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Il Manifesto Rassegna Stampa
24.12.2008 A Michele Giorgio l'Oscar della disinformazione
e al governo israeliano una domanda che riguarda il Belgio

Testata: Il Manifesto
Data: 24 dicembre 2008
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Una ferita riapre l'altra»

E' Michele Giorgio a confezionare il regalo di Natale del MANIFESTO ai suoi lettori, un lungo articolo colmo di falsificazioni storiche che raramente ci è stata data occasione di leggere in un solo articolo. Partendo dalla bufala più strepitosa, e cioè che i palestinesi siano stati cacciati dalle loro case durante la guerra di Indipendenza del '48. Giorgio priva i lettori del MANIFESTO di una preziosa informazione, quella che spinse migliaia di palestinesi che vivevano nella Palestina mandataria ad abbandonare le loro case perchè spinti dai proclami dei loro capi, e dai governi dei paesi arabi che il 14 maggio, subito dopo la proclamazione dello Stato di Israele, avevano dichiarato guerra agli ebrei. " "Lasciate le vostre case", dicevano gli ordini, " Noi sbatteremo gli ebrei in mare, e voi tornerete e vi prenderete anche le case degli ebrei ". Un ordine che convinse molti a seguirlo, mentre chi rimase a casa propria non perse un bel nulla. Senza contare l'appello di Ben Gurion agli arabi palestinesi affinchè restassero nel nuovo stato ebraico, diventandone cittadini a tutti gli effetti.  Dal pezzo di Giorgio prendiamo però un invito, che rivolgiamo a chi di dovere in Israele, verificare se è vero che il Belgio si rifiuta di pagare l'affitto per l'immobile nel quale c'è il suo consolato. Se è vero, ci chiediamo perchè il Belgio non venga sfrattato immediatamente e condannato a pagare gli affitti arretrati più interessi.  Ecco l'articolo, lasciamo ai nostri lettori individuare tutte le altre bufale che contiene.

«La polizia sostiene che non posso occupare il suolo pubblico. Visto che gli israeliani nonmi permettono di vivere qui, nella zona orientale, me ne vado a Talbieh, nella parte ebraica di Gerusalemme: torno all’abitazione dalla quale la mia famiglia fu cacciata via nel 1948». Ad Umm Kamel al Kurd i coloni israeliani avevano già preso la casa di Sheikh Jarrah, dove la sua famiglia viveva da 52 anni. Poi, domenica scorsa, gli agenti le hanno portato via per la quarta volta anche la tenda che era diventata la sua dimora. Così l’altro ieri questa donna dall’aspetto mite, accompagnata da amici, parenti e da un nutrito gruppo di attivisti palestinesi e israeliani, ha raggiunto Talbieh.Dopo aver cercato invano l’appartamento in cui aveva vissuto da piccola, si è spostata in Piazza Orde Wingate, a poche centinaia di metri dal prestigioso King David Hotel, per rendere chiaro agli israeliani che non si piegherà agli abusi subiti, probabile causa anche dell’infarto che un paio di settimane fa ha ucciso suo marito. «Gli israeliani dicono che prima del 1948 la mia abitazione di Sheikh Jarrah apparteneva a cittadini ebrei e, perciò, doveva tornare in mani ebraiche. Chiedo al governo di fare giustizia e restituire ame e a tante altre famiglie le case palestinesi di Gerusalemme Ovest, confiscate 60 anni fa e oggi occupate da israeliani», sostieneUmmKamel stringendosi nel cappotto per proteggersi dal vento freddo che sta portando l’inverno in Terra santa. Piazza Orde Wingate non è un posto qualsiasi a Gerusalemme Ovest. Si tratta di una delle aree più ricche ed eleganti della parte ebraica della città, dove le abitazioni più lussuose possono costare quanto quelle di Manhattan. A poche decine di metri ci sono la residenza del presidente israeliano Shimon Peres, il Teatro di Gerusalemme, l’Accademia delle scienze e il prestigioso Istituto Van Leer che qualche settimana fa, in occasione della visita del capo dello statoGiorgio Napolitano, ha ospitato tre giorni di «dialoghi letterari» italo-israeliani ai quali hanno preso parte intellettuali del calibro di ClaudioMagris, Ascanio Celestini, Corrado Augias, Susanna Tamaro e Lidia Ravera. Per i palestinesi però PiazzaOrdeWingate è «Piazza Salameh», dal nome della famiglia araba che fino al 1948 era proprietaria di alcuni degli edifici circostanti, successivamente confiscati dalle autorità del neonato Stato di Israele. Una villa dei Salameh che si affaccia su questa piazza, con un valore di mercato di almeno 15milioni di dollari, ospita dal 1948 il consolato belga, da tempo al centro di una disputa. David Sofer, l’uomo d’affari che per la legge israeliana è il proprietario avendo acquistato, nel 2001, la villa dalla «Custodia della proprietà degli assenti» - l’ente creato ad hoc da Israele dopo il 1948 per «amministrare » edifici e terreni appartenenti a palestinesi cacciati via o costretti a fuggire da Gerusalemme Ovest – accusa il governo belga di non pagargli l’affitto. Bruxelles risponde di non riconoscere legge sulla «proprietà degli assenti» e ritiene di dover pagare l’affitto ai veri proprietari, la famiglia Salameh, almeno sino a quando israeliani e palestinesi non troveranno un accordo sul futuro della città. Per l’Europa, l’intera Gerusalemme era e rimane una città occupata, poiché la risoluzione 181 delle Nazioni Unite (sulla partizione della Palestina) la descrive comeun «corpo separato», da amministrare internazionalmente. In gioco c’è molto di più dei 2,5 milioni di affitto arretrato che reclama Sofer. Sul tavolo c’è il riconoscimento, almeno di fatto, da parte del Belgio della sovranità israeliana su tutta Gerusalemme e l’al’abbandono della posizione europea.Nonsorprende perciò che di recente sia sceso in campo anche il ministero degli esteri israeliano che ha convocato l’ambasciatore belga. «Quella villa appartiene ai Salameh, proprio come tante altre belle case di questa zona appartengono ai palestinesi. Ci sono state portate via con la forza e le rivogliamo. Se gli israeliani vogliono indietro le loro case a Gerusalemme est allora pretendiamo che sia fatta giustizia piena anche qui a Gerusalemme ovest. Non smetteremodi reclamare i nostri diritti di fronte alla Comunità internazionale», protesta Huda I., che partecipa alla lotta di Umm Kamel, sostenuta anche da alcune associazioni pacifiste ebraiche, come Rabbini per i diritti umani (Rpdu). «Siamo qui per manifestare piena solidarietà ad UmmKamel al Kurd che ha subìto una gravissima ingiustizia, ma anche per sostenere i diritti dei palestinesi qui a Gerusalemme e l’applicazione del diritto internazionale », spiega il rabbino Yehiel Grenimann, coordinatore per i Territori occupati di Rpdu, mentre intorno non pochi israeliani si fermano incuriositi o per protestare contro «l’invasione palestinese» di questa parte della città. Migliaia di palestinesi di Gerusalemme furono resi profughi nel 1948-’49, durante quella che per Israele fu la Guerra d’indipendenza e per i palestinesi la Nakba, la catastrofe che significò l’esodo di 800.000 arabi e la distruzione di centinaia di villaggi. La rilevanza politica e storica della battaglia avviata daUmmKamel e da varie organizzazioni palestinesi è stata sottolineata nelle scorse settimane dai giornali israeliani. Su Ha’aretz, Akiva Eldar ha evidenziato con un commento la «pericolosità» della continua penetrazione di coloni e di estremisti di destra nella Gerusalemme palestinese, spesso con il pretesto di recuperare «proprietà perdute». Ma anche della sentenza della Corte suprema che, sulla base di documenti dell’era Ottomana esibiti dai coloni, ha dato il via libera alla espulsione dei coniugi al Kurd e all’occupazione della loro casa a Sheikh Jarrah. «Come gli ebrei che vivevano a Hebron, anche palestinesi posseggono documenti del periodo Ottomano – ha notato Eldar -...la realizzazione del diritto al ritorno per gli ebrei in Giudea e Samaria (la Cisgiordania, ndr) o nel quartiere di Nahalat Shimon (Sheikh Jarrah, ndr) invita alla riapertura del fascicolo del 1948. Non c’è miglior ricetta permettere fine ai negoziati fondati sulle frontiere del 4 giugno 1967». Assicurando legalmente il «ritorno» degli ebrei alle loro proprietà ora nelle aree palestinesi, in futuro altrettanto legalmente potrà essere riconosciuto quello dei profughi e degli sfollati palestinesi al «ritorno» alle loro case non solo a Gerusalemme Ovestma in tutto lo Stato d’Israele. «La conclusione di questo conflitto determinerà se Talbieh rimarrà parte di uno Stato di Israele democratico ed ebraico e la città di Hebron (Cisgiordania) parte dello Stato Palestinese, oppure se saranno entrambe faranno parte di uno Stato binazionale o di uno Stato non democratico». Per Eldar le elezioni del 10 febbraio dovranno dare una risposta prima di tutto a questi interrogativi, di fronte al «rischio», dal punto di vista israeliano, della creazione di uno Stato binazionale o unico, per ebrei e palestinesi, inclusi i quattromilioni di profughi della guerra del 1948 oggi sparsi nelmondo arabo. Imassimi dirigenti politici israeliani, di centrosinistra e di destra, di fatto sperano o prevedono che o per sfinimento o per una nuova guerra i palestinesi finiscano per dimenticare i loro diritti sanciti dalle risoluzioni dell’Onu. Ma i palestinesi, anche quelli più giovani, rimangono aggrappati alla loro memoria collettiva. «Dopo 60 anni, ilmondo non ha dato una risposta al nostro bisogno di giustizia e di libertà,ma noi conosciamo le leggi internazionali e i nostri diritti – ci dice Rima Awad, portavoce della campagna di sostegno adUmmKamel –. Lo status diGerusalemme era e rimane indefinito e non ci stancheremo chiedere che venga applicata la legalità in questa città.Non dimenticheremo le nostre case a Gerusalemme Ovest, continueremo a reclamarle». In passato, ha concluso Awad, «avevano creduto nell’idea di due Stati per due popoli ma gli israeliani non vogliono restituirci nulla, nemmeno i territori che hanno occupato nel 1967 e Gerusalemme Est. Ci hanno spinto a tornare a 60 anni fa, al 1948, e nelle sedi internazionali ripeteremo all’infinito: ridateci le nostre case, ridateci le nostre terre, ridateci i nostri villaggi, a Gerusalemme e in tutto lo Stato di Israele».

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