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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Amy Bloom, Per sempre lontano 16/11/2008

Dal Corriere della Sera (16/11/2008) la recensione di Livia Manera a " Per sempre lontano" di Amy Bloom, Einaudi editore.

Turov, Russia, 1924. «Lillian aveva ventidue anni; era un'orfana, una vedova, e la madre di una bambina morta, una cosa così terribile che non esiste nemmeno una parola per descriverla». Lillian Leyb sarebbe partita da Turov dopo il pogrom in cui era rimasta uccisa tutta la sua famiglia, ma non la figlia di quattro anni Sophie, che era riuscita a nascondere in un pollaio e che poi non aveva più trovato. E con la sola ricchezza di un corpo giovane e di una mente aperta sarebbe arrivata a Ellis Island. Perché di questo tratta, almeno in parte, Per sempre lontano, l'ammiratissimo romanzo di Amy Bloom (nella foto sotto), che, dopo avere dominato per più di una stagione la classifica dei bestseller americani, esce da Einaudi Stile libero nella traduzione di Giovanna Granato (pp. 270, e 16,50): è una storia di immigrazione. Solo che a metà del libro Amy Bloom riserva al lettore una sorpresa. Proprio quando la sua eroina sembra avercela fatta, Lillian cambierà idea e vorrà tornare in Russia, facendo tutto il percorso a ritroso via Chicago, Seattle, e l'Alaska. Qualcuno le ha detto che sua figlia è viva ed è in Siberia. Ed è lì che Lillian sente di dovere andare.
«Avevo undici anni quando mio padre mi raccontò la storia della donna che attraversò l'Alaska a piedi per tornare in Russia, "una bella pazza", diceva», racconta Amy Bloom nella cucina della sua casa a Durham, in Connecticut, non lontano dall'Università di Yale, dove oggi insegna composizione creativa, ma dove nella sua precedente carriera di psicoterapeuta (fino ai trentacinque anni; oggi ne ha venti di più) ha insegnato psicologia. «Non che esistano prove che quella storia sia autentica. Sono andata tre volte in Alaska e non ho mai trovato conferme. Ma questo non ha importanza. La cosa positiva della fiction è che devi preoccuparti della verità, non dei fatti».
La «verità» di Amy Bloom, autrice di due precedenti raccolte di racconti e di un romanzo i cui temi sono amore, sesso, amicizia e morte, è che «spesso le persone che sopravvivono alle prove più efferate sono quelle che hanno qualcuno da proteggere ». Come Lillian, che la notte del pogrom, dopo aver «coperto con la trapunta nuziale il corpo del marito e con una coperta marrone quello di sua madre... sale con i piedi sulle spalle del padre per estrargli l'accetta dal collo, e poi lo copre con una tovaglia». Dopodiché si veste, e abbandona il suo villaggio portandosi via l'accetta.
«Non so cosa pensi la gente che accada alle donne che arrivano in questo Paese senza soldi, senza un mestiere e senza nessuno che le protegga. Ma io credo di sapere cosa fanno», dice Amy Bloom con la stessa assenza di sentimentalismo che distingue il suo intensissimo romanzo. «Penso che cerchino di cavarsela come meglio possono». Andando a letto con chiunque offra loro anche solo una briciola di protezione.
Lillian, in particolare, appena sbarcata a New York si mette in mostra davanti all'impresario teatrale Reuben Burstein allo scopo di ottenere un lavoro di sarta per il quale sa di non essere qualificata; dopodiché diventa la concubina di Meyer Burstein, il bellissimo attore figlio dell'impresario, che in verità è gay e la usa come copertura; e infine accetta di lasciarsi sedurre anche dal padre Reuben, in un ménage à trois bizzarramente incestuoso. Sarà perché Amy Bloom è un'ebrea che ha ricevuto un'educazione laica («Mio padre diceva alla gente: hai visto l'Olocausto e credi ancora in Dio?») ma nessuno dei suoi personaggi ha la minima fiducia nella provvidenza. E quando la cugina di Lillian, Raisele, arriva nel Lower East Side a dirle che Sophie, la sua bambina, è sopravvissuta al pogrom di Turov ed è stata portata in Siberia da una coppia di vicini, non è chiaro se sia sincera o se usi questa notizia per prendere il posto di Lillian nel letto, e nel teatro, dei due Burstein.
Comunque sia, Lillian non ha scelta. E anche se tutti le dicono che ha perduto la testa, decide di andare a cercare Sophie fino in Siberia. E con l'aiuto di un altro «cadavere danzante» del quartiere, il generoso Yaakov Schimmelman che sul biglietto da visita ha scritto «Sarto, attore, drammaturgo. Autore di Gli occhi dell'amore. Stiratura pantaloni e orli», si fa disegnare un itinerario di passaggi in treno nascosta nell'armadio delle scope, e viaggi in traghetto al gelo, per culminare in un'Alaska accecante di neve, dove solo una madre posseduta dall'amore può percorrere venti miglia a piedi al giorno, pur sapendo che la sua è un'impresa senza speranza.
«Vede — dice Amy Bloom prendendo un sorso di tè nella sua cucina circondata da un bosco arancione —, volevo scrivere una grande storia. Non un libro grande, ma una grande storia. E siccome lei mi chiede se la mia famiglia abbia vissuto le cose terribili che descrivo nel libro, le dirò che tutti e quattro i miei nonni sono arrivati qui dalla Bielorussia, ma che altro non so. Perché non parlarono mai del passato. So che mia nonna materna aveva otto fratelli, e che quando è arrivata a Ellis Island erano rimasti in quattro. Ma non so cosa sia successo a quelli che non ce l'hanno fatta. Ed è proprio questo, il loro silenzio, ad avere agito su di me come una provocazione. È da quel silenzio che è nata la storia di Lillian Leyb». Cioè la storia della giovane ebrea con una cicatrice rossa attraverso il petto, destinata a scoprire, nella sua folle avventura materna, che l'amore ci attende quasi sempre dove meno ci aspettiamo di trovarlo.


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