aumentare gli aiuti umanitari per la popolazione civile. Ma non ci sono “né decisioni né risoluzioni”, ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, che non era a Parigi, ma ha preannunciato un’iniziativa franco-italiana al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Il vertice, convocato d’urgenza appena prima di passare la presidenza dell’Ue alla Repubblica ceca, è un tentativo della Francia di mantenere la leadership sui Ventisette, proponendosi come mediatore con la stessa strategia seguita nel conflitto tra Russia e Georgia. Oltre al cessate il fuoco, i francesi pensano a “un meccanismo di osservatori internazionali per garantire il rispetto della tregua”, ha spiegato Frattini, senza escludere una missione civile o militare nell’ambito della Politica europea di sicurezza e difesa, analoga a quella in Georgia. I Ventisette, però, sono divisi. Se il presidente francese Nicolas Sarkozy ha definito i raid israeliani “uso sproporzionato della forza” e il premier britannico Gordon Brown è “profondamente preoccupato”, la cancelliera tedesca Angela Merkel non poteva poteva essere più chiara sul “diritto legittimo” di Israele di difendersi. La responsabilità è “chiaramente e esclusivamente” di Hamas, ha detto Merkel. Alcune capitali europee vorrebbero che Israele portasse a termine il lavoro sporco. L’impotenza dell’Ue è anche frutto dell’ambiguità con cui ha affrontato la questione Hamas nei diciotto mesi seguiti al suo colpo di forza su Gaza. L’Ue non ha mai voluto isolare completamente il movimento islamista, che è iscritto nella sua lista delle organizzazioni terroriste. I servizi segreti di diversi paesi hanno mantenuto contatti informali. Soprattutto, l’Ue ha rifornito la Striscia di una montagna di aiuti (40 milioni di euro “umanitari”), che hanno facilitato la sopravvivenza politica di Hamas. Ancora oggi Javier Solana, capo della diplomazia Ue, ritiene che “i bombardamenti israeliani stanno infliggendo un costo inaccettabile ai civili palestinesi”. Ieri la Commissione ha chiesto a Israele di “aprire uno spazio umanitario”. A giudicare dalle parole, la prossima presidenza ceca dell’Ue sarà tutt’altro che equidistante. “Dobbiamo capire una cosa: Hamas ha aumentato significativamente il numero di razzi sparati contro Israele dalla fine della tregua il 19 dicembre. Questo non è più accettabile” e Israele ha il diritto di difendersi, ha detto il ministro degli Esteri della Repubblica ceca, Karel Schwarzenberg. Per Praga, Hamas si è auto-escluso da un serio dibattito politico e, installando le sue basi e i depositi d’armi in zone densamente popolate della Striscia, è il responsabile della morte dei civili palestinesi.

" L'Angela custode di Gerusalemme ", La Merkel inchioda Hamas e delegittima gli euroballetti su Gaza. Brava

La responsabilità della crisi che ha portato alle operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza è “unicamente ed esclusivamente” di Hamas. Lo dice con estrema chiarezza Angela Merkel, che schierando la Germania con Israele annichilisce sul nascere i tradizionali tentativi dell’eurocrazia di dare un colpo al cerchio e uno alla botte. D’altra parte è stato propio l’annacquamento dell’originaria fermezza nei confronti di Hamas da parte della comunità internazionale uno dei motivi che hanno condotto all’attuale situazione. Quasi nessuno ricorda che esattamente tre anni fa il “quartetto” (Usa, Russia, Unione europea ed Onu) che doveva vigilare sulla road map stabilì che “un futuro governo dell’Autorità palestinese non dovrà includere membri che non siano impegnati al rispetto del principio del diritto di Israele a esistere in pace e che non abbiano rinunciato alla violenza e al terrorismo”. Il mese dopo Hamas vinse le elezioni e di quei saggi propositi non restò molto, se non un condizionamento all’erogazione degli aiuti europei europei ai palestinesi, deciso su impulso della Germania. Dopo il colpo di stato col quale Hamas si è impadronito di Gaza espellendo i rappresentanti legittimi dell’autorità nazionale, la tendenza a riconoscere e quindi ad accettare il fatto compiuto si è estesa, tanto che Massimo D’Alema insiste tuttora a richiedere la legittimazione internazionale del gruppo terroristico come interlocutore indispensabile. La cancelliera tedesca, invece, fa intendere che la condizione per la coesistenza in medio oriente è la sconfitta definitiva di Hamas, e per fortuna la sua opinione pesa di più di quella di un ex ministro degli Esteri italiano. E’ utile soccorrere umanitariamente i palestinesi di Gaza tenuti in ostaggio da Hamas, forse anche dare qualche possibilità alla mediazione turco-egiziana in seno al mondo islamico, purché non ci si discosti di un millimetro dalla denuncia fermissima della responsabilità esclusiva di Hamas, che deve pagare fino in fondo il prezzo della sua politica criminale.


lettere@ilfoglio.it

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