Sul FOGLIO di oggi, 22/11/2008, a pag. 3,due cronache da New York. Incluse alcune valutazioni sulle intenzioni di Barack Obama sui futuri rapporti con Israele.
1. Perchè Obama sceglie il " polizziotto cattivo " Clinton agli Esteri:
New York. Hillary Clinton è a un passo dall’essere scelta come Segretario di stato. Ufficialmente Barack Obama non ha ancora nominato nessun membro del suo Gabinetto, ma ogni giorno dalle stanze del suo quartier generale escono nomi e indiscrezioni vere e non smentite, malgrado sia in vigore la regola che chiunque passi notizie ai giornali sarà licenziato. La macchina perfetta di Obama, scrive il Washington Post, sta cominciando a capire che i costumi politici della capitale americana sono difficili da cambiare. Così sappiamo già nomi e profili dell’Attorney general (Eric Holder), del segretario alla Sanità (Tom Daschle) e alla Sicurezza nazionale (Janet Napolitano) oltre a una serie di consiglieri dello staff della Casa Bianca. Sono scelte di alto profilo, considerate eccellenti anche da molti commentatori conservatori (ieri David Brooks sul New York Times) e criticate soltanto dalle ali estreme dei due partiti. La prima soffiata alla stampa, però, è stata quella su Hillary Clinton al Dipartimento di stato. Un ulteriore “leak” obamiano, ieri, ha fatto trapelare la notizia che il presidente eletto nominerà la sua ex rivale subito dopo il giorno del Ringraziamento, probabilmente venerdì prossimo. Bill Clinton ha accettato di far conoscere agli obamiani i nomi dei finanziatori stranieri (e segreti) della sua Fondazione, per evitare all’Amministrazione possibili imbarazzi futurie pare che l’affare sia fatto: Hillary guiderà la diplomazia americana per conto di Obama. C’è chi parla già di “poliziotto cattivo”, cioè Hillary, e di Obama nel ruolo di quello “buono”, anche perché i due in campagna elettorale avevano idee molto diverse su come affrontare le prossime sfide americane. Obama diceva che avrebbe incontrato senza precondizioni i nemici degli Stati Uniti, dall’Iran a Cuba, mentre Hillary sosteneva che quella era una posizione ingenua e irresponsabile. Ora, se davvero l’ex first lady andrà al Dipartimento di stato, come pare, sarà lei a dover avviare quelle negoziazioni con i nemici che reputava illusorie e pericolose. Ma in questo modo, con Hillary a condurre le trattative, Obama potrà contare sulla leader più tosta e muscolare che potesse trovare tra i democratici (con l’eccezione di Joe Lieberman). Tanto più se, come sembra, a occuparsi del dossier arabo-israeliano ci sarà anche Dennis Ross, l’esperto diplomatico che non ha mai avuto remore ad accusare Yasser Arafat di aver fatto saltare l’accordo di pace con gli israeliani. Queste prime mosse “falche” di Obama cominciano a far rumoreggiare sui giornali e sui blog l’ala sinistra della sua coalizione, anche perché tutte le persone di cui si sta circondando – da Joe Biden a Hillary Clinton, da Rahm Emanuel a Tom Daschle – nel 2002 hanno votato con convinzioneconvinzione per autorizzare George W. Bush a usare la forza contro Saddam Hussein. Obama sembra deciso a concedere al fronte pacifista che gli ha fatto vincere le primarie la chiusura di Guantanamo e la riscrittura delle regole giuridiche della guerra al terrorismo, grazie a Eric Holder al dipartimento di Giustizia e al consigliere legale della Casa Bianca Greg Craig, ma non è stata ancora trovata una soluzione credibile per il trattamento dei “nemici combattenti” detenuti a Guantanamo e per quelli catturati in futuro. Le voci provenienti da Chicago, inoltre, segnalano che Obama sta organizzando un team di sicurezza nazionale che non dovrebbe cancellare l’architettura antiterrorismo creata dopo l’11 settembre. Il suo consigliere per la Sicurezza nazionale, sempre secondo indiscrezioni, sarà l’ex generale dei marine James Jones, ex comandante supremo Nato, e grande amico di John McCain (a giugno ha pure partecipato a un suo evento elettorale). Alla Cia, invece, pare che Obama voglia mandare il repubblicano John Brennan. Vice del direttore della Cia George Tenet fino al 2005, Brennan non è estraneo al dossier sulle armi di Saddam e sostiene l’efficacia delle deportazioni clandestine (“rendition”), delle tecniche “intensificate” di interrogatorio e dell’immunità garantita alle società di telecomunicazioni coinvolte nelle operazioni di spionaggio del governo.
2. Dante, Moby Dick, le ostriche e la bravura di Mr O. agli inizi :
New York. “Center Cut”, su quello spicchio di 63esima che divide Broadway da Columbus Avenue, è una nuova, lussuosa e moderna interpretazione della classica steakhouse di Manhattan. Il pensatore newyorchese Franco Zerlenga, reduce da una lecture storica tenuta alla New York University sugli ebrei croati salvati dai militari italiani durante la Seconda guerra mondiale, malgrado gli ordini contrari di Benito Mussolini, ordina sei ostriche di Cape Cod, una doppia zuppa cremosa di aragosta con bignet all’erba cipollina e una “pioggerellina” di vino manzanilla, poi un piatto di asparagi sbollentati e, per finire, una banana split caramellizzata. Zerlenga è ancora euforico per la vittoria di Obama e segnala ogni singola mossa del presidente eletto, in particolare la scelta diGreg Craig come consigliere legale della Casa Bianca, come la premessa di un futuro radioso: “Non sono innamorato di Obama – dice Zerlenga – sono felicissimo che siamo tornati a parlare di politica e a occuparci del futuro senza quei limiti ideologici che distruggono la creatività degli uomini”. A Zerlenga piace molto anche l’elezione del filo ambientalista Henry Waxman alla guida della Commissione energia della Camera, perché “la politica energetica è un elemento essenziale per il futuro del Ventunesimo secolo”. Zerlenga non si ferma un attimo di lodare Obama, la sua abilità politica, la risposta ai deliri di al Qaida, il velato avvertimento all’Arabia Saudita su Bin Laden, la bravura nell’esercitare il potere, “ovvero la capacità di far fare agli altri le cose che vorresti fare tu”, la disponibilità a lavorare con i repubblicani, la facilità con cui si libera con un semplice gesto dellaspalla degli attacchi personali (“in politica non c’è niente di personale”). Zerlenga si quieta qualche attimo per consigliare un saggio di Hilary Putnam dal titolo “Pragmatism” che, dice, dovrebbe leggere chiunque crede che il pragmatismo non sia una filosofia di governo intellettuale; per invitare a leggere un libro di Annette Gordon-Reed, “The Hemingses of Monticello”, che ha appena vinto il National Book Award per la storia della famiglia nera discendente di Thomas Jefferson; per sfoderare dalla sua borsa di cuoio una copia di Moby Dick e ricordare che a gennaio, a New Bedford, si tiene l’annuale maratona di lettura per 24 ore consecutive del capolavoro di Herman Melville. Zerlenga, in passato, ha vinto tre volte, ma ora è impegnato in un progetto più ambizioso: “Manhattan è l’Inferno di Dante – dice – e proprio qui sotto c’è una statua del Poeta eun’altra si trova a Trenton, in New Jersey”. Zerlenga sta organizzando, per il 2010, una tre giorni dantesca a New York, fitta di convegni, seminari, studi internazionali e completa di maratona di lettura dell’Inferno. Sogna anche una conferenza mondiale in risposta “all’attacco alla libertà dell’occidente” che l’Arabia Saudita, complice l’Onu, ha sferrato nei giorni scorsi proponendo una legge universale che impedisca di criticare la religione. Nessuno se ne occupa, si lamenta Zerlenga che, dopo Obama, ora spera che in Israele vinca Bibi Netanyahu, “l’unica persona seria rimasta”. Non si preoccupa del giudizio degli obamiani d’Italia che considerano il leader del Likud il male assoluto. “Sono ignoranti – dice – E non hanno ancora capito Obama, anzi se Veltroni continua a paragonarsi a lui, quindi a insultare il mio presidente, io lo querelo.
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