Da pagina 30 del GIORNALE del 17 novebre 2008, riportiamo l'articolo di Alessandro Frigerio "Quelle stragi palestinesi dimenticate dall’Italia":
È il secondo mattatoio dello stragismo dopo la stazione di Bologna. Ma è anche il simbolo perverso della selettività con cui istituzioni e opinione pubblica elaborano il ricordo. Perché ci sono fatti di sangue che si vuole rafforzino il comune sentire, di una parte più o meno ampia della collettività, e altri che ragion di Stato e ideologia rigettano come corpi estranei.
All’aeroporto «Leonardo Da Vinci» di Fiumicino i corpi estranei sono quarantotto. Tante le vittime causate dal terrorismo arabo-palestinese nel corso di due diversi attentati, nel 1973 e nel 1985. E il primo di questi è un modello di rimozione storica esemplare.
«A mio fratello Antonio hanno conferito la medaglia d’oro al valor militare - spiega Angelo Zara -, il suo nome compare su due caserme, su un pattugliatore della Guardia di finanza e sulla targa di una piazza nel paese. Ma questa storia è ancora un buco nero: non ho mai avuto notizia di un’indagine, di un processo. Solo tempo dopo ho appreso dai giornali che il Mossad aveva scovato i terroristi». Daniela Ippoliti aveva nove anni quando le uccisero il padre. Ricorda il funerale così vicino al Natale, l’assedio sfrontato dei giornalisti e poi il silenzio. «I colleghi di lavoro gli dedicarono un busto, ma dove siano finiti i terroristi e perché fecero quella strage non ce l’ha mai detto nessuno. Siamo stati dimenticati».
Un abbandono che si spiega con i numerosi aspetti mai chiariti della vicenda: le ambigue scelte di politica internazionale del nostro Paese negli anni Settanta, la Libia di Gheddafi che ospitava e sosteneva il terrorismo palestinese e il ruolo dei nostri servizi segreti. «Il Sid aveva avuto notizia dell’imminente attacco - racconta il generale Corrado Narciso, fratello di un’altra vittima - ma l’aeroporto non venne messo in sicurezza».
E l’inchiesta fu sbrigativa. Appurò che alle 12 e 50 di lunedì 17 dicembre 1973 un commando composto da cinque uomini di Settembre Nero, proveniente con volo Alitalia da Madrid, aveva aperto il fuoco nella zona transiti dello scalo romano e lanciato due bombe al fosforo in un jumbo fermo sulla pista, uccidendo 32 passeggeri. Tra loro anche quattro italiani: l’ingegnere Raffaele Narciso, il funzionario dell’Alitalia Giuliano De Angelis, la moglie Emma Zanghi e la figlia Monica, di nove anni. Prima di sequestrare un aereo della Lufthansa i terroristi avevano ucciso il finanziere Antonio Zara e preso in ostaggio sei agenti di polizia e un addetto al trasporto dei bagagli, Domenico Ippoliti. Il dirottamento, dopo una tappa ad Atene, che con l’assassinio di Ippoliti aggiunse sangue a sangue, si concluse a Kuwait City tra l’affettuosa simpatia riservata ai terroristi dalle autorità. Alla richiesta di estradizione il governo kuwaitiano oppose un rifiuto, adducendo il carattere «politico» della carneficina.
Pochi mesi dopo i cinque furono affidati all’Egitto e quindi rilasciati come contropartita per la liberazione degli ostaggi di un aereo di linea britannico.
Fin qui la tragica sequenza dei fatti. Ai quali seguì l’immediata rimozione. Lo fece a modo suo l’Unità, evitando di citare nei titoli, nei sommari e nell’articolo di fondo del 18 dicembre l’origine degli attentatori. Vi contribuì il Pci, definendo la strage «un chiaro tentativo di marca reazionaria» contro il popolo palestinese. Fece molto di più la Dc, spingendo il piede sull’acceleratore della politica di appeasement verso il mondo arabo.
A funerali appena conclusi l’allora ministro degli esteri Aldo Moro visitò le principali capitali del mondo arabo, compresa Kuwait City. Ci si aspettava, se non un atteggiamento intransigente, almeno parole ferme e chiare. Invece la richiesta di consegna dei colpevoli fu sacrificata sull’altare della crisi energetica e dell’esigenza di nuove forniture petrolifere. E per scongiurare nuovi attacchi, il governo perfezionò con l’Olp il patto scellerato che avrebbe garantito impunità e libertà di transito agli uomini dell’organizzazione palestinese.
Da allora su quei 34 morti è calato il silenzio. I loro nomi non sono negli elenchi delle associazioni delle vittime del terrorismo e nelle pubblicazioni ufficiali. Una lapide nella zona transiti dell’aeroporto di Fiumicino ricorda solo il sacrificio di Antonio Zara.
Per tutti gli altri, compresi i 14 dell’attentato del 1985 ai banchi della Twa e dell’El Al, non una riga. Passati trentacinque anni dagli eventi ci sembra doveroso rimuovere questa cappa di omertà. Per ricordare chi non c’è più. E per inserire a pieno titolo il terrorismo arabo-palestinese nella galleria degli orrori del Novecento.
L'intervista di Frigerio al generale Corrado Narciso "Moro sapeva ma non agì":
«Ah, vuole sapere dei poliziotti ragazzini...». Fratello di una delle vittime, già collaboratore dell’ammiraglio Martini al Sismi e comandante della Terza Regione Aerea, il generale Corrado Narciso è persona schietta. «Quel giorno la sicurezza dello scalo era nelle mani di agenti alle prime armi. Una scelta “curiosa”, soprattutto alla luce del fatto che i servizi segreti avevano messo in guardia su un probabile attacco in una aerostazione. Erano state istituite ronde militari sulle Campagnole dentro e fuori gli aeroporti. Ma quel 17 dicembre a Fiumicino non ce n’era nemmeno una».
Vuole dire che le informative furono sottovalutate oppure che qualcuno le trascurò volutamente?
«Guardi, io so per certo che l’8 dicembre 1973 fu girato all’allora ministro degli esteri Aldo Moro un appunto in cui si dava per imminente un attacco palestinese a uno scalo italiano. I più importanti erano Linate e Fiumicino. Metterli in sicurezza non sarebbe costato molto».
Si parlò di poliziotti che non fecero fuoco, di mitra senza caricatori... All’epoca i governi chiudevano un occhio sulle organizzazioni palestinesi. L’esecutivo tedesco inscenò un falso dirottamento per consegnare all’Olp tre terroristi responsabili della strage di Monaco.
«Pochi giorni dopo l’attentato di Roma venni a conoscenza dell’informativa dei servizi e feci una denuncia in Procura. Si scoprì poi che i terroristi avevano acquistato i biglietti tramite i servizi segreti di Gheddafi e che sullo sfondo c’erano strane triangolazioni di petrolio libico girato a Paesi terzi attraverso l’Italia».
Anche la ricostruzione dell’attacco non la convince.
«Secondo me dovevano esserci due gruppi. Uno, forse la cellula romana di Settembre Nero, lanciò le bombe sul jumbo Pan Am e fece perdere le sue tracce. L’altro dirottò l’aereo Lufthansa».
Naturalmente queste cose le ha raccontate a un giudice.
«No. Per quella vicenda non è mai stato istituito un processo. Le dirò di più: negli anni a seguire non sono mancate minacce telefoniche per “invitarmi” a dimenticare tutta la faccenda. La Procura di Roma ha ancora un fascicolo aperto con la mia denuncia: i reati di strage non cadono in prescrizione, ma di questo nessuno ha voluto occuparsene».
Per inviare la propria opinione alla redazione del Giornale cliccare sulla e- mail sottostante