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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.12.2008 Il signor Roger Cohen e il Medio Oriente
un'analisi all'insegna dei luoghi comuni e dei vuoti di memoria

Testata: Corriere della Sera
Data: 14 dicembre 2008
Pagina: 34
Autore: Roger Cohen
Titolo: «Se Obama è un amico vero critichi Israele quando sbaglia»
Riprendendolo dall'International Herald Tribune, il CORRIERE della SERA pubblica a pagina 34 un editoriale di Roger Cohen, "Se Obama è un amico vero critichi Israele quando sbaglia".

Cohen è stato corripondente del Tribune, del New York Times, del Wall Street Journal e dell'agenzia Reuters a Roma, Parigi, Berlino, dai balcani, da Bruxelles...
Oggi è responsabile degli Esteri al New York Times
Ha scritto tre libri: su Sarajevo, sul generale Schwarzkopf (che guidò la prima  campagna del Golfo), sui soldati americani prigionieri di guerra dei nazisti.

Ecco il link alla pagina a lui dedicata su Wikipedia:

http://en.wikipedia.org/wiki/Roger_Cohen


La sua biografia non sembrerebbe fare di lui un esperto del conflitto israelo-palestinese, e il suo articolo conferma questa impressione. Si resta attoniti di fronte alla leggerezza con la quale Cohen elenca le concessioni che Israele dovrebbe fare ai palestinesi, e che gli Stati Uniti le dovrebbero imporre, per poi  concludere spensieratamente "anche i palestinesi dovranno scendere a compromessi".

Peccato che quanto indicato da Cohen sia stato in varie occasioni e modalità offerto da Israele, e rifiutato dai palestinesi.
 Il problema, purtroppo, è proprio quello che Cohen liquida in una riga: i palestinesi sono davvero disposti a raggiungere un accordo con Israele?

Ecco il testo:


Immaginate Ehud Olmert, primo ministro uscente israeliano, che si rivolge a Barack Obama: «Gli Stati Uniti hanno sbagliato a staccare ogni anno a Israele un assegno in bianco; hanno sbagliato a chiudere un occhio sugli insediamenti in Cisgiordania; hanno sbagliato a non insistere sulla necessità di dividere Gerusalemme; hanno sbagliato a fornirci armamenti tanto sofisticati da illuderci che la forza militare sia la risposta a tutti i nostri problemi; hanno sbagliato a non invitarci a tendere una mano alla Siria. Durante la campagna elettorale, Hillary Clinton, tua futura segretaria di Stato, ha dichiarato che "gli Stati Uniti sono e saranno sempre dalla parte di Israele". Ma questo non basta. A volte dovrai metterti contro di noi, se non vogliamo vivere in eterno con le armi in pugno ».
Potrà sembrare incredibile, ma Olmert ha già detto qualcosa di simile. A settembre, in un'intervista rilasciata al quotidiano di Tel Aviv, Yedioth Ahronoth, e ripubblicata nel The New York Review of Books,
il leader israeliano è uscito di scena con un mea culpa per la politica del suo Paese. Politica peraltro caldeggiata dall' amministrazione Bush, la cui guerra al terrorismo è stata sfruttata dal governo israeliano, che ha giustificato il conflitto con i palestinesi come parte della stessa lotta. Poco importa se Al Qaeda e il movimento nazionale palestinese siano due cose distinte. Questa banale identificazione ha costretto Bush ad assecondare tutte le iniziative di Israele.
Così, ammettendo gli errori di Israele, Olmert ha puntato il dito contro gli errori americani, senza peraltro mai menzionare gli Stati Uniti. In realtà, nel suo «esame di coscienza a nome della nazione di Israele », Olmert — sotto processo per corruzione — riconosce di aver commesso «errori » quando militava nell'estrema destra, e ammette che la potenza militare non servirà a liberare dall'angoscia esistenziale il suo Paese, fondato 60 anni or sono. «Possiamo fronteggiare i nostri nemici, uno alla volta o tutti assieme, e vincere », ha detto Olmert. «Ma io mi chiedo: cosa succederà quando avremo in mano la vittoria? Innanzitutto, ci sarebbe un doloroso prezzo da pagare. E poi, che cosa resterebbe da dire? "Parliamo"».
Olmert si è convinto della necessità di trovare un accordo con i palestinesi e la Siria, rinunciando a una parte di Gerusalemme e alle Alture del Golan. Ma che sia un ex pilastro del Likud a pensarla così mostra fino a che punto è mutato il panorama politico in Israele in vista delle elezioni del 2009.
Le parole di Olmert dovrebbero essere scolpite sulle pareti dell'ufficio della Clinton, all'ottavo piano del Dipartimento di Stato: «Occorre raggiungere un accordo con i palestinesi, in cambio del ritiro dalla quasi totalità dei territori. Parte di questi rimarrà in nostro possesso, ma dovremo offrire ai palestinesi pari superficie altrove, altrimenti non vi sarà mai pace».
Alla domanda circa un eventuale compromesso anche su Gerusalemme, Olmert ha risposto: «Gerusalemme compresa ». Ha poi aggiunto: «Mi piacerebbe sapere se in Israele vi sia qualcuno che creda seriamente alla pace con la Siria senza la restituzione delle Alture del Golan». Anche queste parole sono da scolpire nell' ufficio della Clinton. Per Olmert, «presidiare questa o quella collina» è «inutile», e i generali israeliani si sono illusi nel tenersi strette le conquiste territoriali.
Sono idee scomode per l'elettorato pro israeliano che la Clinton ben conosce, in quanto senatrice democratica dello Stato di New York; nessuno ha appoggiato con maggior convinzione Israele quanto lei. Ma oggi, se vuole ottenere risultati, dovrà accogliere i compromessi di Olmert e mostrarsi inflessibile: solo così potrà tutelare gli interessi di Israele nel lungo periodo. Durante la campagna elettorale, la Clinton ha ammesso che gli Stati Uniti potrebbero «annientare» l'Iran nel caso di un attacco nucleare contro Israele. Ma Olmert ha scelto toni diversi, sottolineando come «quando si parla di Iran, in questo Paese, è facile perdere il senso delle proporzioni e sconfinare nella megalomania ». Ancora una volta, parole istruttive.
Anche a me sta a cuore la sicurezza di Israele, ma tutto dipende da cosa intendiamo per «sicurezza». Israele può continuare a umiliare i palestinesi, facendo sfoggio di prepotenza e arroganza. Riuscirà a sopravvivere, certo, ma distruggendo la propria anima. A lungo andare, né l'occupazione militare né la demografia giocano a suo favore. L'autorità morale di Israele è ormai compromessa, dopo 41 anni di occupazione. È questa la realtà dietro l'avvertimento di Olmert: «Abbiamo un'opportunità unica, e poco tempo a disposizione » per «tracciare una volta per tutte un confine esatto tra noi e i palestinesi ».
Ma per far questo, anche i palestinesi dovranno scendere a compromessi, specie sul diritto al ritorno, e rinunciando al terrorismo. Il ritorno dei profughi sarà verso un nuovo Stato palestinese, stabile e autonomo. Raggiungere un accordo sui due Stati lungo i confini del 1967, o all'incirca, richiederà la più stretta collaborazione americana sin dal primo giorno del governo Obama, all'insegna di un affetto che sarà tanto più sincero quanto più intransigente saprà dimostrarsi.
© International Herald Tribune traduzione a cura dello Iulm

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