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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.12.2008 Pio XI, Pio XII e l'istruttiva vicenda degli "Amici Israel"
Alberto Melloni recensisce "Il Papa e il diavolo" di Hubert Wolf

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 dicembre 2008
Pagina: 42
Autore: Alberto Melloni
Titolo: «Capire Eugenio Pacelli attraverso le carte del predecessore Pio XI»
Dal CORRIERE della SERA del 3 dicembre 2008, a pagina 42, l'articolo di Alberto Melloni "Capire Eugenio Pacelli attraverso le carte del predecessore Pio XI "

È  lunghissima la lista di problemi che hanno nel pontificato di Pio XI uno snodo decisivo: nel bene e nel male, chiudendo o aprendo, negli anni fra il 1922 e il 1939 si definisce un'agenda che rimarrà sul tavolo per decenni. La fiducia e la revoca della fiducia nei fascismi, il confronto con lo stalinismo, il grumo del razzismo, la distinzione fra l'antisemitismo buono e quello cattivo, la decisione di insegnare la storia delle religioni nei seminari, la naturalizzazione della morale, l'attrazione e la ripulsa dell'ecumenismo, l'estensione mondiale della diplomazia vaticana, la nuova cultura teologica — tutto sembra passare da questo pontificato di cui ora, con l'apertura dei fondi Pio XI dell'Archivio segreto vaticano, si possono studiare le dinamiche.
Vari gruppi di studiosi si sono costituiti in Francia, in Germania, in Italia per avviare ricerche in cui le autorità pubbliche più lungimiranti hanno investito. Così l'École française de Rome ha organizzato da domani fino al 6 dicembre un importante convegno che si occuperà dei rapporti fra «Pio XI e la Francia», Paese che deve a quel pontificato la condanna del movimento di Charles Maurras, l'Action Française, collocato su posizioni di estrema destra.
L'Italia ha avviato alcune ricerche sulle fonti e presto — grazie al lavoro dello stesso prefetto dell'Archivio segreto, monsignor Sergio Pagano, che di questi studi è maestro per qualità e per impegno — leggerà in una monumentale edizione quei taccuini nei quali il cardinale Eugenio Pacelli annotava i contenuti delle udienze con Pio XI, di cui fu segretario di Stato dal 1930 al 1939, quando ne prese il posto sul soglio pontificio.
In Germania è stato Hubert Wolf ad avviare e dirigere una edizione delle carte della nunziatura di Monaco e poi di Berlino (aperte in anticipo rispetto alle altre filze): ma lo storico di Münster s'è anche cimentato con una impresa più ampia e complessa, come quella di entrare in una documentazione periodicamente resa incandescente da polemiche o da forzature apologetiche parimenti deprecabili.
Il Papa e il diavolo (Donzelli) di Wolf, infatti, si presenta come una serie di studi che si sottraggono, per scelta e qualità, alle strumentalizzazioni di chi non sa rassegnarsi all'esistenza dei fatti.
Al centro del volume c'è papa Ratti, «letto» in una unica partitura insieme al suo nunzio e poi segretario di Stato Pacelli, al capo del Sant'Uffizio Rafael Merry del Val, e più in generale a una curia solo in parte purgata dall'ossessione antimodernista. Attraverso un'attenta lettura Wolf mette in luce l'azione diplomatica di Pacelli e il rapporto di reciproca sfiducia che domina i suoi rapporti con l'episcopato tedesco, le sue ingenuità davanti alla vita del partito cattolico tedesco, le sue illusioni davanti al modo in cui il mondo leggerà allusioni, condanne e silenzi della Santa Sede.
Il Papa e il diavolo, però, dispiega tutte le potenzialità di un grande libro di storia quando le sue pagine incrociano, senza averlo premeditato, questioni che dal lungo periodo si distendono fino all'oggi. Una parte dell'opera di Wolf è infatti dedicata a un episodio, su cui anche altri (Maria Paiano, Rudolf Lill, Giovanni Miccoli) avevano ben lavorato, che cinque anni fa si poteva ritenere chiuso. E cioè il destino di una richiesta presentata alla congregazione dei riti dal movimento degli Amici Israel nel gennaio 1928. Questa associazione, che conta iscritti importanti anche in curia (dove forse la si confonde con un'opera di preghiera per la conversione degli ebrei), vuole separare dal razzismo il destino della catechesi cattolica del disprezzo antiebraico: e dunque chiede di togliere dalla preghiera universale del venerdì santo quell'aggettivo «perfidi» che la liturgia applicava agli ebrei. La richiesta appare plausibile, così come il ripristino delle genuflessioni all'oremus tolte in età carolingia: anzi il più grande storico della liturgia, l'allora abate Ildefonso Schuster (futuro arcivescovo di Milano), che nessuno poteva sospettare di «filogiudaismo», è favorevole alla cassazione di una formula di fatto «superstiziosa».
La correzione al messale, dunque, passa per un prescritto parere al Sant'Uffizio, dove, però, il cardinale Merry Del Val (annoverato fra gli Amici Israel, evidentemente con troppa leggerezza...) scatena una controffensiva: la correzione del messale viene respinta, l'associazione viene sciolta, il suo libretto programmatico condannato, i responsabili deferiti e perfino l'abate Schuster viene ammonito perché ritratti — e ritratta — il parere emesso.
Wolf documenta questi passaggi con un ricorso puntuale e calibrato alle fonti. Ma non può esimersi dal ricordare che quell'aggettivo fu tolto di mezzo da Giovanni XXIII nella settimana santa del 1959, quando il povero diacono dovette ricantare la formula perché, per emozione e abitudine, aveva cantato il pro perfidis che il Papa aveva ordinato di saltare. E se il perfidis fu mantenuto nella ristampa del rituale del 1961, cadde in quella del 1962, per poi scomparire insieme a tutta la formula nel messale di Paolo VI, dopo il Concilio.
Com'è noto quell'oremus — di fatto ripristinato dalle decisioni di Benedetto XVI del luglio 2007, che liberalizzano la messa di san Pio V — è stato al centro di polemiche roventi, che hanno riportato l'orologio dei rapporti fra ebraismo e cattolicesimo indietro di cinquant'anni: dopo averlo ammesso in nome della «tradizione» (e senza
perfidis), la Santa Sede ha scritto un quarto oremus per gli ebrei, diverso sia da quello del secolo XVI sia da quello del secolo XX. Un
oremus di cui non si è potuto chiarire il senso, se non riaffermando l'adesione piena... alla dottrina del Vaticano II! Cosa che parrà ovvia, ma che rivela come in materia di rapporti con l'ebraismo il terreno sia rimasto scivoloso: e l'esperienza del 1928, che Hubert Wolf ricostruisce con precisione, aiuta a capire perché e per chi.

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