Shoah: aiuti agli ebrei da parte di diplomatici e autorità d'occupazione italiane è storia, ma vi fu anche la complicità con la Shoah della Repubblica Sociale
Testata: Corriere della Sera Data: 10 dicembre 2008 Pagina: 37 Autore: Sergio Romano Titolo: «1943: I CONSOLI ITALIANI E GLI EBREI DI SALONICCO»
Sul CORRIERE della SERA del 10 dicembre 2008, Sergio Romano risponde a un lettore sul console italiano a Salonicco, che protesse gli ebrei durante la seconda guerra mondiale, e sul generale comportamento delle autorità diplomatiche e di occupazione italiane verso gli ebrei. I dati rievocati da Romano sono fatti storici, ma dovrebbero a nostro giudizio essere inseriti in un quadro più completo, che includa i campi di concentramento sul territorio italiano e la collaborazione alla deportazione degli ebrei da parte della Repubblica Sociale.
Ecco il testo dell'articolo:
Mi ha fatto molto piacere apprendere il meritato riconoscimento a Zamboni che, console a Salonicco durante l'ultima guerra, salvò dalla deportazione alcune centinaia di ebrei greci. A quell'epoca il mio patrigno, Alfredo Nuccio, era console ad Atene. Mi raccontò poi che gli ordini ricevuti a Roma nel febbraio-marzo 1943, prima di raggiungere la sede, erano di fare il più ampio ricorso alla procedura degli atti notori onde rilasciare, senza altre formalità o domande, passaporti italiani a chi rischiasse di essere deportato dai tedeschi. Ne beneficiarono, nella circoscrizione del consolato, alcune centinaia di persone di origine ebraica. Ignoro chi gli avesse impartito le istruzioni: mi disse solo che venivano dal Gabinetto del ministro. Vittorio A. Farinelli vittoriofarinelli@tiscali.it
Caro Farinelli, Antonio Ferrari ha avuto il merito di rendere noto a un più vasto pubblico il coraggio e la generosità con cui Zamboni si prodigò per salvare il maggior numero possibile dei numerosi ebrei greci (circa 58.000) che ancora vivevano a Salonicco prima dell'8 settembre 1943. Quando lo conobbi a Roma, verso la metà degli anni Cinquanta, veniva da Bagdad e stava per andare a Bangkok dove sarebbe stato ambasciatore fino al 1961. Era un romagnolo di piccola statura, distinto e gioviale, che aveva una medaglia di bronzo al valor militare e una croce al merito per le ferite che si era buscato in guerra fra il 1916 e il 1918. La giovialità e il coraggio gli furono utili quando arrivò a Salonicco nel febbraio del 1942. Per alcuni mesi poté evitare che i tedeschi trattassero gli ebrei della città come avevano trattato gli ebrei polacchi e ucraini. Ma agli inizi del 1943, quando Eichmann mandò il suo vicario ad Atene per organizzare la deportazione della comunità di Salonicco, Zamboni dovette limitarsi alla protezione degli ebrei italiani. Lo fece tuttavia allargando per quanto possibile la categoria. La protezione fu garantita non soltanto agli ebrei di nazionalità italiana, ma anche a coloro che rivendicavano il diritto di essere considerati italiani, sostenevano di avere rapporti familiari, veri o presunti, con ebrei italiani o avevano dato un evidente contributo, secondo il console, agli interessi culturali ed economici dell'Italia nella città e nella regione. Resta da comprendere perché la rappresentanza italiana di Atene, il consolato generale di Salonicco e il ministero degli Esteri a Roma abbiano fatto una politica ebraica così radicalmente diversa da quella degli alleati tedeschi. La domanda concerne tutte le zone d'occupazione italiane, dalla Francia alla Croazia, e ha prodotto una considerevole bibliografia fra cui, in particolare, il libro curato da Léon Poliakov e Jacques Sabille («Jews under the italian occupation », Ebrei sotto l'occupazione italiana), apparso a Parigi nel 1955. Dopo avere raccontato le vicissitudini degli ebrei rifugiati nei distretti italiani della Francia meridiona-le, Poliakov scrive: «Molti motivi, indubbiamente, spinsero il governo italiano ad agire nel modo che sappiamo: ciò che viene generalmente definito "continuità dell'interesse nazionale", il desiderio di affermare la propria diversità e autonomia (...). Ma furono i sentimenti e le disposizioni della società italiana, in ultima analisi, che decisero il governo ad agire in favore degli ebrei». A queste stesse domande uno storico israeliano di origine italiana, Daniel Carpi, cercò risposta nei documenti diplomatici italiani. Quando dovevano rispondere alle insistenti domande di estradizione avanzate dai tedeschi, le nostre autorità rispondevano generalmente di non potere adottare un provvedimento che avrebbe dato un grave colpo «al prestigio dell'Armata italiana in tutta la Croazia e i Balcani» e che sarebbe stato percepito «come la violazione delle garanzie a suo tempo da noi date alle popolazioni delle zone occupate». In Croazia sembra che gli italiani temessero «una ripercussione dannosa anche tra le popolazioni ortodosse», preoccupate dalla possibilità di subire la stessa sorte e di cadere nelle mani degli «ustascia selvaggi»; un timore che avrebbe potuto avere «gravi conseguenze sullo stato d'animo delle masse e sulla pacificazione del Paese». In Grecia, invece, uno degli argomenti più frequentemente utilizzati era quello dei rapporti economici in cui gli ebrei italiani avevano un ruolo importante. In una relazione inviata da Roma a Berlino nel giugno del 1943 si legge tra l'altro: «Quasi tutto ciò che noi abbiamo in tale regione è in mano di ebrei e il loro allontanamento significherebbe la perdita irrimediabile di posizioni che rappresentano cospicui interessi italiani che intendiamo conservare e tutelare». Esiste tuttavia, secondo Carpi, un altro motivo, ancora più importante: il fondamentale contrasto tra le politiche razziali dell'Italia e della Germania. Quella del fascismo non prevedeva «soluzioni simili a quelle che i tedeschi intendevano imporre» e i funzionari «preposti all'attuazione della politica del governo fascista nei territori (non) erano disposti ad attuare la loro politica nei confronti degli ebrei, dalla quale essi in genere dissentivano non solo sul piano ideologico, ma anche e soprattutto su quello morale e umano».
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