Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
L'analisi di Benny Morris e la cronaca di Francesco Battistini dopo l'uccisione delle due bambine palestinesi da parte di Hamas
Testata: Corriere della Sera Data: 27 dicembre 2008 Pagina: 1 Autore: Francesco Battistini-Benny Morris Titolo: «Gaza, razzo fuori bersaglio sulla casa delle bambine.Le 4 facce dell'Apocalisse che minacciano lo Stato ebraico»
Il dramma delle bambine L'errore che scuote Gaza
Sul CORRIERE della SERA di oggi, 27/12/2008, a pag.2, la cronaca di Francesco Battistini. Segue una intervista con Gal Berger sulla situazione militare, poi un commento dello storico Benny Morris. In altra parte di IC, l'analisi comparata dei quotidiani italiani sul caso delle due bambine palestinesi uccise dai razzi kassam palestinesi a Gaza.
Le Brigate al-Qassam: «Vittime dell'embargo» Gerusalemme: «Hamas non si cura del sangue della sua gente» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME — La tivù spenta, perché la luce è preziosa. I grandi fuori ad arrangiarsi, perché bisogna pur mangiare. Non c'è molto da fare a Gaza, quando i bambini non vanno a scuola, e all'ora di pranzo Hanin e Sabah sono abituate a gironzolare davanti a casa, Beit Lahya, un pollaio vuoto nel nord della Striscia. C'è da guardare i razzi, di solito. Che partono da vicino, dalla caserma delle brigate di Hamas, passano sulle loro teste. Hanin e Sabah ne vedono sfrecciare sempre molti, e chi va a Gaza vede spesso i bambini come loro: riconoscono a memoria ogni fischio, ogni sibilo, la scia bianca, il botto lontano, al di là della linea. Su Sderot, in Israele. Stavolta Hanin e Sabah non hanno visto, capito nulla. Il Qassam è partito ed è caduto. Poche centinaia di metri. Su di loro: la più piccola, Hanin Abu Khossa, aveva 5 anni; sua cugina Sabah Abu Khossa, dodici; altri bambini, tre, sono vivi per caso. Nessuno rivendica, nessuno minaccia. Dalla Striscia, il silenzio è truce. Hamas parla solo coi razzi e c'è dell'imbarazzo, se non spiega nemmeno ai suoi a che cosa serva questa pioggia di Qassam che poi piovono sui più piccoli dei suoi. «Questa è la tragica prova che non abbiamo mezzi — è la giustificazione d'un ufficiale delle Brigate al-Qassam —. Queste sono piccole vittime dell'embargo che ci ha imposto Israele ». In realtà, ieri Hamas ha perso su tutta la linea, almeno sul piano dell'immagine: le due bambine uccise, nel giorno in cui Israele apre il valico di Eretz e fa passare gli aiuti umanitari. Centosei camion, medicine, carburante per la centrale elettrica, bombole di gas per cucinare, grano: «Il messaggio che vogliamo mandare — dice il ministro Binyamin Ben-Eliezer — è che Hamas non si cura del sangue della sua gente». I camion sono la carota, perché poi arriverà il bastone. La decisione verrà forse presa domani, al consiglio dei ministri domenicale: blitz militare nella Striscia, per farla finita coi razzi (tredici solo ieri pomeriggio, dopo l'arrivo dei camion con gli aiuti). Il premier Olmert ha lanciato l'ultimo appello ai palestinesi: «Sbarazzatevi di Hamas». La ministra Tzipi Livni è andata ad avvertire il vicino Mubarak: al valico di Rafah, il presidente egiziano ha mandato rinforzi per tamponare l'ondata di profughi verso l'Egitto. L'incognita militare viene dal Libano dei temuti Hezbollah: cinque chilometri oltre la linea, i caschi blu italiani e francesi dell'Unifil hanno smantellato otto Katiusha puntati su Israele, anche se non innescati. Il maltempo e il momento migliore sono le due cose ancora da valutare. Il resto è pronto: «Questa situazione non può continuare — dice il generale Gabi Ashkenazi, capo di stato maggiore —: avremo bisogno di tutte le nostre forze per colpire le infrastrutture terroristiche e ripristinare la sicurezza intorno a Gaza ». Ci si prepara al peggio. La vigilia di Natale, con legge votata dal parlamento di Hamas, in tutta la Striscia è cominciato il giro di vite: pena di morte a chiunque abbia contatti «impropri» con Israele. E poi taglio della mano ai ladri, 40 frustate e tre mesi di galera a chi beve, gioca oppure offende il pudore. Non si scappa: la vita può essere riscattata solo in cambio di cento cammelli. A Gaza, dove un cammello soltanto basterebbe per avere una vita. Francesco Battistini
«Colpire e uscire Il piano di Tsahal»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME — Si sa che Israele reagirà, non si sa quando... «Si sa che non sarà un'operazione militare in larga scala. Ci saranno incursioni aeree e operazioni limitate sul terreno. Blitz mirati. Entrare e uscire subito. Non ci sarà un'occupazione di Gaza». Chiedi all'esperto: nel caso, Gal Berger, analista militare e specialista della Radio israeliana per i Territori palestinesi. Che una cosa dice d'averla capita. «L' operazione durerà al massimo una settimana. Dopo il Libano, la paura è che le cose s'allunghino e si complichino. Il governo israeliano non vuole distruggere Hamas. L'idea è indebolire l'avversario. E poi sedersi a trattare una nuova tregua: alle condizioni nostre, non sue». Ma è la stagione adatta per un blitz? «Il maltempo ha già rallentato le cose. E se continuerà, si aspetterà. Ma ieri ho letto un'analisi di Alex Frishman, un politologo con cui sono d'accordo: non c'è una stagione giusta, per queste cose. I motivi per combattere Hamas vanno bene in tutti i mesi dell'anno». E se Hezbollah si muove per aiutare i fratelli di Hamas? Il rischio è una guerra su due fronti... «E' una cosa da considerare. Quando il soldato Shalit fu rapito a Gaza, due anni e mezzo fa, le provocazioni dal Libano cominciarono subito. Costringendo Israele a muovere le truppe a nord e a non occuparsi più della Striscia». Shalit potrebbe essere ucciso. «Anche questo viene considerato. Ma credo che Hamas oserebbe farlo solo se l'attacco fosse in larga scala. E comunque, lo dico con dolore, tutti lo pensano ma nessuno lo ammette: la vita di un'intera comunità, bombardata dai razzi, non può rimanere ostaggio della vita d'un ostaggio». Che effetti avrà il blitz sul voto di febbraio? «Dipende dal risultato e dalle perdite. Tzipi Livni e Barack, che sono ministri, rischiano di più. Ma quando la Livni ha detto sì all'attacco, i sondaggi l'hanno premiata». E se nel nome di Hamas s'andasse a un governo d'emergenza nazionale, con la Livni e Netanyahu insieme? «Perché no? Quando soffiano i venti di guerra, è normale. Israele ha già visto questo film». F. Bat.
Per lo Stato ebraico L'APOCALISSE ALLE PORTE di Benny Morris
Molti israeliani oggi si sentono accerchiati dai muri — e dalla storia — nel loro Stato, nato 60 anni or sono, proprio come lo furono nel 1967, alla vigilia della «Guerra dei sei giorni» in cui sconfissero gli eserciti di Egitto, Giordania e Siria nel Sinai, in Cisgiordania e sulle alture di Golan.Durante le settimane che precedettero il conflitto gli egiziani avevano scacciato le forze di pace dell'ONU dal confine tra Sinai e Israele, sbarrato lo Stretto di Tiran alle navi israeliane e al traffico aereo, messo in campo cinque divisioni corazzate e di fanteria sulla frontiera di Israele e firmato una serie di patti militari con Siria e Giordania, che consentivano loro il dispiegamento di truppe in Cisgiordania. Le stazioni radio e i leader politici dei Paesi arabi strombazzavano di ora in ora l'annuncio dell'imminente trionfo: gli ebrei sarebbero stati scaraventati in mare. Gli israeliani, o piuttosto gli ebrei israeliani, cominciano a provare le medesime sensazioni avvertite dai loro genitori in quei giorni apocalittici che precedettero l'attacco dell'esercito israeliano. Oggi Israele è uno Stato molto più prospero e potente - all'epoca contava poco più di due milioni di abitanti (contro i 5,5 milioni attuali), un bilancio di meno del venti percento di quello odierno e nessun deterrente nucleare - eppure la stragrande maggioranza della popolazione guarda al futuro con profonda apprensione. I presentimenti più cupi scaturiscono da due fonti generali e da quattro cause specifiche. I problemi generali sono semplici: innanzitutto, il mondo arabo e in genere islamico, malgrado le speranze israeliane dal 1948 a oggi, non ha mai riconosciuto la legittimità della creazione di Israele e continua a opporsi alla sua esistenza, nonostante i trattati di pace firmati dai governi di Egitto e Giordania con lo stato ebraico rispettivamente nel 1979 e nel 1994. Secondo: mentre l'Olocausto sfuma ormai sempre di più in un ricordo sbiadito e lontano e le pressioni del mondo arabo emergente e desideroso di affermare la sua potenza si fanno incalzanti, l'opinione pubblica in Occidente (e in democrazia, i governi non possono far altro che seguirla) si allontana gradualmente da Israele, mentre guarda con sospetto il trattamento riservato dallo Stato ebraico ai vicini palestinesi e ai suoi cittadini arabi. E' indicativa la popolarità di alcune recenti pubblicazioni assai critiche verso Israele, come Pace non apartheid in Palestina, di Jimmy Carter, e La lobby israeliana e la politica estera americana, di John Mearsheimer e Stephen Walt. Solo un paio di decenni fa, tali libri avrebbero suscitato scarso interesse. Per entrare nello specifico, Israele deve affrontare una combinazione di minacce, tutte ugualmente terrificanti. A est, l'Iran si affretta a completare il programma nucleare, che secondo gli israeliani e i servizi di spionaggio internazionali è destinato alla produzione di armi atomiche. E questo, abbinato alle ripetute smentite da parte del presidente iraniano Ahmadinejad dell'esistenza dell'Olocausto (e dell'omosessualità in Iran), che basterebbero a provare la sua irrazionalità, e ai pubblici appelli a distruggere lo Stato ebraico, mette sulle spine i leader politici e militari di Israele. A nord, il movimento fondamentalista libanese di Hezbollah, anch'esso votato alla distruzione di Israele, si è riarmato fino ai denti dall'estate del 2006, quando la guerra lanciata da Israele per sbarazzarsi di quell'organizzazione non ha dato i risultati sperati. Oggi, secondo le stime dei servizi segreti israeliani, Hezbollah dispone di un arsenale bellico doppio rispetto al 2006, che consiste di 30-40.000 missili di fabbricazione russa forniti da Siria e Iran, alcuni dei quali possono raggiungere le città di Dimona e Tel Aviv. Se dovesse scoppiare un conflitto tra Israele e l'Iran, o Israele e la Palestina, certamente Hezbollah si getterà nella mischia. A sud, Israele deve vedersela con il movimento islamista di Hamas, che controlla la Striscia di Gaza e la cui costituzione o statuto promette di distruggere Israele e di ricondurre ogni centimetro quadrato della Palestina sotto il governo e la legge dell'Islam. Oggi Hamas vanta un esercito di migliaia di uomini, uno spiegamento di molte migliaia di missili — i razzi Qassam di fabbricazione locale e i missili Katyusha e Grad di provenienza russa, finanziati dall'Iran e contrabbandati attraverso tunnel dal Sinai, mentre l'Egitto chiude un occhio — la cui gittata raggiunge le città di Ashkelon, Ashdod, Kiryat-Gat e i sobborghi di Beersheba. Le ultime settimane hanno visto un martellamento giornaliero di Qassam contro gli insediamenti israeliani di confine, provocando disperazione, panico e fuga. L'opinione pubblica e il governo israeliano ne hanno avuto abbastanza e l'esercito si prepara a lanciare una pesante controffensiva nei prossimi giorni. Ma non basterà a risolvere i problemi sollevati da una Striscia di Gaza popolata da un milione e mezzo di palestinesi impoveriti e disperati, governati da un regime di fanatici che odiano Israele. E una massiccia operazione di terra da parte di Israele, allo scopo di invadere la Striscia e distruggere le milizie di Hamas, con ogni probabilità si ritroverebbe impantanata prima ancora di riuscire nel suo intento. Senza contare che, se l'offensiva dovesse andare a segno, il nuovo dominio di Israele su Gaza, senza limiti di tempo, risulterebbe ugualmente inaccettabile. Ma se Israele non prende una decisione, il futuro è carico di presagi altrettanto spaventosi. I Qassam, a differenza dei Katyusha e dei Grad, sono armi relativamente innocue — solo una dozzina di israeliani hanno perso la vita in questi attacchi nell'ultimo decennio — ma si dimostrano molto efficaci nel seminare terrore e sgomento. Se aumenta il rischio di lanci missilistici, come avverrà inevitabilmente con il crescente arsenale di Hamas, la vita nel Sud di Israele potrebbe diventare intollerabile. La quarta minaccia immediata è interna allo Stato di Israele e proviene dalla minoranza araba. Nel corso degli ultimi due decenni, i cittadini arabi di Israele (che ammontano a 1,3 milioni) si sono sostanzialmente radicalizzati, rivendicando apertamente la loro identità palestinese e abbracciando la causa nazionale della Palestina. La maggior parte di essi afferma di sostenere il loro popolo, anziché il loro Stato (Israele). Molti leader di questa comunità, approfittando delle istituzioni democratiche israeliane, hanno appoggiato più o meno dichiaratamente Hezbollah nel 2006 e invocano all'unisono una qualche forma di «autonomia » e lo scioglimento dello Stato ebraico. Non sul campo di battaglia, ma in campo demografico gli arabi si sono già assicurati la vittoria: il tasso di natalità tra gli arabi israeliani è tra i più elevati al mondo, con 4-5 figli per famiglia (contro i 2-3 figli per famiglia tra gli ebrei). Gli esperti sono convinti che a questo ritmo verso il 2040 o il 2050 gli arabi rappresenteranno la maggioranza della popolazione israeliana. E nel giro di cinque-dieci anni gli arabi (gli arabi israeliani sommati a quelli che risiedono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza) formeranno la maggioranza della popolazione in Palestina (il territorio che si estende tra il fiume Giordano e il Mediterraneo). Ma le frizioni tra israeliani e minoranza araba costituiscono già un fattore politico assai preoccupante. I leader arabi di Israele reclamano da tempo l'autonomia e nel 2000, all'inizio della seconda Intifada, migliaia di giovani arabi israeliani, per solidarietà con i loro fratelli nei territori semi-occupati, hanno scatenato disordini lungo le principali arterie israeliane, bloccando il traffico, e nelle città a popolazione mista. Gli ebrei israeliani temono che alla prossima occasione i tumulti saranno molto peggiori e considerano la minoranza araba come una potenziale Quinta colonna. In queste minacce specifiche, che siano a breve, medio e lungo termine, il denominatore comune è il fattore della sorpresa. Tra il 1948 e il 1982 Israele è riuscito a fronteggiare senza troppe difficoltà gli eserciti convenzionali arabi, sgominandoli in più occasioni. Ma la minaccia nucleare iraniana, geograficamente distante, e il complesso dei gruppi Hamas-Hezbollah, capaci di operare scavalcando confini internazionali e insediandosi fin nel cuore di città ad alta densità di popolazione, sommati al crescente scontento dei cittadini arabi di Israele verso lo Stato in cui vivono, presentano oggi un pericolo di natura completamente diversa. Sono queste le sfide che il popolo e i politici israeliani, vincolati da norme di comportamento liberali e democratiche di stampo occidentale, trovano difficili da affrontare e risolvere. Benny Morris (traduzione di Rita Baldassarre) Benny Morris, 60 anni, è uno dei «nuovi storici» israeliani
Definizione da evitare. Benny Morris dal 2001 ha preso le distanze dal gruppo che così viene ancora, e in maniera molto imprecisa, definito. (ic)
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