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Eni, un patrimonio da non svendere 08/12/2008
L’Eni, che appartiene per più del 30% allo stato italiano, è, secondo Forbes che pubblica nell’Aprile di quest’anno una classifica sui maggiori 2000 gruppi a livello mondiale, un'azienda che si classifica al 38° posto, al primo tra le aziende italiane. Questo nostro gioiello dopo aver raggiunto un accordo firmando a Bruxelles con al Suez per l’acquisto del 57,25% della compagnia Distrigas, per 2,7 miliardi di € per un acquisto di 7,061 € per azione passerebbe da una già rispettabilissima quota di mercato del 19%, a una del 27% .

A Maggio, un mese dopo la classifica stilata da Forbes Eni informa che, nel quadriennio 2008-2011 investirà 3 miliardi di dollari nel Congo per una produzione equity pari a 150 milioni di barili di olio equivalente. Negli ultimi tre anni la società ha trasformato la propria attività in Congo valorizzando il proprio business tradizionale, grazie alla stretta collaborazione con le autorità congolesi che ha permesso la realizzazione degli accordi annunciati a Maggio di quest’anno. A Giugno, due mesi dopo la classifica di Forbes, Eni ha firmato con la compagnia Tullow Oil Limited un Memorandum of Understanding per l'acquisizione della quota di Tullow, pari al 52%, nei giacimenti del Mare del Nord inglese e relative infrastrutture – incluso il terminale di Bacton - compresi nella Hewett Unit. Il valore complessivo del'operazione è di 210 milioni di sterline. A seguito dell'operazione Eni, che è già presente nella Hewett Unit, porta la propria quota all'89% e ne diventa operatore. L'acquisizione di una quota maggioritaria in Hewett Unit rappresenta per Eni un importante passo avanti nella strategia di sviluppo degli stoccaggi del gas in Gran Bretagna e in Europa.

E adesso, proprio mentre stiamo affrontando il pericolo di una recessione, la Libia, attraverso la Libyan Energy Fund, ha fatto sapere al Governo italiano che gradirebbe investire nell’acquisizione di una partecipazione nel capitale dell’Eni. Il Governo Italiano ne dà naturalmente notizia. Un portavoce del gruppo, commenta la notizia dell'interesse della Libia ad una quota di partecipazione nella società petrolifera italiana: ««Eni è una società quotata a larga capitalizzazione. La società provvederà ad informare il mercato di eventuali cambiamenti rilevanti nel proprio azionariato in linea con le regole Consob».Veltroni, e il Pd rimangono silenti, timorosi di cadere in un’altra trappola. Il silenzio è rotto solo da un esponente dell’Udc, l’on. Bruno Tabacci che, in vena di generosità, il 7 dicembre dichiara all’Adnkronos di considerare positivamente l’interesse di fondi sovrani nei confronti di aziende italiane, dichiarandosi favorevole persino all’ingresso dei libici nel Consiglio di Amministrazione del gruppo petrolifero italiano. In attesa di vedere che cosa farà in merito il Governo, e aspettando di conoscere più esaurientemente le posizioni sia del Presidente dell’Eni Roberto Poli che dell’amministratore delegato Eni Paolo Scaroni, per il momento ci rilassiamo, essendo consapevoli che, fortunatamente per l’Italia, l’on. Tabacci in questa faccenda non conta nulla, sta all’opposizione. E lì resti. Lui e i fondi sovrani! E in caso di rifiuto alle pretese della Libia, assai possibile, non si iniziasse con la storiella del razzismo, poiché l’Eni tra centri sanitari e progetti di studio in aree povere ne ha sviluppati così tanti, che se volesse con l’esperienza conseguita su tutto quello che ha creato nel mondo a livello umanitario, ci potrebbe aprire un Master alla Bocconi di Milano, sicuramente utile, per certi addetti ai lavori di casa nostra.
Francesco Mangascià


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