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Il sogno infinito Harry BernsteinTraduzione di Silvia Bogliolo
Piemme Euro 18,00
Sono molto fortunato,scrive Harry Bernstein alla fine del suo ultimo (per ora) romanzo, Il sogno infinito: “Si dice che la memoria si offuschi con l’età, ma la mia al contrario si è fatta più nitida e adesso vedo i fatti con maggiore chiarezza rispetto a quando li vivevo”.
Viviamo in un mondo che ha fatto della giovinezza un valore, della vecchiaia una perdita. Una piaga da combattere, reprimere, possibilmente anche negare. Persino la letteratura celebra la giovinezza in quanto tale, come fosse un merito invece di uno stato della vita. Così, questo narratore quasi esordiente, classe 1910, desta uno stupore che assomiglia quasi alla commozione. Non che nella sua lunga vita Harry Bernstein abbia fatto molto altro, oltre a scrivere, come attestano il risvolto di copertina ma soprattutto la sua prosa disinvolta, amabile. Spontanea eppure sapiente.Ma la narrativa è un genere piuttosto nuovo per lui, seppure già ben collaudato ne “Il muro invisibile”, uscito l’anno scorso qui da noi. Questo secondo romanzo è il brioso proseguimento del precedente, in cui avevamo lasciato Harry dodicenne in un quartiere operaio dell’Inghilterra.
Ora lo ritroviamo sempre lì, certo. Ma sin dalle prime pagine prende corpo il sogno. Quel sogno per antonomasia che gli ebrei d’Europa, in quegli anni e anche prima, chiamavano Di Goldene Medina. L’Eldorado, insomma, per dirla in spagnolo invece che in yiddish. L’America, per dirla ancor più chiara.
Quell’America che in questi giorni racconta in libreria anche Amy Bloom in “Per sempre lontano” (Traduzione di Giovanna Granato per Einaudi, pp. 270, Euro 16,50). E’ interessante il fatto che queste due prove narrativa abbiano lo stesso tono lieve, niente affatto tragico, eppure profondo.
Tornando a Harry, alla sua numerosa famiglia, al padre ubriacone e violento e a quella santa donna della madre, l’America è un sogno all’inizio del libro. Come una bolla di sapone che appena la tocchi non c’è più. Ma diventerà ben presto terra vera sotto i piedi, una vita completamente nuova, avventure grandi e piccole. Il racconto oscilla fra una dimensione intima – sempre alimentata dall’affetto per questa madre santa sì, ma in carne, ossa e fatica – e un’altra chiassosa. Perché la famiglia è tutto fuorché composta. Ci sono infatti zie che fanno matrimoni strani, sorelle che diventano comuniste e un po’ scontrose, ma soprattutto un nonno con un piccolo e malizioso segreto che tutti conoscono.
Bernstein è bravissimo a evocare atmosfere, riesumare episodi divertenti, accendere nostalgie. Ma è bravo soprattutto a trasformare i ricordi in una narrazione che scorre senza intoppi, a non lasciare che restino frammenti sparsi e pretendere invece che diventino una storia vera e propria. E qui in America non può essere altrimenti, perché Harry incontra la sua grande famiglia, si mescola alla società, partecipa agli slanci e alle crisi, compresa quella del 1929.
Il tutto è condito con un sorriso che non muore mai, da toni sempre pacati e rassicuranti per il suo lettore. Anche se il libro è dedicato alla moglie che non c’è più, dopo sessantasette anni di matrimonio, benché “a volte penso che Ruby sia ancora accanto a me e mi sembra di avere la sua mano, morbida e calda, tra le mie”.
Elena Loewenthal
Tuttolibri – La Stampa
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