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La Stampa Rassegna Stampa
21.11.2008 Il futuro della sinistra israeliana
nell'analisi di Abraham B. Yehoshua e nelle dichiarazioni di Ehud Barak

Testata: La Stampa
Data: 21 novembre 2008
Pagina: 1
Autore: Abraham B. Yehoshua - la redazione
Titolo: «Israele, la sinistra debole - Il Likud ci porterà in un vicolo cieco»
Dalla prima pagina de La STAMPA del 21 novembre 2008, riportiamo l'articolo di Abraham B. Yehoshua "Israele, la sinistra debole":

I primi sondaggi sui risultati delle prossime elezioni israeliane, previste fra tre mesi, pronosticano un crollo della sinistra: un nuovo indebolimento del partito laburista guidato dall’attuale ministro della Difesa Ehud Barak e lo stallo del Meretz - piccolo partito dalle forti connotazioni ideologiche - e dei partiti arabi. Secondo tali sondaggi questi tre gruppi otterranno nella prossima legislatura meno di un quarto dei seggi della Knesset.

Non so se i pronostici si avvereranno ma, comunque sia, la debolezza della sinistra israeliana è una realtà che sorprende e addolora alla luce del suo glorioso passato ed esige un’analisi approfondita.
Negli anni precedenti alla fondazione dello Stato, e in quelli seguenti, lo schieramento socialdemocratico israeliano ha giocato un ruolo centrale e fondamentale nell’accogliere un’ondata migratoria di proporzioni rare nella storia umana, una massa di profughi provenienti da ogni angolo del mondo. Israele, piccolo stato con seicentomila abitanti impegnati in una lotta per la sopravvivenza, seppe accogliere i profughi triplicando in dodici anni la sua popolazione e trasformandosi in uno Stato moderno che affrontava con successo i suoi numerosi e forti nemici assicurando al tempo stesso un alto grado di sicurezza sociale ai suoi cittadini.
Ma nonostante questi risultati positivi negli ultimi quindici anni lo schieramento socialdemocratico è stato sospinto sempre più ai margini dell’arena politica fino a raggiungere i livelli di debolezza pronosticati dai sondaggi. Quali sono le ragioni di questo declino visto che, stranamente, la maggior parte delle sue posizioni politiche si sono dimostrate corrette e fondate e sono state parzialmente accolte da alcuni partiti del centro e della destra moderata (sia le posizioni relative alla necessità di un accordo con i palestinesi sia, ultimamente, le critiche a una libera economia di mercato e a un capitalismo sfrenato che, sfruttando il fenomeno della globalizzazione, arricchisce irresponsabilmente circoli ristretti)? In altre parole, per quale motivo la sinistra ha vinto sul fronte ideologico ma ha perso su quello politico? E da dove può scaturire la speranza di una ripresa?
Ovviamente non potrò, in questo breve articolo, elencare tutte le ragioni del crollo della sinistra israeliana. Cercherò di indicarne le principali.
Per più di quarant’anni la sinistra ha investito la maggior parte delle sue energie nel raggiungere la pace e un accordo con gli Stati arabi e i palestinesi. La sua immagine pubblica mutava a secondo della fiducia che gli israeliani mostravano verso questo o quel piano di pace e della disponibilità dei palestinesi a sottoscriverlo, dimostrando contestualmente di non nascondere l’intenzione di distruggere lo Stato ebraico.
La necessità di arrivare a un compromesso, di restituire i territori occupati in cambio della pace e della loro smilitarizzazione e di fermare la costruzione di colonie (tutte questioni gravi che non erano sostanzialmente oggetto di controversia tra la sinistra e la destra ma tra la visione aggressiva e allucinata dei cosiddetti «falchi» e quella umana e conciliante delle «colombe») hanno tenuto occupata la sinistra per lunghi anni. Dopo la Guerra dei sei giorni i propugnatori della pace hanno dovuto convincere persino i leader e gli attivisti del movimento socialdemocratico tradizionale, allora alla guida dello Stato ebraico, che uno stop agli insediamenti e l’abbandono del programma di annessione dei quartieri est di Gerusalemme sarebbero stati la giusta via per conseguire la pace.
Così, anziché dedicarsi alle questioni socialdemocratiche classiche - la sicurezza sociale, una maggiore uguaglianza e solidarietà in un mondo dominato da un’economia capitalista - tutti gli sforzi della sinistra sono stati, e sono ancora, rivolti verso temi politici. Questo fatto l’ha portata a perdere contatto con i ceti deboli, il suo vero e naturale elettorato. Anche dopo che alcuni ex rappresentanti della destra, come l’attuale capo del governo Ehud Olmert e altri suoi compagni, hanno accolto le sue idee sulla divisione della regione in due Stati, palestinese e israeliano, sul fatto che gli insediamenti sono d’ostacolo alla pace, e sulla minaccia dello scoppio di una guerra civile nel caso di una loro futura evacuazione, la reazione del pubblico è stata la seguente: sì, adesso ci rendiamo conto che ciò che avete predicato per anni era vero e che l’unica via d’uscita dalla spirale della guerra è quella che proponete voi, però sarebbe meglio se l’accordo coi palestinesi, il ritiro dai territori occupati, e lo smantellamento delle colonie venissero portati avanti dalla destra, che si mostrerà meno arrendevole in un negoziato.
Anche gli arabi israeliani, che rappresentano il venti per cento della popolazione israeliana, non sono stati d’aiuto al movimento socialdemocratico. In teoria avrebbero dovuto essere suoi alleati naturali, sia su un piano politico che socio-economico, visto che la maggior parte di loro appartiene ai ceti più poveri e discriminati della società. Eppure, anziché votare in massa per il partito laburista e rafforzarlo alla Knesset, hanno preferito frantumarsi in partitelli rivali, garantire automaticamente il loro appoggio a qualunque iniziativa presa da organizzazioni palestinesi, anche le più violente, e disconoscere la legittimità del carattere ebraico dello Stato. Quindi, invece di agire come partner del movimento socialdemocratico, si sono rinchiusi in una specie di ghetto all’interno della Knesset rendendosi irrilevanti nella composizione di una possibile coalizione di sinistra.
La crisi economica che ci sta investendo infonderà nuova vita nei movimenti socialisti israeliano e mondiale? Il fallimento di grandi banche senza che una lampadina di allarme si sia accesa in tempo in un’economia di mercato globalizzata e priva di efficaci controlli risveglierà un maggior buon senso? Porterà una migliore regolamentazione delle economie nazionali affinché i ceti poveri e medi possano avere un’esistenza migliore? Il voto popolare a Barack Obama e la speranza che la sua elezione alla presidente degli Stati Uniti ha destato si proietterà anche sul movimento socialdemocratico israeliano?
In questi giorni si sta organizzando in Israele un nuovo e ampio movimento di sinistra che porrà una sfida soprattutto al partito laburista, fossilizzato e sgretolato dai propri errori, e che potrebbe veder finalmente concretizzarsi la speranza di un vero partito socialdemocratico.

Da pagina 17 del quotidiano torinese, la berev  «Il Likud ci porterà in un vicolo cieco»:

Una vittoria elettorale del Likud al voto del febbraio 2009 rischia di provocare un confronto fra Israele e il resto del mondo: questo il timore espresso dal leader del partito laburista Ehud Barak in una intervista alla radio militare. «In queste elezioni - ha osservato - la lotta principale è fra le forze di centro-sinistra legate al partito laburista e fra la destra di Benyamin Netanyahu», ossia il Likud. «Il Likud - ha avvertito - rischia di portarci in un vicolo cieco nelle questioni politiche e di sicurezza, di condurci ad un confronto con il mondo e con la Regione mediorientale e anche di spaccare la società israeliana». Quanto a Kadima, si tratta secondo Barak di un «partito umorale», senza una fisionomia precisa. Barak ha poi polemizzato con lo scrittore Amos Oz, che la settimana scorsa ha detto che il partito laburista «sta concludendo il proprio ruolo storico» e ha auspicato la costituzione di un nuovo partito social-democratico. «È un vero peccato - ha commentato Barak, che nel governo uscente ricopre la carica di ministro della Difesa - che invece di stringere le nostre forze contro il blocco della Destra la gente decida di creare adesso nuovi movimenti».

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