Sergio Romano, niente di nuovo, contro gli Stati Uniti, difesa di Gheddafi e dei terroristi palestinesi ma un senso di nausea ce lo procura sempre
Testata: Corriere della Sera Data: 15 novembre 2008 Pagina: 43 Autore: Sergio Romano Titolo: «Craxi, Libiae Lodo Moro, le ragioni dell'Italia»
CRAXI, LIBIA E «LODO MORO» LE RAGIONI DELL'ITALIA
Un Sergio Romano scatenato contro l'America sul CORRIERE dellaSERA di oggi, 15/11/2008, nella sua rubrica con i lettori. Loda la politica di Carter e attacca Reagan il guerrafondaio. Giustifica Gheddafi, che potè contare su molte solidarietà, non solo dall'Urss e dal mondo arabo, ma anche da paesi europei, Italia a guida Craxi inclusa, in lotta contro i come Romano definisce la politica reaganiana. In quanto al "lodo Moro", bene ha fatto l'Italia a trattare con i terroristi palestinesi, se questo voleva dire che i loro obiettivi potevano essere, anche in Italia, solo gli ebrei. Niente di nuovo, è il solito Romano, qualcuno dirà. Certo, ma non si può negare che un senso di nausea ce lo procura sempre.
Leggo la notizia dell'annuncio da parte del governo italiano presieduto dall'onorevole Craxi nel 1986, del raid Usa in Libia e non posso non riflettere su quanto ormai la realtà superi la fantasia. Ormai la cronaca ci sta abituando a digerire qualsiasi notizia. Certo è che, un conto è opporsi orgogliosamente ai marines americani a Sigonella come hanno fatto i nostri carabinieri in ottemperanza al diritto di sovranità nazionale, un altro conto è essere delatori di quello che allora era uno «Stato canaglia». Ma in realtà non riesco a essere indignato a sufficienza, quanto lo sia per il cosiddetto «Lodo Moro». Da ciò che leggo era stata siglata un'intesa segreta per concedere libertà di asilo ai terroristi palestinesi in Italia, purché non provocassero attentati nel nostro Paese. Ciò porta l'Italia anni '80 a essere assimilata a un campo profughi in Libano o in Giordania in cui i terroristi potevano vivere, addestrarsi e nascondersi in tutta tranquillità. La domanda sorge spontanea: ma a che principio di legalità risponde un «lodo» di questo genere? Soprattutto se in contrasto con accordi internazionali siglati, invece, con i nostri alleati storici. Carlo Di Blasi Milano
Caro Di Blasi, L' incursione americana sulla Libia dell'aprile 1986 fu l'episodio culminante di una «guerra fredda» in cui Tripoli e Washington erano impegnati sin dall'inizio degli anni Settanta. Uno dei principali punti in discussione era il Golfo della Sirte. I libici lo consideravano parte del territorio nazionale e sostenevano che le acque territoriali dello Stato si estendevano per dodici miglia nautiche (circa 20 km) al di là del Golfo. Per gli americani, invece, le acque erano internazionali. Nonostante l'incendio dell'ambasciata americana a Tripoli, la presidenza Carter adottò una linea prudente ed evitò di sfidare le pretese libiche inviando aerei americani nei cieli del Golfo. Ma Reagan volle distinguersi dal suo predecessore. Nel 1981, dopo avere ordinato la chiusura della rappresentanza del regime di Gheddafi a Washington, passò all'azione. Il 19 agosto due caccia libici vennero abbattuti durante le manovre della flotta americana nelle acque del Golfo. In dicembre il Dipartimento di Stato ordinò ai cittadini americani in Libia (circa 1.500) di lasciare il Paese. Nel 1982 gli Stati Uniti vietarono l'importazione di petrolio libico e l'esportazione di tecnologia americana in Libia. Nel gennaio 1986 congelarono i fondi libici depositati nelle banche americane. Si potrebbe quindi sostenere che i due Paesi erano di fatto in guerra quando alcuni agenti libici, nell'aprile 1986, collocarono una bomba in una discoteca berlinese frequentata da militari americani. Vi furono due morti (di cui uno americano) e circa 250 feriti. Era il 5 aprile. Dieci giorni dopo, una squadriglia di aerei americani bombardò le due principali città libiche e prese di mira una delle residenze di Gheddafi. Fra le vittime vi furono parecchi civili e la figlia adottiva del colonnello. Ma l'obiettivo americano — incoraggiare i militari libici a sbarazzarsi del loro capo — non fu raggiunto. Gheddafi poté contare sul sostegno di suoi connazionali, del blocco sovietico, del mondo arabo e di una parte non piccola dell'opinione pubblica europea. Un parziale successo militare si risolse in uno scacco politico. Posso comprendere quindi le ragioni per cui Craxi decise di allertare il colonnello. L'Italia non poteva lasciare che il Mediterraneo divenisse un campo di battaglia soggetto ai capricci militari degli Stati Uniti. Il segnale di Craxi servì a far capire che il governo italiano, in quella circostanza, non era d'accordo con Washington. Sulla questione del «lodo Moro» vi è ancora molta confusione. Ci è stato detto a più riprese che fu stretto una sorta di patto con i palestinesi e che questo permise agli uomini di Arafat di usare l'Italia come una retrovia. Ma non conosciamo i termini dell'intesa e dobbiamo accontentarci per il momento di informazioni di seconda o terzo mano. Vi fu probabilmente un accordo, ma negoziato da qualche «tecnico» e composto da silenzi e ammiccamenti più che da clausole precisamente definite. Non è la prima volta comunque che un Paese, per evitare di essere coinvolto in un conflitto o di subirne le conseguenze, fa qualche concessione a uno dei contendenti, se non addirittura, a tutti e due. Le autorità americane, ad esempio, sapevano che l'Ira (l'esercito repubblicano irlandese) raccoglieva fondi negli Stati Uniti per la sua lotta contro la Gran Bretagna nel-l'Ulster. Ma per molto tempo chiusero gli occhi.
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