Ebrei e israeliani nel mirino della jihad mondiale il retroscena del massacro di Mumbai nell'analisi di Francesca Paci
Testata: La Stampa Data: 01 dicembre 2008 Pagina: 8 Autore: Francesca Paci Titolo: «Israele ha paura “Noi nel mirino in tutto il mondo”»
Da pagina 8 e 9 de La STAMPA del 1 dicembre 2008, un articolo di Francesca Paci, "Israele ha paura “Noi nel mirino in tutto il mondo”". Ecco il testo:
La nostra missione specifica era colpire gli israeliani per vendicare le atrocità commesse sui palestinesi». Le parole di Azam Amir Kasab, l'unico superstite del commando kamikaze che ha insanguinato Mumbai, giungono in Israele come una conferma. Nessuno qui dubita più che l'attacco al centro ebraico Chabad Lubavitch, in cui hanno perso la vita nove persone, fosse premeditato. A cominciare dal premier israeliano Ehud Olmert che ieri, mettendo in guardia il mondo dal «tentativo dell'Islam estremista di seminare morte ovunque», ha chiamato i suoi all'allerta massima, «tra gli obiettivi dell'attentato c'erano anche istituzioni ebraiche». La confessione del ventunenne pachistano però, aggiunta all'ipotesi che i terroristi abbiano soggiornato per un certo periodo alla Chabad House spacciandosi per studenti malaysiani, libera analisti e 007 israeliani dal complesso d'apparire sovente allarmisti al limite della paranoia. «Ebrei e israeliani sono sempre stati nel mirino della jihad, la guerra santa dei fondamentalisti musulmani - osserva il professor Jonathan Spiyer, esperto del Centro Interdisciplinare di Herzliya, l'accademia dell'intelligence -. Hanno cominciato i palestinesi negli Anni 70 e Osama bin Laden ha raccolto il testimone». La lista dei precedenti è lunga: «Sinagoghe e luoghi kosher sono stati colpiti in Argentina vent'anni fa e poi in Tunisia, Marocco, Turchia, Egitto». Momenti diversi della medesima strategia, secondo il colonnello Yoni Figel, guru dell'antiterrorismo: «La dichiarazione d'intenti di al Qaeda, pubblicata nel 1998 sul quotidiano londinese al Quds al Arabia, parlava già del nemico ebraico. Si tratta di un classico esempio di “lavoro locale e pensiero globale”: le cellule terroristiche rivendicano un obiettivo regionale, come questa volta il Kashmir, ma agiscono nel quadro della grande offensiva contro l'occidente e Israele». Venerdì, durante le ultime ore della mattanza indiana, il ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni ha auspicato un fronte unico contro la minaccia jihadista. Mumbai segnerà l'inizio di una nuova era di cooperazione internazionale? Il rabbino Marvin Heir, responsabile del Centro Wiesenthal, scuote la testa scettico: «L'assemblea generale delle Nazioni Unite ha una lunga lista di sezioni speciali, la droga, l'apartheid, l'ambiente. Ma non ha mai messo all'ordine del giorno gli attentati kamikaze per non urtare la sensibilità degli oltre 54 Paesi musulmani. Se il terrorismo non è oggi una priorità assoluta non capisco cosa lo sia». Israele, intanto, va avanti per conto proprio. «Alzeremo lo stato d'allarme nella protezione delle nostre ambasciate, gli istituti religiosi, gli scali aerei, ma niente allarmismo, siamo abituati», continua Yoni Figel. Ci sono 60 mila giovani israeliani che ogni anno si congedano dall’esercito e partono alla volta dell'Oriente, meta finora considerata sicura. Ci sono 4 mila ebrei che vivono in India, specialmente a Mumbai, e sperimentano, per la prima volta in tre secoli, l'ansia d'essere nel mirino. E ci sono oltre 4000 Chabad House sparse in tutto il mondo, dal Vietnam al Congo, ambasciate dell'ebraismo estranee all'ideologia sionista ma non per questo risparmiate dai kamikaze pachistani. «Non cederemo alla violenza, non ci chiuderemo in una fortezza» ripete il rabbino Menachem Brod dal quartier generale delle Chabad in Israele. «Io non ho paura», assicura dall'aeroporto Ben Gurion la venticinquenne Rotem Weil in partenza per Goa. In senso contrario, centinaia di connazionali tornano in anticipo dalle vacanze indiane.
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