Le immagini più significative della guerra in corso ieri si sono viste sul confine fra Gaza e l’Egitto, con tutta la tessitura degli arabeschi che il Medio Oriente è in grado di comporre. I soldati egiziani sorvegliano la frontiera col fucile impugnato da Rafiah lungo lo Tzir Philadelphi; dalle ore della tarda mattinata si svolge l’assedio dei palestinesi che vogliono passare di là dal confine mentre i soldati dall’altra parte hanno l’ordine di impedire comunque alla marea integralista di penetrare nel Paese di Mubarak, il moderato; poco più in là, la paradossale scena dei camion pieni di aiuti umanitari e le ambulanze, che sono i palestinesi a non lasciar passare mentre gridano agli egiziani: «Lasciate entrare i vivi invece di occuparvi dei morti».
Verso le cinque del pomeriggio, mentre il sole tramonta sul mare Mediterraneo, entrano in scena gli F16 che sfrecciano veloci e in quattro minuti distruggono 40 tunnel sotto il confine. Pare che fossero i più importanti tra i 600 scavati per trasportare dentro Gaza merci di qualsiasi genere dall’Egitto, quelli che hanno rimpinzato Gaza di missili. Ma ieri di missili, contro ogni previsione, non ne sono piovuti molti, e la popolazione del sud di Israele ha passato una giornata relativamente tranquilla: segno che gli obiettivi colpiti dall’aviazione sono stati scelti con una operazione di intelligence precisa, e che le strutture di Hamas stentano a riaversi da un’operazione paragonata qui in Israele a quella che nel 1967 colpì a terra i Mig egiziani.
L’esercito israeliano sostiene di aver colpito il 50% delle risorse belliche di Hamas, missili, depositi di dinamite e simili. E Hamas preferisce per ora giocare il ruolo della vittima, seguitare a segnalare, almeno per un po’, che Israele seguita ad agire in modo «sproporzionato». Ma è il mondo arabo per primo a essere contraddittorio di fronte alla vittimizzazione di Hamas, e in primis l’Egitto e gli stessi fratelli palestinesi guidati da Abu Mazen: quest’ultimo ha detto dal Cairo di aver avvertito Hamas che le sue azioni avrebbero portato all’attacco di Israele. Insomma, gliene ha attribuito la responsabilità. Aggiungendo le accuse per le decine di miliziani di Fatah prigionieri di Hamas e morti nelle carceri bombardate dagli israeliani: la strage avrebbe potuto essere evitata se fossero stati liberati per tempo. Anche gli egiziani si sono mossi con ambiguità tra la dimostrazione di solidarietà con i palestinesi e la disapprovazione nei confronti della incomprensibile politica di Hamas, che ha portato la sua popolazione alla situazione attuale. Da Sana in Yemen, a molte città e villaggi mediorientali inclusi quelli della West bank e nella stessa Gerusalemme est, fino a Teheran, dove Khamenei ha chiesto a tutti i musulmani di combattere per Gaza «in tutti i modi possibili», fino a Amman dove i Fratelli Mussulmani hanno sfilato con slogan furiosi, fino a Damasco dove Masha’al chiede un’Intifada militare di tutto il mondo arabo, si è manifestata la solita furia antisraeliana ma stavolta anche antiegiziana e anti Fatah. A Beirut i manifestanti convocati dagli Hezbollah gridavano slogan in cui il nome di Mubarak faceva rima con Ehud Barak. Qui Nasrallah, il capo di Hezbollah, ha parlato con i soliti toni di odio, esortando i suoi uomini ad essere pronti a difendersi. Ma, furbescamente, senza invitarli ad attaccare il mostro sionista.
Quanto ai moderati, è la prima volta che non possono sventolare la solita bandiera di odio contro Israele. Hamas li ha inchiodati. Ed è logico vista la crescita verticale dell’estremismo islamico in Medio Oriente. Avevamo già scritto di una segreta richiesta araba «moderata» a Israele di farla finita con Hamas visto come un emissario incendiario dell’Iran, deciso a distruggere ogni equilibrio mediorientale. L’Egitto, che ha a lungo tentato la tregua fra Fatah e Hamas, si è adontato oltre misura che Hamas abbia disertato la riunione di novembre al Cairo, sicuramente su richiesta iraniana. Nel frattempo Hamas cerca nuove sponde: da Gaza City, scavalcando la leadership di Damasco, sono partite molte telefonate da parte di Ismail Haniyeh al re del Bahrein e ai governanti del Qatar. Ma Hamas può restare molto danneggiato dalla rottura con l’Egitto: sono in programma importanti accordi economici che sembrano molto lontani dalla ringhiosa realtà attuale. Di sicuro ora, dopo i fatti di Gaza, tutto il mondo arabo dovrà fare i conti con la nuova dimostrazione di deterrenza militare israeliana, che dopo la guerra con gli Hezbollah del 2006 e per via dell’atteggiamento di attesa scelto dai vertici israeliani sembrava assai diminuita. Adesso tutti i vicini, compreso l’Iran, sanno che l’esercito israeliano è quello di un tempo quando decide, come dice Tzipi Livni che «quel che è troppo è troppo».
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