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Jasmine Eli Amir
Traduzione di Alessandra Shomroni
Einaudi Euro 21,00
Eli Amir è nato a Baghdad nel 1937. Nel 1951 è stato costretto a lasciare l’Iraq insieme alla sua famiglia, ed è arrivato in Israele. La sua storia, insomma, è una fra milioni di altre. Tutte insieme, queste storie raccontano il cosiddetto “esodo dimenticato”: quello degli ebrei cacciati dai paesi arabi con la nascita dello Stato d’Israele e l’avvio del conflitto mediorientale. In Iraq, come in tanti altri Paesi arabi, vivevano da millenni. Da quelle parti, ad esempio, fu scritto un libro talmente fondamentale da meritarsi l’appellativo di Torah orale: il Talmud.
Profondo conoscitore della cultura e della lingua araba, Eli Amir ha scritto un romanzo, Jasmine, ora tradotto in italiano per Einaudi. Ed è profondamente israeliano, nella sua realtà storica, nel suo intreccio. Siamo all’indomani della guerra dei Sei Giorni, in una Gerusalemme riunificata e stordita dal proprio destino. Nuri Elias Nasseh è un trentenne in gamba, nato a Baghdad, passato attraverso le traversie di profugo e ancora non del tutto integrato in quella società israeliana che stava mutando giorno per giorno. L’arabo è la sua lingua madre. Per questo e per le sue competenze in senso lato, Nuri viene nominato direttore dell’ufficio governativo per gli affari arabi. Nel corso del romanzo, il lettore accompagna il protagonista in questo cammino di conoscenza. Scopre con lui la Gerusalemme che fino alla vigilia di quella guerra lampo era rimasta ignota, misteriosa. Eppure vicinissima. Affronta insieme a lui le difficoltà e il disorientamento, le illusioni e le speranze degli sconfitti, ma anche di chi quella guerra l’ha vinta e quasi non ci crede, perché la realtà è molto più complicata del previsto. Incontra naturalmente Jasmine, affascinante palestinese, il padre di lei e tanti altri personaggi di quel composito microcosmo che è, non da ieri ma da sempre la città santa.
In effetti, al di là dell’intreccio amoroso costellato di impervietà e malintesi, di struggimenti e silenzi, la trama del romanzo si snoda proprio intorno all’esplorazione di quel mondo sconosciuto che è Gerusalemme Est per un israeliano, all’indomani della guerra del 1967. Ma in cui il giovane Nuri ritrova, a partire dalla lingua, una familiarità che forse si aspettava, che certo lo travolge. Sullo sfondo, c’è anche il ritratto della famiglia di lui: i fratelli, i genitori rimasti tenacemente legati a tradizioni e nostalgie di prima del loro esodo, lo zio reduce da anni e anni di carcere, laggiù in Iraq.
Dietro la vicenda, ci sono molteplici significati storici. Eli Amir dà voce a un Israele molto diverso da quello cui il lettore italiano è ormai abituato. Ma anche nel contesto delle sue radici culturali, egli offre una prova narrativa molto originale. La letteratura israeliana sefardita resta infatti spesso ancorata al contesto folkloristico, alla rievocazione colorita e un po’ nostalgica di un mondo estinto. Qui siamo su tutto un altro piano: calcato sulla realtà politica, storica e sociale.
La guerra del 1967 è la prima che vede al fronte una massiccia presenza di israeliani sefarditi, e non solo ashkenaziti. E che porta, entro e ai margini dei confini nazionali, l’universo arabo. Amir si concentra su questo nodo storico, lo descrive con dinamismo. A volte con rabbia a volte con dolcezza, sempre con efficacia.
Elena Loewenthal
Tuttolibri – La Stampa
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