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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.12.2008 Capitale libico nell'Eni
sicuri che sia una buona idea ?

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 dicembre 2008
Pagina: 25
Autore: Stefano Agnoli
Titolo: «Eni, entra il fondo di Gheddafi Sì di Roma alla proposta libica»
A pagina 25 del CORRIERE della SERA del 7 dicembre 2008, all'inizio della sezione economica, ma con un richiamo in prima, l'articolo di Stefano Agnoli "Eni, entra il fondo di Gheddafi Sì di Roma alla proposta libica" tratta dell'interesse all'acquisto di una partecipazione nel capitale Eni manifestata dal governo libico. Dal governo, non da privati. Dunque, in ultima analisi, da quello stesso Gheddafi che è stato sponsor del terrorismo internazionale, che ha cercato di dotarsi di armi nucleari e che non ha mai cessato la politica dei ricatti e delle ambiguità  nei confronti del nostro paese.
E' davvero saggio consentirgli l'ingresso in un settore strategico della nostra economia come quello energetico ?

Ecco il testo dell'articolo:


MILANO — La Libia rompe gli indugi. Dopo le generiche manifestazioni di interesse verso le aziende del «sistema Italia » — seguite alla mossa a sorpresa su Unicredit — ora prenderà una partecipazione nell'Eni. E questa volta con il consenso del governo di Roma, azionista di riferimento del Cane a sei zampe attraverso il ministero del Tesoro. Le indiscrezioni (come quella di «Milano Finanza») sono state confermate nel pomeriggio di ieri da una nota diffusa da Palazzo Chigi: «Il governo libico — si legge — ha manifestato al governo italiano l'interesse ad acquisire in tempi da definire, compatibilmente con le condizioni di mercato, una partecipazione nel capitale di Eni, a condizione che non vi siano obiezioni da parte delle autorità italiane ».
Cifre ufficiali non sono state fatte, anche se da ambienti vicini al negoziato si fa rilevare che difficilmente i due governi si sarebbero scomodati per una piccola quota del gruppo di San Donato Milanese. Nella nota si fa riferimento ai vincoli statutari che limitano il diritto di voto al 3% e ai poteri speciali che l'esecutivo italiano ha per difendere i suoi «interessi vitali ». Verosimile quindi che il fondo libico — il «Lybian Energy Fund» — possa superare quella soglia, arrivando magari al 5%. Una strategia da attuare in modo progressivo, informandone di volta in volta il governo di Roma e l'Eni. Nelle vesti di secondo azionista la Libia, tra più di due anni, potrebbe in teoria anche ambire ad entrare nel consiglio di amministrazione. Cosa che le sarebbe consentita dal voto di lista, anche se nelle comunicazioni di ieri si precisa che il governo italiano ha anche preso atto «della dichiarata assenza di qualsiasi intendimento di interferire nella gestione della società».
Dopo i recenti sbandamenti di Borsa (ormai l'Eni ha ceduto il 35% dall'inizio dell'anno) il gruppo è sul mercato a prezzi da saldo: una quota dell' 1% della compagnia vale poco più di 610 milioni di euro contro i circa mille di pochi mesi or sono. Inoltre, malgrado il calo del petrolio, l'Eni rimane profittevole. Solo pochi giorni fa l'amministratore delegato Paolo Scaroni avrebbe mostrato ai consiglieri del gruppo una serie di slides
che dimostrano che anche con un barile a 30 dollari (venerdì il brent è sceso a 40 dollari) i margini economici e la redditività aziendale sarebbero ancora soddisfacenti. Un fatto che dovrebbe essere a conoscenza anche dei libici, che sono ovviamente «pratici » del mestiere e che per di più hanno nell'Eni il primo operatore internazionale presente nel loro paese. Tripoli, a sua volta, è il primo fornitore della compagnia, che dalla Libia ricava un sesto della sua produzione giornaliera di petrolio e gas equivalente, ovvero 300mila barili su 1,8 milioni. Di recente l'Eni ha anche rinnovato per altri 25 anni i contratti di esplorazione e produzione che deteneva, mentre a Bengasi il premier Berlusconi e il leader libico Gheddafi hanno siglato un «patto di amicizia» che ha chiuso il contenzioso coloniale. A ottobre scorso gli istituti finanziari libici erano invece entrati in forze nel capitale Unicredit: la Central Bank of Lybia, la Lybian Investment Authority e la Lybian Foreign Bank avevano comunicato a sorpresa di essere saliti al 4,23% della banca di Alessandro Profumo. Negoziati erano anche stati avviati per acquistare titoli Telecom. Ma i libici, si dice, avrebbero preferito investire in un business a loro familiare, come l'energia, e non in una scommessa imprenditoriale come quella telefonica.
A «frenare l'entusiasmo», però, provvede Stefano Saglia, presidente della Commissione Lavoro della Camera. «L'ingresso libico è un fatto storico - dice - il governo vigili con attenzione».

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