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La Stampa Rassegna Stampa
23.12.2008 Grande successo negli Stati Uniti per uno sceneggiato su Saddam Hussein
la cronaca di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 23 dicembre 2008
Pagina: 17
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Spopola casa Saddam»
Da pagina 17 de La STAMPA del 23 dicembre 2008, l'articolo di Maurizio Molinari "Spopola casa Saddam":

Inizia il prossimo 31 dicembre il processo a Muntadhar Al Zeidi, il giornalista iracheno arrestato per aver lanciato le proprie scarpe contro il presidente George W. Bush durante una conferenza stampa a Baghdad. Il giornalista della televisione Al-Baghdadia è imputato di «aggressione contro un capo di Stato straniero durante una visita ufficiale», un reato che prevede una pena tra i cinque e i 15 anni. «La fase istruttoria è finita e gli atti saranno inviati alla Corte criminale centrale», ha spiegato il giudice delle indagini preliminari Diya al-Kenani. L’avvocato Dhiya al-Saadi tuttavia spera in una pena inferiore ai cinque anni anche per le gravi ferite riportate dal suo assistito a causa delle percosse subite dopo l’arresto, comprese bruciature di sigaretta sulle orecchie. Sulla questione è intervenuto il fratello dell’imputato, Uday, secondo cui il ventinovenne Muntadhar non sarebbe affatto pentito e ripeterebbe il suo gesto: «La lettera di scuse da lui scritta al premier Nouri al Maliki gli è stata strappata con la violenza».
Metà diavolo e metà uomo, capace di compiere i delitti più orrendi e di provare anche sentimenti, incarnazione del disprezzo per il proprio popolo come dell’orgoglio nazionale: questo è il Saddam che milioni di americani hanno visto in tv, raccontato dal serial «House of Saddam» e interpretato da un attore israeliano.
Con Barack Obama in arrivo alla Casa Bianca, le quattro puntate della co-produzione Bbc-Hbo hanno offerto agli spettatori un ritratto in chiaroscuro del dittatore che l’attuale presidente George W. Bush incluse nell’«Asse del Male» e depose il 9 aprile del 2003 con un intervento militare che continua a dividere gli americani.
Il copione scritto da Alex Holmes e Stephen Butchard costituisce un momento di passaggio rispetto alla tradizionale descrizione del Raiss perché non si limita a descriverne la ferocia. Se da un lato vengono fedelmente ricostruite stragi famigliari, esecuzioni collettive, fosse comuni, l’aggressione all’Iran di Khomeini, la follia di scrivere il Corano col proprio sangue, il miraggio imperiale testimoniato dal trono dorato e una gestione del potere basata su terrore, dall’altro Saddam Hussein è l’uomo innamorato che dalla clandestinità a Tikrit rischia la vita per telefonare da una cabina pubblica alla seconda moglie, è il leader che crede nel proprio generale - e genero - Hussein Kamel facendosi cogliere di sorpresa quando fugge verso la Giordania pianificando un golpe, ed è il fuggiasco che poco prima di essere catturato dagli americani trova il tempo di pescare e parlare, con toni quasi romantici, del futuro con un bambino che si tuffa nel corso del Tigri, al quale dà l’ultimo consiglio di «non farsi mai prendere dagli americani».
A giovare ad una descrizione più morbida dell’uomo che nel 1988 usò l’aviazione per lanciare i gas e decimare le comunità curde, è la ricostruzione di alcuni episodi entrati nella Storia. Quando montano le tensioni con il Kuwait sul contenzioso petrolifero, l’Emiro viene presentato come un giovane arrogante e viziato che offende a più riprese Saddam dicendosi sicuro di avere «amici più importanti». Quando Saddam lascia intendere che pensa all’invasione del Kuwait durante un incontro con l’ambasciatrice Usa a Baghdad April Glaspie ciò che lei dice è talmente ambiguo da avvalorare il sospetto che Washington non disse esplicitamente all’Iraq di fermarsi. Senza contare che il capo degli ispettori dell’Onu, lo svedese Rolf Ekeus, appare un tipo talmente arrogante da sembrare quasi imbelle, di cui comunque Saddam fa ciò che vuole: lo insulta, lo raggira, lo irride. Anche grazie al ministro degli Esteri Tareq Aziz, che la comunità internazionale considerava un interlocutore credibile ma che emerge come un semplice porta parola, incapace di convincere Saddam anche del fatto che l’Urss di Gorbaciov non lo avrebbe difeso dagli Usa.
Se a ciò aggiungiamo che «House of Saddam» non fa alcun cenno - neanche indiretto - alla sanguinosa repressione delle rivolte popolari di sciiti e curdi che Saddam ordinò nella primavera del 1991 come anche al lancio di una cinquantina di missili Scud contro Israele durante la Guerra del Golfo, non è difficile comprendere come le immagini più vivide che rimangono nella mente degli spettatori sono quelle delle figlie Raghad e Rana, quando dicono «ciò che conta per mio padre è la lealtà», e del soverchiante schieramento di forze con cui l’esercito americano prima uccide i figli, Uday e Qusay, e poi cattura Saddam nella «tana sottoterra» costruitagli dai fedelissimi, inclusa la guardia del corpo che poi lo tradisce.
Più spietato di Saddam è invece il figlio Uday, vestito di pellicce, circondato da leoni, stupratore di donne, assassino per divertimento, criminale satanico al punto da esaltare le peggiori qualità paterne. Anche la Cia ne esce male: le operazioni in Iraq sono guidate da un capostazione ad Amman che pensa di avere «più opzioni» per rovesciare il Raiss ma poi viene beffato. Saddam arresta centinaia di agenti e chiama al telefono il capostazione Cia per dirglielo di persona. In una scelta ispirata alla prudenza, autori e produttori hanno evitato di pronunciarsi sulle armi di distruzione di massa: pur facendo vedere che fino a dopo la Guerra del Golfo Saddam le aveva, occultate sottoterra. Ironia della sorte vuole che a interpretare il Raiss che minacciò di «far bruciare» lo Stato Ebraico in un film che ignora l’attacco degli Scud è un attore israeliano, Yigal Naor, nato a Givataym, uno dei quartieri di Tel Aviv che furono più colpiti dai missili.

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