Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Bloccato il vino prodotto dai salesiani a Betlemme per motivi di sicurezza, dice Israele
Testata: Corriere della Sera Data: 22 dicembre 2008 Pagina: 15 Autore: Francesco Battistini Titolo: «Betlemme, il vin santo bloccato ai check-point»
Dal CORRIERE della SERA del22 dicembre 2008, riportiamo l'articolo di Francesco Battistini "Betlemme, il vin santo bloccato ai check-point ". Il blocco del vino prodotto dai salesiani, è stato deciso per dalle autorità israeliane per "motivi di sicurezza" che gli interlocutori palestinesi di Battistini giudicano infondati. Sarebbe stato interessante leggere nell'articolo anche la replica israeliana a questo rilievi.
Sulla barriera di separazione che passa a Beit Jalla, denunciata dai salesiani come un soppruso, occorre ricordare che proprio da Beit Jalla i cecchini palestinesi sparavano contro il quartiere di Gerusalemme Ghilò.
Ecco il testo:
BETLEMME (Cisgiordania) — «Dove stanno i cartoni per l'Arcivescovo?». Sempre là. Dietro il cortile, nel magazzino. Ah, eccoli: nemmeno i padri si ricordano più dove li hanno messi. L'indirizzo è pronto da più d'un mese: «H.E. Card. Cormac Murphy-O'Connor. Vaughan House. 46, Francis Street. London». la riserva speciale Cana e il morbido Spirit, più qualcosa per il dessert. A Westminster sono abituati ai ritardi, ai check-point, alle dogane, ma hanno aspettato il carico con fede e fino all'ultimo. Erano sicuri d'averlo, perché ci tengono: che Natale è, senza il vino di Betlemme? Affranti, i padri salesiani si sono scusati via mail: «Quest' anno niente vino. Non riusciamo a mandarlo né a Westminster, né agli altri. Questo è l'elenco degli ordini: Germania, Romania, Irlanda, parrocchie italiane. È rimasto qui anche quello per Nazareth e Gerusalemme. Celebrare la messa col nostro Cremisan, era una tradizione. Niente da fare. Tutto bloccato ». Prendete e bevetene tutti. O quasi. L'ultimo muro della Terra Santa è una pila di cartoni bianchi e grigi, al Monastero di Cremisan, colline di Beit Jala. È il vino che i salesiani imbottigliano dal 1885, da quando venne in Palestina un confratello di San Giovanni Bosco e a servire quest'assolata vigna del Signore portò molti musulmani, qualche cristiano, gente di buona lena e di buona volontà. Il vino non è roba da Vissani, ma è il vissuto che conta: comprare il Cremisan di Betlemme, opera pia ad alto tasso di gradazione. Duecentomila litri l'anno, invecchiamento nel legno di quercia, acquisti online, s'accettano carte di credito. Cinque settimane fa, quando i camion erano carichi per le spedizioni, destinazione Gerusalemme e porto di Haifa, dalla polizia di frontiera israeliana è arrivato lo stop: il vin santo non poteva attraversare i check-point. "Motivi di sicurezza". Proteste sommesse dei padri: inutili. Proteste vibranti del sindaco di Betlemme: ancora più inutili. «Non c'è nessuna ragione di sicurezza — dice Majde Siriani, dell'Autorità palestinese —. Che pericolo rappresenta, il vino dei preti italiani? Dopo la raccolta delle olive, è l'ultimo esempio delle pressioni israeliane per soffocare la nostra economia. Dà fastidio che il Cremisan finisca sugli altari delle chiese, nei ristoranti, ai consolati». Il fastidio è anche altro. E' dalle due intifade, quando i palestinesi passavano spesso per le proprietà salesiane, che Israele ha aumentato controlli e pressioni. Le polemiche degli anni caldi non sono dimenticate. L'anno scorso, la nuova frattura: il Muro, costruito proprio a ridosso della Casa Don Bosco; una lettera di fermo disappunto, "ci avete chiusi senza neanche consultarci". Non è facile la vita dei cristiani, a Betlemme: 32mila abitanti, quasi uno su due è cristiano, ma prima erano di più e il 90 per cento se n'è andato via. Per la crisi che ha svuotato i negozi di souvenir. Per l'impossibilità d'una vita normale. Il boom dei pellegrini per Natale non cambia gli umori: gli hotel sono senza un posto libero da mesi, secondo tradizione evangelica, e ci sono 12mila posti di lavoro in più. Ma per chi crede e ci vive, Betlemme non è un presepe. Gl'insediamenti attanagliano la città, i coloni sono decuplicati. Un intero quartiere di cristiano- ortodossi, 120 famiglie, ha ricevuto un ordine di demolizione dalle autorità israeliane, "motivi di sicurezza" anche qui, perché la barriera gli è stata costruita proprio davanti. Il Muro ha mandato a picco molte vite cristiane, entrate nella memoria popolare: il benzinaio sulla via per Hebron che ha perso il 95 per cento dei clienti; i fratelli Halil che si sono trovati il ristorante sbarrato per tre lati, e uno ha ceduto la sua quota ed è partito per l'Honduras; la fabbrica della famiglia Bandak, che s'è trovata spezzata in due, gli uffici nei Territori e i depositi in Israele, e alla fine è fallita... L'esasperazione porta a paradossi: alle ultime elezioni, il 10 per cento dei cristiani ha votato per i duri islamici di Hamas. «E la notte di Natale — dice Musallah, uno dei due fratelli del ristorante —, se Abu Mazen verrà alla messa, qualcuno proverà a dirglielo: fate qualcosa, perché qui il sangue ribolle». Come il vino.
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