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Luce nel buio del tunnel. Come gli ostaggi a Gaza celebravano Hanukkah 13/12/2025

Un filmato recuperato dall’esercito israeliano durante le operazioni nella Striscia di Gaza mostra sei ostaggi israeliani mentre cercano di accendere le candele della festa di Hanukkah in un tunnel con scarso ossigeno. I sei ostaggi sono Hersh Goldberg-Polin, 23 anni, Eden Yerushalmi, 24 anni, Ori Danino, 25 anni, Alex Lobanov, 32 anni, Carmel Gat, 40 anni, e Almog Sarusi, 27 anni. Il filmato risale al dicembre 2023. Otto mesi dopo, il 29 agosto 2024, all’approssimarsi delle Forze di Difesa israeliane al tunnel sotto il quartiere di Tel Sultan, a Rafah (Striscia di Gaza meridionale), tutti e sei gli ostaggi furono assassinati con un colpo alla testa dai terroristi palestinesi.



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Avvenire Rassegna Stampa
14.11.2008 Aggiornare la lingua del Corano per aprire il mondo arabo al futuro
intervista a Chérif Choubachy, ex viceministro della Cultura egiziano

Testata: Avvenire
Data: 14 novembre 2008
Pagina: 29
Autore: Lorenzo Fazzini
Titolo: «La lingua araba? Va aggiornata»

Da AVVENIRE del 14 novembre 2008, a pagina 29, l'articolo di Lorenzo Fazzini "La lingua araba? Va aggiornata" intervista all'ex viceministro della cultura in Egitto  Chérif Choubachy :

E se fosse una questione di lin­guaggio? La chiusura verso l’e­sterno e il senso di 'assedio' del mondo arabo-islamico potreb­bero avere nella 'mummificazione' del proprio idioma un’insospettabile origine. «L’arabo è l’unica lingua viva che non abbia subito alcuna modifi­ca grammaticale importante dalla sua origine, da più di quindici seco­li ». E se esiste «un rapporto inversa­mente proporzionale tra lingua e progresso», per cui «più una civiltà progredisce, più sente il bisogno di dotarsi di una lingua che acceleri la comunicazione», allora in campo i­slamico siamo all’anno zero (con conseguenze sociali, culturali, politi­che e religiose): «L’arabo classico at­tuale non è più adatto alla nostra vi­ta, perché è troppo difficile da prati­care ». Parole che non arrivano da qualche occidentale appassionato di esoti­smo mediorientale, ma si levano - in coraggiosa solitudine - da Il Cairo: tale tesi è di Chérif Choubachy, per 4 anni viceministro per la Cultura in Egitto, poi estromesso da tale carica - guarda caso - per averla sostenuta in La sciabola e la virgola (ObarraO, pp. 147, euro 15), lucido saggio in cui questo intellettuale arabo mu­sulmano chiede un «aggiornamen­to » - curiosa coincidenza con il ter­mine caro al Concilio Vaticano II ­della lingua coranica, prodromo in­dispensabile per una più ampia riforma nel panorama islamico.
  «Da quando ho pubblicato questo li­bro, ho avuto solo problemi: ho rac­colto centinaia di articoli su di esso, al 97% negativi» ha dichiarato Chou­bachy in un’intervista. «La lingua è un riflesso di una civiltà: oggi non possiamo pensare come coloro che vissero durante l’epoca del Profeta ­ha proseguito - . Essi avevano una certa visione del mondo rappresen­tata da quel linguaggio, mentre oggi vediamo il mondo in maniera diver­sa. Il problema è semplice: le regole della grammatica, stabilite secoli fa, sono così complesse da ingombrare il cervello, che resta meno disponi­bile per imparare altre cose». Prima conseguenza: «Milioni di studenti subiscono vere e proprie sedute di tortura per imparare la lingua araba,
cosa che impedisce loro di concen­trare la propria energia nell’appren­dimento delle scienze». L’attuale di­stanza tra società islamica e panora­ma occidentale (ma anche indiano, cinese e giapponese) in termini di sviluppo scientifico avrebbe origini non in un gap tecnologico, ma in u­no linguistico. Choubachy lancia una dura requisi­toria contro «i custodi del tempio», coloro che «si oppongono a qualsia­si evoluzione della lingua araba, quegli stessi che respingono catego­ricamente la minima innovazione in qualsiasi campo della vita […] e si impegnano a dare risposte salafite a tutti i problemi della società»: sono quegli integristi che vogliono far re­stare l’islam com’era nel VII secolo, senza provare a conciliarlo con la modernità.
  Il nodo storico affrontato da Chou­bachy è questo: «La lingua araba è discesa dal cielo, oppure è una lin­gua terminologica, vale a dire elabo­rata dall’uomo?». Uno sguardo al passato scevro da pregiudizi offre la risposta: l’arabo preesisteva al Cora­no, comunicato in tale idioma «per
essere capito dagli abitanti della pe­nisola in cui viveva il Profeta». Diver­si esempi propendono per la separa­zione di lingua e religione: «Esiste u­na sola sura del Corano che alluda alla necessità di imporre la lingua a­raba a tutti i fedeli? Se la lingua del Corano fosse veramente una lingua sacra, l’islam avrebbe dovuto restare appannaggio esclusivo degli arabi. Il proselitismo dell’islam è la dimo­strazione che l’arabo non è sacro».
  Un’interessante sezione del testo è dedicato al contributo glottologico dei cristiani arabi che - sancisce Choubachy - «hanno svolto un ruolo preponderante nella salvaguardia e nello sviluppo della lingua araba».
  La traduzione di opere letterarie straniere in arabo, la stampa di ope­re arabe, l’avvio del giornalismo ara­bo: ecco esemplificato tale ruolo 'pionieristico' della minoranza cri­stiana in Medio oriente e dintorni.
  «La prima opera stampata in carat­teri arabi fu il
Libro dei Salmi, realiz­zato nel 1610 nel monastero maroni­ta di Sant’Antonio in Libano. Ad A­leppo, nel 1698 si sviluppò una stampa specificatamente araba. La prima stamperia libanese fu di un cattolico».
  La riforma linguistica dell’arabo è urgente, esso influenza - secondo l’autore - alcuni tratti antiquati della società islamico-araba: la preponde­ranza 'dell’apparenza a scapito della realtà», il formalismo religioso - per i «custodi del tempio» «la vera fede si riassume nel portare il velo o farsi crescere la barba, non a comportarsi in modo onesto»; il gusto esagerato per la retorica, che porta «certi poli­tici a prorompere in dichiarazioni incendiarie»; una schizofrenia lin­guistica, per cui si ha «l’abitudine di dissociare le proprie parole dai pro­pri atti»; l’«ignoranza degli arabi dal­la propria storia», derivante da una confusione insita nei tempi verbali del loro idioma. Per Choubachy «o­gni lingua è il riflesso dei bisogni di una società. Gli arabi del XXI secolo non pensano più allo stesso modo dei beduini del deserto arabico vis­suti in epoca pre-islamica». Di qui u­na necessità vitale: «Vogliamo salva­guardare l’arabo? Dobbiamo assog­gettarlo ai bisogni della nostra epo­ca, come vi si assoggettano tutte le
lingue del mondo».

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