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A gonfie vele
Lettere 1928-1946 Isaiah BerlinA cura di Flavio Cuniberto
Adelphi Euro 30,00
“Sebbene, come nostro Signore e come Socrate pubblichi poco, pensa e dice moltissimo e ha un influsso enorme sul nostro tempo – aveva detto di lui, in modo insieme caustico e affettuoso, l’amico Maurice Bowra, quando Isaiah Berlin fu insignito dell’Order of Merit nel 1971. In realtà il pensatore ebreo-russo, di lingua e cultura inglese, avrebbe scritto abbastanza – su Marx, il romanticismo tedesco, il concetto di libertà e altro – da smentire la prima parte della frase , senza per questo indebolire la seconda. Del suo influsso – ma prima ancora della fittissima trama di rapporti intessuta nel decennio che precede la guerra fino al suo esito finale – testimonia l’epistolario di cui Adelphi pubblica adesso una preziosa silloge esemplarmente curata da Henry Hardy (per l’edizione italiana da Flavio Cuniberto) con il titolo “A gonfie vele. Lettere 1928-1946”.
Composto dall’allora giovane professore di Oxford, diventato agli inizi degli anni Quaranta funzionario del Foreign Office col compito di guadagnare l’America rooseveltiana alla causa sionista, esso non è solo il racconto intrigante di una delle più straordinarie biografie intellettuali del secolo scorso, ma anche un documento singolare del gorgo in cui la storia contemporanea ha rischiato di inabissarsi, prima di risalire lentamente la china con la sconfitta del nazismo.
Anche se a prevalere, nelle lettere di Berlin, non è una tonalità tragica, ma un’attenzione, curiosa e abbagliante, per le situazioni più diverse, in una dimensione quotidiana fatta di incontri e di impressioni, di ambienti e di contingenze. Ma sono vicende, aneddoti, a volte semplici gossip, che, nel loro carattere apparentemente estemporaneo, lasciano sempre trasparire qualcosa di inedito ed essenziale che conferisce alla realtà luce e spessore.
Davanti al lettore scorrono, come diapositive fulminanti, immagini, paesaggi, ricordi, di un uomo in frenetico transito tra le due sponde dell’Atlantico, e poi a Salisburgo, Venezia, Parigi, Innsbruck, Marienbad – ma con un occhio sempre rivolto alla Russia di Herzen e di Turgenev, anche se ormai pietrificata in quella gabbia totalitaria che ne ha reciso le radici. Ogni luogo, ogni giorno, di questo diario sofisticato e brillante, è segnato indelebilmente da un volto, da un nome, da un giudizio, ora tenero ora tagliente, che mette in scena non solo i protagonisti del tempo – da Roosevelt a Churchill, cui va l’incondizionata ammirazione di Berlin – ma anche scrittori e filosofi, musicisti e artisti, fino a figure anonime di amici e conoscenti. Il tutto in un quadro in cui si stagliano, come assi portanti, le grandi questioni storiche del montare, e poi dell’esplodere, della follia nazista, della sempre più netta vicinanza dell’America all’Inghilterra, fino alla sua entrata in guerra, e poi della trasmigrazione degli ebrei europei in Palestina, con il conseguente scontro con gli arabi.
In tutti questi passaggi, e sempre con la sua seducente versatilità, Berlin non smarrisce mai il filo conduttore del proprio impegno, civile ed etico, a favore certo della causa ebraica, ma, più in generale, della libertà nel senso più alto e intenso del termine. Perché l’elemento che unifica, ma anche vivifica con la forza di una convinzione intransigente, queste lettere scritte in momenti e stagioni diverse, a interlocutori differenti, è pur sempre il rifiuto di ogni concezione tesa a imprigionare l’infinita pluralità dell’esistenza nella camicia di forza di un’ideologia precostituita e resa obbligatoria per tutti.
Roberto Esposito
L’almanacco dei libri – La Repubblica
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