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La Stampa Rassegna Stampa
24.11.2008 Football femminile secondo la legge religiosa ebraica
un articolo di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 24 novembre 2008
Pagina: 60
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Il football di Mosè tra gonne e Torah»
Da pagina 60 de La STAMPA del 24 novembre 2008, riportiamo l'articolo di Francesca Paci "Il football di Mosè tra gonne e Torah".
Il sottotitolo " Abbigliamento castigato, riposo al sabato e cibo kosher
Così le ragazze israeliane conciliano sport e leggi sacre" confonde evidentemente le ebree ortodosse con la totalità delle israeliane, molte delle quali non seguono le norme religiose rispettate dalle prime. 
Ecco il testo :

Orly corre a testa bassa con la palla ovale stretta al petto, schiva Esti e Ayalet ma viene fermata da Sari che manca le bandierine lungo i fianchi e l'afferra per la gonna jeans al ginocchio infilata sui pantaloni della tuta. Fallo. Orly batte il cinque a una compagna con il fazzoletto in testa e riparte, mentre a bordo campo il coach urla in inglese «Go! Go! Go!».
L'allenamento di questa specie di rugbiste vestite a strati è ormai uno spettacolo familiare per le mamme gerosolimitane che attraversano il parco Gan Sacher con la carrozzina a due o tre posti, si fermano a curiosare attraverso la rete del Kraft Stadium, a pochi isolati dalla Knesset, il parlamento israeliano, e ripartono alla volta di casa. Fino a una decina d'anni fa sarebbe sembrata una provocazione da ebrei riformati. Qui, nella patria biblica, le donne ortodosse adorano tenersi in forma, ma lo fanno rigorosamente dietro i vetri fumè della palestra Kosher Gym, uno dei più frequentati centri sportivi a prova di rabbino nei pressi del quartiere ultrareligioso Mea Shearim.
Un giorno, all'inizio del 2001, il presidente dell'American Football Association Steve Leibowitz chiese alle fanciulle che da lontano osservavano il training di fratelli e mariti se volevano cimentarsi nello sport più popolare dei campus americani, il mitico flag football, una via di mezzo tra l'intramontabile ruba-bandiera e il touch football, variante gentile del football americano «inventata» mezzo secolo fa dai Kennedy sul prato della residenza estiva di Hyannis Port. Quelle risposero «yes», arrossirono, e lo presero sul serio.
«È cominciata davvero così» racconta Leibowitz mostrando l'album con le fotografie di sei anni di successi. Sugli spalti, le mamme di Orly, Esti, Ayalet, Sari, con il cappello e i nasi arrossati dal primo freddo, applaudono incoraggianti. Finita la partita delle principianti sarà il turno della nazionale, le campionesse allenate da mister Yona Mishan che l'estate scorsa si sono classificate quarte ai campionati mondiali del Canada. In Francia, alcuni mesi prima, erano arrivate prime.
«Solitamente per noi religiose è molto difficile praticare sport competitivi perché la maggior parte delle gare si svolge durante lo shabbat, il giorno del riposo» spiega Shanna Sporhg, 22 anni, bionda, tonica, nata in Florida e cresciuta in Israele, attaccante della nazionale sin dal match d'esordio e trainer della squadra locale Jerusalemite Big Blue. Il cappello da baseball con la visiera sostituisce il copricapo che indossa durante il giorno, tra i viali e nelle aule dell'università Bar Ilan di Tel Aviv dove si è laureata in arte contemporanea. «Quando abbiamo cominciato a giocare a flag football abbiamo domandato un regolamento ad hoc che rispettasse l'Halacha, la legge ebraica» continua. Dopo il team nazionale è arrivata la Lega nazionale, di cui fanno parte 13 squadre, e il riconoscimento ufficiale della Ayelet, la federazione israeliana degli sport non olimpici.
I comandamenti del flag football sono un Bignami aggiornato e corretto del decalogo di Mosè. Le giocatrici sono autorizzate a indossare ciò che vogliono sotto la maglietta bianca o azzurra con le maniche fino al gomito e la bandiera d'Israele, riposare il sabato, mangiare esclusivamente cibi kosher. Soprattutto in trasferta, sottolinea Steve Leibowitz: «All'estero le difficoltà sono maggiori. Mentre le altre squadre giocano venerdì, sabato e domenica, noi dobbiamo concentrare tutte le partite venerdì e domenica ritagliandoci anche il tempo per le preghiere, uno sforzo agonistico non indifferente». Tre anni fa la nazionale rinunciò a partecipare al campionato europeo perché coincideva con la festività ebraica di Rosh Hashana. Poi ci sono i pasti: «Maiale no, coniglio no, frutti di mare no, generalmente, per sicurezza, ci portiamo il cestino pranzo da casa». Risultato, il flag football è diventato l'orgoglio delle ultrareligiose: sarà perché parla la lingua delle immigrate dagli Stati Uniti, sarà perché rispetta alla lettera la Torah, ma oltre il 70 per cento delle 160 giocatrici israeliane è superortodosso. Una cifra destinata a crescere, conferma la numero uno dell'Ayalet Nurit Lev: «Abbiamo appena stanziato 80 milioni di shekel, circa 16 milioni di euro da investire nei prossimi dieci anni nello sviluppo dello sport femminile». Con buona pace dei fustigatori locali che a giugno, per motivi di «decenza», imposero una mantella lunga fino ai piedi alle ballerine ingaggiate per l'inaugurazione del ponte di Calatrava a Gerusalemme.
«Mio marito non è contrario, mi incoraggia molto e mi aiuta con i bambini» dice Aliza Zussman, difensore delle Mothers of Modi'in, 33 anni e quattro figli che fanno il tifo da casa. Altre compagne di squadra ne hanno sei, sette. Aliza corre, si blocca, arretra rapidamente quasi portasse un paio di shorts elasticizzati anziché la gonna a balze scura: l'allenamento settimanale è roba seria, ginnastica dura e partite di 40 minuti, 5 contro 5, come nel campionato nazionale che comincia il mese prossimo.
«Il football che giocano le donne è diverso dal nostro e non solo perché sono meno numerose in campo» spiega Gery Steven, 30 anni, attaccante della nazionale maschile. Nessun contatto, scatto e velocità, una specie di danza liberatoria. All'inizio Gary credeva che le gonne, i copricapi, l'abbigliamento castigato sarebbero risultati d'impaccio nella competizione. Neppure per idea: «Si sono dimostrate bravissime, in pochi anni hanno raggiunto livelli d'eccellenza e gareggiano con avversari internazionali».
Orly esce trafelata dal campo e tracanna d'un fiato mezzo litro d'acqua. Dallo zainetto aperto esce il libro delle preghiere. Poco distante, con aria indifferente, un agente in divisa passeggia perlustrando i viali intorno allo stadio. Nessuna ragione di sicurezza nazionale in questo caso: un occhio vigile sul parco per proteggere le ragazze del football dai guardoni.

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