LA REPUBBLICA di oggi, 22/11/2008, a pag.36, anticipa alcune pagine del libro di Ahmed Rashid " Caos Asia, il fallimento occidentale nella polveriera del mondo ". Lo riprendiamo, perchè l'analisi di Rashid è identica a quella di molti analisti, capaci di vedere soltanto le colpe dell'Occidente. L'autore descrive i disastri del proprio paese, pretendendo la soluzione dei problemi che li attanagliano. Naturalmente gli otto anni della gestione Bush vengono messi sotto accusa, ma l'unica cosa di cui sono capaci è richiedere a gran voce l'intervento di una bacchetta magica. Come fa anche Rashid, che ignora le reali condizioni del suo paese, che sono tali da millenni, non certo a causa del cattivo occidente. Al quale però si chiede di fare il miracolo, e, se questo non accade, la colpa viene attribuita al Bush di turno. Sono righe istruttive, quelle che seguono. Se il terrorismo non fosse una minaccia reale per il mondo intero, verrebbe voglia di dire ai grilli parlanti come Rashid, aggiustatevi, sconfiggete voi i cattivi di casa vostra, niente più interventi dall'occidente sempre colpevole. Oltre a tutto si risparmierebbero enormi quantità di denaro, che potrebbero essere destinate a miglior causa. Ma il terrorismo minaccia anche noi, intervenire è un obbligo. Rashid, invece delle prediche, ci dica cosa occorre fare realmente. Di grilli parlanti e scriventi ne abbiamo fin troppi a casa nostra.
Per il comune cittadino afgano, quanto è realmente cambiata la vita?Sono passati sette anni (dalla cacciata dei Taliban n.d.r.) e l´Afghanistan si piazza ancora al quintultimo posto dello Human Development Index dell´Onu in termini di istruzione, longevità e performance economica. La sua posizione di 174simo paese su 178 lo pone solo al di sopra dei paesi più poveri dell´Africa. Un terzo degli afgani non ha abbastanza da mangiare, e solo il 12 per cento delle donne sa leggere e scrivere, rispetto al 32 per cento degli uomini. L´aspettativa di vita è di soli 43 anni, la metà di quella degli Stati Uniti.
I Taliban ora si stanno espandendo in Pakistan molto più rapidamente di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare, anche nel 2007. La crisi non si è creata tanto per la riuscita della loro strategia, quanto per il fallimento delle politiche delle forze armate e di Musharraf. I leader del terrorismo mondiale vivevano già sul lato pachistano del confine, ma con la formazione dei Taliban pachistani ora sono in grado di espandere a piacimento la propria influenza, le aree delle loro basi e i campi di addestramento su tutto il Nord del Pakistan. (...) Gli ultimi tre periodi di prolungato regime militare in Pakistan hanno coinciso con grandi flussi di aiuti Usa al paese, ma mai nelle quantità che l´amministrazione Bush si è dedicata a fornire a Musharraf. Tra il 1954 e il 2002, gli Stati Uniti hanno trasferito un totale di 12,6 miliardi di dollari in aiuti economici e militari al Pakistan, dei quali 9,19 miliardi sono stati versati in 24 anni di regime militare, mentre solo 3,4 miliardi sono andati a governi civili su un arco di 19 anni. Tra il 2001 e il 2007 la somma elargita dagli Stati Uniti al regime di Musharraf ha superato i dieci miliardi di dollari. E qual è stato il profitto lordo di questi aiuti?
Oggi, sette anni dopo l´11 settembre, il mullah Omar e la Shura taliban afgana originaria vivono ancora nella provincia del Belucistan. Leader taliban afgani e pachistani vivono nel Nord, nelle Fata (regioni autonome pachistane n.d.r.), e così le milizie di Jalaluddin Haqqani e di Gulbuddin Hikmetyar. Al Qaeda ha un asilo sicuro nelle Fata e con loro risiede una pletora di gruppi terroristici asiatici e arabi che stanno espandendo il loro raggio d´azione in Europa e negli Stati Uniti. Gli Stati Uniti e la Nato non sono riusciti a capire che i Taliban non appartengono né all´Afghanistan né al Pakistan, ma sono un Lumpen-popolo, il prodotto di campi profughi, madrasa militarizzate e mancanza di opportunità nella regione di confine tra Pakistan e Afghanistan. Non sono né veri cittadini dell´uno o dell´altro paese né hanno conosciuto la tradizionale società tribale pashtun. Più durerà la guerra, più i Taliban e il loro ambiente transnazionale si espanderanno, mettendo radici.
La dottrina Bush è stata sovraccaricata di menzogne, omissioni e manipolazioni propagandistiche - e tutto questo non ha fatto molto per incrementare la fiducia globale verso gli Stati Uniti. Ci vorrà una generazione prima che il mondo cominci a vedere l´America sotto una luce diversa, e per il prossimo presidente Usa sarà un impegno non da poco coltivare una nuova immagine dell´America, indipendentemente dal problema immediato del cosa fare in Iraq e in Afghanistan.
Il costo enorme di queste guerre ha azzoppato le economie degli Stati Uniti e del mondo, i dispiegamenti militari hanno sconquassato le forze armate statunitensi e britanniche e morte e distruzione hanno dissanguato popolazioni, aggravando le crisi umanitarie dei paesi confinanti. Secondo una stima, il costo delle guerre in Iraq e in Afghanistan finirà per raggiungere i 3000 miliardi di dollari. Nel 2008 l´Iraq costa 12,5 miliardi di dollari al mese e l´Afghanistan 3,5 miliardi di dollari al mese. E´ una cifra già doppia di quella della guerra in Corea e più alta del costo dei dodici anni di guerra in Vietnam. I conflitti oggi devono essere finanziati quasi interamente con i prestiti, senza imporre nuove tasse. Di conseguenza, gli americani pagheranno per generazioni questi debiti. Intanto, Al Qaeda continua a espandersi e c´è il pericolo che un giorno porterà altra distruzione in Occidente.
Non aver sviluppato la costruzione nazionale ha disilluso milioni di persone, trasformando troppi musulmani in reclute pronte per al Qaeda. E´ paradossale che alla fine, nel 2008, la nuova dottrina dell´U.S. Army affermi che stabilizzare paesi distrutti dalla guerra è altrettanto importante che sconfiggere il nemico. Se solo questo criterio fosse stato considerato importante nel 2001! Per quelli che fanno parte di organizzazioni come l´Onu, che cercano di fare del loro meglio anche in circostanze che vanno deteriorandosi e con scarse risorse a disposizione, l´attività di peacekeeping, peacemaking e costruzione nazionale si sta facendo sempre più difficile. «Il problema è che le nostre aspettative e le nostre agende non stanno diventando più realistiche», dice Lakhdar Brahimi, il vecchio saggio peacemaker afgano. «Invece, sono diventate più ambiziose e sfaccettate, cercando di promuovere la giustizia, la riconciliazione nazionale, i diritti umani, la parità di genere, l´autorità della legge, lo sviluppo economico sostenibile, e la democrazia, tutto contemporaneamente, da adesso, subito, immediatamente, anche nel pieno del conflitto».
Nel 2001 Bush prometteva una grande trasformazione, e certamente l´ha fatto, ma non nel modo che chiunque di noi avrebbe potuto immaginare. Ora dobbiamo tutti pagarne le conseguenze, raccogliere i cocci, e dare una mano a migliorare il mondo che ci è stato lasciato, rimettendo in squadra l´asse della Terra.
La regione dell´Asia meridionale e centrale non vedrà la stabilità finché non vi sarà un nuovo patto globale tra gli attori principali - gli Stati Uniti, l´Unione europea, la Nato e l´Onu - per aiutare questa regione a risolvere i propri problemi, che vanno dalla soluzione della disputa sul Kashmir tra India e Pakistan al finanziamento di un programma di istruzione di massa e di creazione di posti di lavoro nei territori di confine tra Afghanistan e Pakistan e lungo la loro frontiera con l´Asia centrale. La comunità internazionale deve affrontare questa regione con un approccio complessivo e non in maniera frammentaria, e deve persuadere i propri cittadini ad accettare un impegno a lungo termine di truppe e denaro. Molto dipenderà da come vedrà questa regione il nuovo presidente Usa e di quale importanza le attribuirà.
L´esercito pachistano deve mettere da parte il suo concetto di uno stato centralizzato basato esclusivamente sulla difesa contro l´India e di una dottrina militare strategica espansionista e islamista, messa in atto a spese della democrazia. Musharraf ha innalzato deliberatamente il profilo dei gruppi jihadisti per rendersi più utile agli Stati Uniti e accrescere l´importanza strategica del suo paese agli occhi degli occidentali. Nessun leader pachistano può permettersi di ripetere una scommessa mortale come questa, di giocare con il destino della nazione, tradire la fiducia del suo popolo, e alimentare l´estremismo islamico che morde la mano che lo nutre. Il Pakistan ha bisogno di una riconciliazione nazionale che metta fine alla demonizzazione dei politici da parte delle forze armate; di una nuova cultura militare che sia insegnata perché vengano rispettati i civili, le istituzioni e i vicini; e di servizi segreti riformati che smettano di interferire nella politica.
I membri dell´élite afgana devono apprezzare l´opportunità che offre la circostanza di essere rinati come nazione, un´occasione che hanno ricevuto dall´intervento straniero nel 2001 e dagli aiuti internazionali da quel momento in avanti - anche se i risultati e l´impegno di entrambi sono stati a dir poco mediocri. Gli afgani devono sviluppare un sistema di amministrazione pubblica che sia non solo capace di garantire i servizi alla popolazione ma anche relativamente immune da tribalismo, settarismo e corruzione. Hanno bisogno di affrontare in prima persona il problema della droga e mostrare al mondo, primo, che sono meritevoli di collaborazione e di aiuti e, secondo, che si assumeranno la responsabilità della propria nazione nel tempo più rapido possibile. Finora il presidente Karzai ha condotto il suo popolo solo fino a un certo punto lungo questa strada. Ha accettato troppi compromessi con signori della guerra, ladri e briganti, anziché collaborare con il popolo afgano che vuole ricostruire la nazione. La comunità internazionale, però, deve fare più di quello che ha fatto per sconfiggere i Taliban e fornire un miglior coordinamento tra i compiti contrastanti di lotta, buon governo e ricostruzione.
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