Ci sono ancora delle differenze tra islamismo fondamentalista e l'islam tout court ? La domanda è non solo lecita ma doverosa. Affrontano l'argomento due editoriali usciti sul FOGLIO di oggi, 20/12/2008, a pag.3. Eccoli:
La risoluzione finale dell'Onu
Una risoluzione non vincolante voluta dalla Conferenza islamica contro la “diffamazione della religione”, leggi islam. La risoluzione approvata dall’Onu strozza ogni libertà di pensiero su e nel mondo islamico. Dalle vignette sul Profeta alla critica della sharia, dall’abrogazione dei versetti jihadisti alla lapidazione delle adultere, la risoluzione sembra fatta per arrestare l’idea stessa di una riforma islamica. Sarà il cuore di Durban II, la conferenza contro il razzismo che si terrà a Ginevra ad aprile. E’ anche una copertura alle soppressioni, uccisioni e persecuzioni in atto nell’islam. Contro i non credenti, le altre religioni e gli “apostati”. Sarebbe bello se l’Italia facesse sua un po’ della scorrettezza ideologica che ha spinto il premier canadese Harper a boicottarel’evento. Non c’era modo peggiore per l’Onu di svendere la Dichiarazione universale dei diritti umani di questo manifesto del suprematismo musulmano che esporta in tutto il mondo lo spirito delle implacabili leggi contro la blasfemia in vigore nella umma. L’“islamofobia” è un’arma forgiata dagli islamisti per imporre una visione totalitaria del mondo. Immerge le radici nell’oscurantismo più sordido. Utilizzare il vocabolario messo in circolazione dagli islamisti sarebbe disastroso per l’occidente. “Islamofobia” è una parola da combattimento. E tutti ci ricordiamo della formula del poeta rivoluzionario Vladimir Majakovski: “Le parole sono pallottole”. I taglialingue si muovono agilmente nella nostra semantica. E li abbiamo anche promossi a legislatori.
Caro Obama, noi trattiamo così
La decisione di Hamas di riaprire le ostilità contro Israele è un chiaro e minaccioso messaggio inviato a Barack Obama. Il governo di Gaza considera non replicabile la tregua semestrale stipulata il 19 giugno con Israele perché ha obiettivi plurimi. Prepara un clima infuocato all’interno della Palestina per il 10 gennaio, quando Hamas dichiarerà – l’ha già anticipato – di considerare finito il mandato di presidente dell’Anp di Abu Mazen (che effettivamente quel giorno terminerà, dal punto di vista formale), in previsione di ulteriori fossati – e nuovo sangue – tra Gaza e Cisgiordania. Mira a pesare sulle elezioni politiche anticipate israeliane e manda un segnale forte al Cairo, condannando al fallimento la capacità di mediazionedi Hosni Mubarak che passa ormai di errore in errore. Ma l’obiettivo più importante di Hamas e dei suoi padrini iraniani e siriani è ben più alto. La decisione di rompere la tregua è stata presa da Khaled Meshaal non a caso a Damasco ed è un assaggio di una tattica aggressiva e jihadista che sarà condivisa da tutti gli alleati e gli sponsor di Hamas: l’Iran, la Siria, Hezbollah e Moqtada al Sadr. Quando il 20 gennaio il nuovo presidente americano dovrà pur iniziare la sua tanto decantata svolta di “dialogo”, troverà i suoi interlocutori mediorientali con il dito sul grilletto, se non peggio. Una classica tattica jihadista, che né Obama, né Hillary Clinton – per quanto proposto e delineato sinora – sanno come contrastare.
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