Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Il dramma degli ebrei iracheni in un film di Joe Balass
Testata: Corriere della Sera Data: 22 novembre 2008 Pagina: 53 Autore: Giuseppina Manin Titolo: «Un ballo disperato a Bagdad: il dramma degli ebrei iracheni»
Un ballo disperato a Bagdad: il dramma degli ebrei iracheni
Trentatré minuti raccontano l'«Eden» scomparso
La nostalgia è un sentimento naturale ed importante, ed è naturale che faccia parte della vita del regista Joe Balass. Il quale però può permettersi di ricordare il passato suo e della sua famiglia, l'Iraq che non c'è più, avere voglia di tornarci, solo perchè è riuscito a salvarsi da una morte sicura che avrebbe sterminato lui e i suoi se non fossero fuggiti in tempo. Il dialogo è una gran bella cosa, se dall'altra parte c'è qualcuno che ne accetta le regole. E' sempre utile ricordarsene, soprattutto se oggi si vive comodamente in Canada. La cronaca è a pag 53 del CORRIERE della SERA di oggi, nella corrispndenza di Giuseppina Manin, inviata a Torino per seguire il morettiano Film Festival. Il quale ospita anche due film israeliani, che segnaliamo ai nostri lettori, < Etz Limon/ Lemon Tree > di Eran Riklis e < Les Sept Jours > di Ronit e Shlomi Elkabetz.
Ecco l'articolo:
DAL NOSTRO INVIATO TORINO — La città era bella da mozzare il fiato. Cupole d'oro, fiumi attraversati da giunche leggere, palazzi imponenti e giardini rigogliosi. Un luogo da mille e una notte dove ebrei e musulmani vivevano in pace, le ragazze giocavano a pallavolo, portavano i capelli sciolti, abiti corti e fioriti. E la sera le loro gambe velate si agitavano insieme con quelle dei giovanotti nel ballo di moda del momento: il twist. Quella città era Bagdad. Mezzo secolo fa, quando Saddam era ancora lontano e gli americani, le bombe, la guerra, un futuro che nessuno avrebbe mai immaginato. Certo non Valentina Balass, ai tempi tra le più belle fanciulle della comunità ebraica di stanza nella capitale irachena. «Centottantamila persone, un terzo della popolazione di Bagdad. Mercanti facoltosi, il cui peso sociale era equivalente a quello degli ebrei di oggi a New York», ricorda Joe Balass, 42 anni, figlio di Valentina, autore di Baghdad Twist, film-documento ieri di scena al Torino Film Festival. Trentatré minuti in bianco e nero e a colori per raccontare un Iraq che non c'è più. Una città allora chiamata il «Giardino dell'Eden», oggi diventata un ammasso di rovine intrise di sangue e di odio. «E' stato come gettare uno sguardo su un altro mondo», assicura il regista, che da quei luoghi un tempo felici dovette fuggire, insieme con la sua famiglia, nel 1970, in seguito alla Guerra dei sei giorni. «Avevo quattro anni. Non mi resi conto di niente. Mia madre fu molto brava e cercò di farmi credere che si trattava di un gioco: mi caricò in auto con mio fratello maggiore e senza prendere su niente, lasciando la casa così com'era, persino il frigo pieno per non destare sospetti, ci portò via. Prima in Israele, poi in Canada, dove già si erano rifugiati dei nostri parenti. Noi siamo stati tra gli ultimi ad andarcene. Mia madre amava quel Paese. "Sono un'ebrea irachena", ripeteva. Ma la vita per noi era diventata troppo pericolosa. Mio padre era già stato arrestato più volte, i vicini che prima ci sorridevano ormai ci guardavano con sospetto. Fossimo rimasti, saremmo morti». Di quei giorni lontani a Joe restavano flebili ricordi: «Quel viaggio improvviso, l'ombra della nostra casa dietro di noi...». Fantasmi con cui comunque, prima o poi, lui doveva fare i conti. «Ero curioso di saper di più su quel passato misterioso. Quando la tv parlava dell'Iraq in famiglia si faceva silenzio, mia madre non staccava gli occhi dal video. Raccontami, le dicevo. E lei mi raccontò. Con lei sfogliai fotografie, scoprii un filmino in super8 del matrimonio di mio zio e mia zia. Quelle persone allegre, scatenate in un ballo "trasgressivo" come il twist, stridevano terribilmente con l'immagine dell'Iraq di oggi». Un mondo dolce e amaro, come dice nel filmato Valentina. «Attentati, l'eterna guerra con i curdi. Il colpo di stato di Hassan al-Bakr nel '68, nel '79 l'ascesa di Saddam». Lo stesso anno della caduta dello Scià in Iran. Il percorso di esilio, memoria, identità di Joe Balass ricorda quello di Marianne Satrapi in «Persepolis». «Difficile stabilire quali sono stati gli anni migliori di Paesi così complessi. Certo, dal punto di vista dell'emancipazione femminile, quello fu un periodo d'oro. L'indipendenza e la libertà sembravano a portata di mano. Mia madre riuscì persino a indossare i pantaloni. E anche con Saddam, dittatore sanguinario, le donne giravano senza velo. Oggi sono tornate indietro, costrette a coprirsi, a chiudersi in casa. Insomma, se l'Iraq di allora non è da rimpiangere, quello di adesso non è migliore». Vorrebbe tornare a Bagdad? «Sì. Sono nato lì, sono arabo ed ebreo. Identità che possono e debbono coesistere. Un tempo là musulmani, cristiani ed ebrei vivevano insieme. Oggi si calcola che di ebrei ne siano rimasti solo cinque. Chi vuole la guerra fomenta la paura del diverso. In realtà siamo tutti uguali. Torniamo a parlarci. Senza dialogo non c'è uscita». G. Ma. Autore Sopra Joe Balass, 42 anni, autore di «Baghdad Twist» (una scena nella foto a sinistra)
Per inviare al Corriere dellaSera la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.