I terroristi di Mumbai diventano "martiri" l'articolo della vergogna sul sito web del quotidiano
Testata: La Repubblica Data: 01 dicembre 2008 Pagina: 0 Autore: Carlo Bonini - la redazione Titolo: «Otto commandos di terra e di maresraele- Israele- il video della vergogna»
Di seguito riportiamo un articolo apparso il 29 novembre sul sito REPUBBLICA.IT, sul massacro di Mumbai. I terroristi vi sono costantemente definiti "martiri". Riteniamo che l'uso di questo lessico, proprio dell'ideologia jihadista dei massacratori, sul sito di un grande quotidiano di informazione sia inaccettabile e ripugnante. Chiediamo ai nostri lettori di scrivere per protestare, indirizzando le proprie lettere a Beppe Smorto, direttore di REPUBBLICA.IT
La strage di Mumbai ha una voce di dentro. Che accusa della mattanza l'organizzazione separatista islamica "Lashkar-e-Toiba" e ne illumina il dettaglio militare. E' la voce di un uomo che confessa, o che quanto meno avrebbe cominciato a farlo, e che l'intelligence indiana identifica ora come Abu Ismail ora come Abu Islami, cittadino pachistano di Faridkot, distretto del Punjab, catturato giovedì dalle teste di cuoio nell'assedio dell'hotel Oberoi con un documento di identità delle isole Mauritius.
Il racconto di Ismail, alias Islami, non trova al momento altre conferme che non siano quelle delle autorità indiane che lo hanno raccolto e che ora ne fanno filtrare in parte il contenuto, insieme ad altri, numerosi dettagli recuperati sulla scena della strage. E dunque come tale va preso e con cautela maneggiato.
E' un racconto che ha il suo incipit il 12 novembre scorso. Quattordici giorni esatti prima della mattanza. Nel porto della città di Karachi, Pakistan.
L'operazione che deve portare la morte e il terrore a Mumbai è stata pianificata sei mesi prima. Da "Lashkar-e-Toiba", da uno dei suoi capi militari. Tale Youssuf Muzami, che ha la sua base a Muzzafarabad, capitale del Kashmir pachistano. Il suo telefono - riferiscono fonti della Sicurezza indiana - riceve le prime significative chiamate proprio quel 12 novembre dai cellulari dei martiri che troveranno la morte negli hotel Oberoi e Taj Mahal. Perché, il 12 novembre, i martiri lasciano il Pakistan. Su una banchina del porto di Karachi li carica a bordo una nave mercantile, la MV Alpha, ufficialmente registrata in Vietnam. Non è chiaro in quanti si imbarchino. Almeno in quaranta, secondo i Servizi indiani. Né è chiaro se, insieme agli uomini, la Mv Alpha carichi anche armi e gommoni. E' certo invece che la nave dirige la sua prua verso Mumbai, nella cui rada arriva il 17 novembre. C'è una seconda imbarcazione che si muove. E' un peschereccio con moderni sistemi di navigazione gprs. Si chiama Kuber e ha sigla PBR2302. E' stato affittato il 13 novembre, poi ritrovato a 5 miglia da Mumbai con a bordo un cadavere con la gola squarciata. Il peschereccio si muove da Por Bandar, nel Gujarat indiano (distretto sulla costa nord-occidentale dell'India). Anche nella sua stiva - ritengono i Servizi indiani - si nascondono armi e uomini. Anche il Kuber è diretto a Mumbai.
Negli stessi giorni in cui la Mv Alpha e il Kuber attraversano le acque dell'Oceano Indiano, a Mumbai è al lavoro una seconda squadra di martiri. Quattro di loro alloggiano al Taj Mahal. Sono tutti pachistani. Due di loro vengono assunti nelle cucine dell'albergo. Altri due, si fingono uomini d'affari. Pagano per tre stanze e fanno grande uso di contanti (in uno dei loro appartamenti, saranno trovati 1.200 dollari e 6.840 rupie). Si registrano con passaporti europei. Meglio, secondo indiscrezioni, con passaporti inglesi, che dimostrerebbero una cittadinanza che, da Londra, sia pure con cautela, il premier inglese Gordon Brown al momento smentisce.
E' un fatto che nella gran messe di bagagli che scaricano al loro arrivo in hotel, ci sono sacche che contengono decine di granate di fabbricazione cinese, fucili d'assalto Ak47 e migliaia di munizioni. Ci sono anche 23 chilogrammi di esplosivo sintetico Rdx, con cui l'albergo dovrà essere minato. Perché il copione sanguinario che si preparano a mettere in scena prevede che di quell'edificio simbolo dell'India non rimanga in piedi neppure una pietra. I giorni che separano dal 26 novembre sono il tempo necessario ai quattro del Taj Mahal per verificare con esattezza le planimetrie dell'albergo di cui sono in possesso. Le uscite di sicurezza, l'accesso ai piani, le modestissime misure di difesa passiva, le telecamere del sistema televisivo a circuito chiuso senza le quali la security dell'hotel è cieca. E' un lavoro, a quanto pare, certosino. Che viene ripetuto all'hotel Oberoi, dove, il 22 novembre, prende alloggio proprio Abu Ismail, alias Islami, con almeno altri sei martiri. Un lavoro che consentirà, la notte del 26, di sigillare i due alberghi in una morsa capace di resistere a un assedio di due giorni e due notti sotto gli occhi del mondo.
Quelle del Taj Mahal e dell'Oberoi non sono le sole ombre a muoversi a Mumbai in quegli ultimi giorni di preparazione. Altri martiri hanno raggiunto la città. Alloggiano in appartamenti per studenti, alcuni dei quali, se i Servizi indiani raccontano il vero, affittati addirittura dal Centro ebraico, uno degli obiettivi. La sera di mercoledì 26 tutto è pronto. La Mv Alpha e il Kuber sono in rada. I martiri negli alberghi sono pronti a dare inizio alla mattanza.
Per percorrere il breve tratto di mare tra il punto in cui il mercantile vietnamita e il peschereccio sono ancorati e la riva su cui affaccia il Gateway of India e il quartiere degli hotel cinque stelle, i commando utilizzano gommoni. Li intercetta lo sguardo incuriosito di povere barche di pescatori, i quali riferiranno successivamente di essere stati invitati ad allontanarsi da quegli uomini armati e con pesanti zaini sulle spalle che si dicevano militari indiani.
Una volta a terra i commando si dividono in otto unità di fuoco. Ognuna con un obiettivo che Mumbai e il mondo impareranno a conoscere. Il Centro ebraico, il Leopold Café, Victoria Station, gli uffici di polizia di Colaba, che i martiri sanno sarà la prima ad essere allertata quando l'assalto avrà inizio e dunque per prima dovrà essere annichilita.
Il piano prevede che, seminata la morte e il terrore, le otto squadre ripieghino sui grandi alberghi, dove Ismail e gli altri martiri hanno smesso di essere gentili ospiti per diventare macchine di morte. E il piano, a ben vedere, funziona alla perfezione. La sorpresa è assoluta. La polizia di Colaba è annichilita. I primi rinforzi finiscono nell'inferno del fuoco incrociato di uomini di cui ignorano la posizione e la destinazione. Il Taj Mahal e l'Oberoi resisteranno a un assedio di 48 ore, diventando la tomba di decine di innocenti.
Fonti dei Servizi indiani, citate dalla France Presse, sostengono che Ismail, alias Islami, continuerà ad essere interrogato fino a quando non dirà quel che ancora non avrebbe detto. Fino a quando non consegnerà a chi lo interroga notizie utili a ricostruire la provenienza esatta delle armi da guerra caricate lungo la sua rotta dalla MV Alpha e del Kuber e arrivate con i "gentili ospiti" all'Oberoi e al Taj Mahal nella settimana prima della strage. Sempre che qualcun altro tra i martiri sopravvissuti non cominci a farlo prima di lui.
Il sito REPUBBLICA.IT, occorre sottolineare, non è certo estraneo alla demonizzazione di Israele compiuta dai mezzi di informazione. Al seguente link si può vedere quello che REPUBBLICA.IT definisce "video della vergogna". Vi si vedrebbe, durante i tafferugli nati da una manifestazione contro la demolizione di case abusive, un soldato israeliano colpire con una testata una donna palestinese. In realtà, le immagini non sembrano per nulla chiare. In ogni caso, l'episodio in questione sarebbe potuto avvenire in qualsiasi paese, e, indipendentemente dal fatto che vi sia stato o meno un abuso da parte del singolo soldato, lo spazio ad esso dedicato sul sito di REPUBBLICA appare sproporzionato. A meno di non collocare la scelta redazionale nell'ambito appunto, nel quadro della campagna globale di delegittimazione e demonizzazione di Israele. Campagna alla quale anche i terroristi di Mumbai hanno fatto riferimento, giustificando i propri crimini come vendetta per ciò che gli israeliani farebbero a danno dei palestinesi.