In Afghanistan la strategia di Romano è la resa è evidente dalla sua risposta a Francesco Cossiga
Testata: Corriere della Sera Data: 07 dicembre 2008 Pagina: 29 Autore: Sergio Romano Titolo: «Il tappeto rosso a Roma per il generale Petraeus»
Alcune delle osservazioni contenute nella risposta di Sergio Romano a Francesco Cossiga sulla visita a Roma del generale Petraeus, pubblicata dal CORRIERE della SERA del 7 dicembre 2008 a pagina 29, "Il tappeto rosso a Roma per il generale Petraeus", potrebbero anche essere condivisibili, per esempio, la notazione sull'inopportunità di conferire un livello politico così alto all'incontro con un leader militare. Tra le righe, Romano fa però trasparire una posizione politica sul conflitto afghano che lascia sgomenti. Metà della sua risposta è dedicata a una serie di domande retoriche. Le risposte di Romano a queste domande, sono facilmente immaginabili e sono riassumibili nell'idea che in Afghanistan la coalizione internazionale dovrebbe di fatto arrendersi ai talebani.
Ecco il testo:
Non credo di poter essere definito un antiamericano: anzi, per lunghi anni, quando fui prima ministro dell'Interno e poi presidente del Consiglio dei ministri e anche presidente della Repubblica, fui sopranominato «amerikano con la k». Ma le debbo esprimere la mia meraviglia per il fatto che l'amministrazione uscente, a quarantacinque giorni dalla «inauguration» del nuovo presidente, continui a prendere iniziative, anche in relazione agli impegni militari futuri, con richieste a Paesi alleati e amici. Al posto del segretario di Stato uscente Condoleezza Rice, volata a Nuova Delhi per cercare di «mettere pace» tra l'India e il Pakistan, l'amministrazione uscente invierà in Italia il generale americano David Petraeus, che ha da poco assunto la guida del Comando centrale, responsabile per Afghanistan, Pakistan e Medio Oriente, Iraq compreso. Petraeus dovrebbe incontrare non le autorità militari italiane, come il Capo di Stato Maggiore della Difesa e il Consigliere Militare del presidente della Repubblica, ma addirittura il presidente del Consiglio dei ministri, il ministro degli Esteri e il ministro della Difesa. È una prassi che gli americani hanno seguito nei confronti dei paesi «protetti» o «vassalli», ad esempio del Sud America, considerando i propri comandanti militari quali «governatori civili e militari» statunitensi «in missione», ma mi sembra offensivo che ciò accada in una «potenza alleata e amica»! Questa valutazione mi sembra giustificata dal fatto che lo scopo della missione sarebbe la richiesta di aumento del nostro contingente militare in Afghanistan e l'abolizione dei «caveat», e cioè dei limiti che il governo Prodi ha posto, e che il governo Berlusconi non ha tolto, all'impiego in vere e proprie operazioni militari, anche di carattere offensivo. Credo che queste richieste siano «bipartisan», perché Obama ha ora dismesso le sue vesti di «semipacifista» e di «multilateralista», e nel presentare il suo «team per la sicurezza», ha proclamato con vigore la «missione universale» americana per l'affermazione dei suoi valori e il ruolo di maggior potenza militare nel mondo. Non sono un «pacifista», ma sono stato sempre contrario alla nostra partecipazione alle «operazioni di pace» in Iraq (dove l'intervento militare ha messo fine a una sanguinosa dittatura, ma ha aperto le porte al terrorismo islamico e sta per consegnare quel Paese all'Iran), e anche in Afghanistan, che nessuna potenza è mai riuscita a controllare e che l'Occidente è riuscito ad aprire nuovamente ad Al Qaeda. Ho sempre sostenuto che «le guerre le fa solo chi le può fare»; e che per farle i governi devono avere le disponibilità economiche e il sostegno del grosso dell'opinione pubblica. Non mi sembra che questo sia il caso del governo italiano. Sono curioso di vedere come si comporterà il Partito Democratico quando il Governo proporrà in Parlamento l'invio di nuovi effettivi militari in Afghanistan e la rimozione dei «caveat», come ci sarà richiesto da Barack Obama. Francesco Cossiga
Caro Presidente, A ciò che lei ha scritto aggiungo qualche considerazione sulla sostanza dell'incontro. Il problema di cui il generale Petraeus intende discutere con il governo italiano (l'aumento del contingente e l'abolizione dei caveat) è soltanto parzialmente militare. La vera questione è politica. Esistono ragionevoli speranze di riconquistare il territorio afghano perduto e avviare un programma per la ricostruzione economica e sociale del Paese? O sarà necessario, prima o poi, trattare con una parte della fazione talebana per concludere quella che il generale De Gaulle chiamò, durante la crisi algerina, una «paix des braves», una pace dei valorosi? Il presidente Karzai è ancora il migliore dei presidenti possibili per amministrare il Paese in questa fase di scelte difficili? O la sua popolarità è stata ormai consumata dalla venalità e dalla inefficienza degli uomini di cui si è circondato? È possibile continuare a contare sulla collaborazione della Russia se Washington insiste sull'allargamento della Nato e l'installazione di basi anti-missilistiche in Polonia e nella Repubblica Ceca? Fino a che punto è possibile contare sul Pakistan e sulla sua capacità di controllare la frontiera orientale dell'Afghanistan? Gli Stati Uniti hanno il diritto di chiederci l'aumento del contingente e la rimozione dei limiti fissati alla sua utilizzazione. Ma noi abbiamo diritto di chiedere agli Stati Uniti, prima di prendere una decisione, quali siano le loro intenzioni politiche e i loro progetti per il futuro. Queste domande, tuttavia, debbono essere indirizzate alla Casa Bianca (possibilmente al suo nuovo inquilino), al segretario di Stato e al segretario della Difesa, non al generale Petraeus. Il capo del Comando responsabile per l'Africa e il Medio Oriente allargato ci chiederà uomini e armi, ma non sarà in grado di prendere impegni politici. Negli incontri progettati vi è quindi una asimmetria che rischia di nuocere alla chiarezza dei nostri rapporti con gli Stati Uniti. Sarebbe stato meglio organizzare per il comandante americano un incontro con i vertici delle forze armate e, alla fine del suo soggiorno, una visita di cortesia al ministro della Difesa. Il di più è inutile e, peggio, indecoroso.
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