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La Stampa Rassegna Stampa
30.12.2008 Mentre Hamas lancia i missili, Israele cura i feriti palestinesi
La cronaca di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 30 dicembre 2008
Pagina: 2
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Qui curiamo i palestinesi sotto i colpi dei loro razzi»

Israele cura i palestinesi di Gaza. E' cosa nota che gli ospedali israeliani si prendano cura dei malati senza guardare il luogo d'origine. Ma è utile scriverlo in questi giorni, come ha fatto Francesca Paci sulla STAMPA di oggi, 30/12/2008 a pag.2, con un articolo dal titolo " Qui curiamo i palestinesi sotto i colpi dei loro razzi ". Eccolo:

L'ufficio di Ron Lober si trova nel padiglione settentrionale del Barzilai Hospital di Ashkelon, il lato più esposto ai razzi che piovono da Gaza e ieri hanno ucciso due persone tra cui un operaio di 27 anni, Hani al-Mahdi, un beduino arabo-israeliano impiegato in un cantiere edile poco distante dall’ospedale. E’ stato il dottor Lober, cinquantottenne vicedirettore della struttura e responsabile dell’emergenza, ad accompagnare l’uomo in sala operatoria: «E’ arrivato ancora vivo, ma non c’è stato niente da fare».
Professore, dopo mesi di relativa calma torna a farsi sentire la sirena, l’allarme rosso che turba i sonno degli abitanti di Ashekelon e Sderot. Com’è la situazione in questo momento?
«Il numero dei feriti aumenta. Nove il primo giorno, diciannove domenica, oggi (ieri per chi legge) ne abbiamo avuti trentatré. Alcuni sono gravi, la maggior parte è sotto choc, piange, urla, accusa attacchi cardiaci. Ce l’aspettavamo. Sabato abbiamo evacuato la parte meno protetta dell’ospedale e abbiamo rimandato a casa la metà dei malati, circa 250 persone, tutti quelli che potevano andar via. Gli altri, soprattutto palestinesi di Gaza, sono stati trasportati nell’edificio più riparato, una palazzina su cinque livelli che dà l’impressione d’essere solida, almeno ai piani bassi».
Ha detto proprio così, palestinesi di Gaza? Ci sono palestinesi di Gaza in cura al Barzilai?
«Ne abbiamo diversi, almeno undici. Non sono arrivati in questi giorni, ovviamente. Erano qui da settimane, mesi. Ci sono anche due bambini, sono ricoverati insieme ad altri dieci nel reparto pediatrico che, temporaneamente, abbiamo spostato in un ex archivio sotterraneo adibito a rifugio antiaereo. Hanno una gran paura, la stessa degli israeliani vicini di letto, forse di più, sanno che a sparare sono i loro fratelli, cugini, amici».
I carri armati a ridosso della Striscia di Gaza annunciano venti di guerra. Siete preparati?
«Come medico sì, posso dire che non ci manca niente. Il personale è quasi al completo, 1700 tra medici e infermieri di cui cinquecento dedicati interamente al trattamento di feriti e traumatizzati dai razzi Quassam. Come uomo è diverso, mi manca l’amore dei palestinesi. Ho trascorso una vita insieme a loro. Sono stato vicedirettore del sistema sanitario di Gaza dal 1988 al 1984 e mi sono occupato in prima persona della costruzione del reparto cure intensive. Ho lasciato quando la gestione è passata all’Autorità Nazionale Palestinese ma siamo rimasti costantemente in contatto telefonico, consigli professionali, scambi d’opinioni: ho molti amici a Gaza. Mi si spezza il cuore a vedere l’ospedale Shifa in quelle condizioni, i feriti, i morti. Purtroppo non ci hanno dato scelta, da anni siamo bersaglio quotidiano dei missili lanciati dal confine».
Eppure la tregua sembrava funzionare.
«D’accordo, gli ultimi sei mesi sono stati più tranquilli, due o tre razzi al giorno, niente a che vedere con gli ottanta di queste ore. La pace però è un'altra cosa. Creda a me che vivo nella comunità agricola di Netiv Asra, a meno di trecento metri dal confine di Gaza. Dalla finestra del soggiorno posso vedere i ragazzi che lanciano gli ordigni. Non sono mai voluto andar via, il mio posto è qui. Ma i miei due figli di 32 e 26 anni non vengono più a trovarmi. Troppo pericoloso. Se voglio vedere i nipotini devo andare a Tel Aviv».
Pensa che alla fine l’esercito israeliano entrerà nella Striscia di Gaza, che ci sarà un’invasione su larga scala?
«Preferirei parlare di medicina, ma mi rendo conto che la situazione è critica. Sono quasi sicuro che i carri armati entreranno. E’ terribile, so che non è una soluzione. A lungo andare ci troveremo allo stesso punto: se pure dovessimo rioccupare Gaza, una volta che mollassimo la postazione loro ricomincerebbero di nuovo a colpirci. All’infinito. L’unica chance è tornare ai negoziati ma per questo abbiamo bisogno di un partner che voglia parlare di pace».

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