Aggiornare la lingua del Corano per aprire il mondo arabo al futuro intervista a Chérif Choubachy, ex viceministro della Cultura egiziano
Testata: Avvenire Data: 14 novembre 2008 Pagina: 29 Autore: Lorenzo Fazzini Titolo: «La lingua araba? Va aggiornata»
Da AVVENIRE del 14 novembre 2008, a pagina 29, l'articolo di Lorenzo Fazzini "La lingua araba? Va aggiornata" intervista all'ex viceministro della cultura in Egitto Chérif Choubachy :
E se fosse una questione di linguaggio? La chiusura verso l’esterno e il senso di 'assedio' del mondo arabo-islamico potrebbero avere nella 'mummificazione' del proprio idioma un’insospettabile origine. «L’arabo è l’unica lingua viva che non abbia subito alcuna modifica grammaticale importante dalla sua origine, da più di quindici secoli ». E se esiste «un rapporto inversamente proporzionale tra lingua e progresso», per cui «più una civiltà progredisce, più sente il bisogno di dotarsi di una lingua che acceleri la comunicazione», allora in campo islamico siamo all’anno zero (con conseguenze sociali, culturali, politiche e religiose): «L’arabo classico attuale non è più adatto alla nostra vita, perché è troppo difficile da praticare ». Parole che non arrivano da qualche occidentale appassionato di esotismo mediorientale, ma si levano - in coraggiosa solitudine - da Il Cairo: tale tesi è di Chérif Choubachy, per 4 anni viceministro per la Cultura in Egitto, poi estromesso da tale carica - guarda caso - per averla sostenuta inLa sciabola e la virgola (ObarraO, pp. 147, euro 15), lucido saggio in cui questo intellettuale arabo musulmano chiede un «aggiornamento » - curiosa coincidenza con il termine caro al Concilio Vaticano II della lingua coranica, prodromo indispensabile per una più ampia riforma nel panorama islamico. «Da quando ho pubblicato questo libro, ho avuto solo problemi: ho raccolto centinaia di articoli su di esso, al 97% negativi» ha dichiarato Choubachy in un’intervista. «La lingua è un riflesso di una civiltà: oggi non possiamo pensare come coloro che vissero durante l’epoca del Profeta ha proseguito - . Essi avevano una certa visione del mondo rappresentata da quel linguaggio, mentre oggi vediamo il mondo in maniera diversa. Il problema è semplice: le regole della grammatica, stabilite secoli fa, sono così complesse da ingombrare il cervello, che resta meno disponibile per imparare altre cose». Prima conseguenza: «Milioni di studenti subiscono vere e proprie sedute di tortura per imparare la lingua araba, cosa che impedisce loro di concentrare la propria energia nell’apprendimento delle scienze». L’attuale distanza tra società islamica e panorama occidentale (ma anche indiano, cinese e giapponese) in termini di sviluppo scientifico avrebbe origini non in un gap tecnologico, ma in uno linguistico. Choubachy lancia una dura requisitoria contro «i custodi del tempio», coloro che «si oppongono a qualsiasi evoluzione della lingua araba, quegli stessi che respingono categoricamente la minima innovazione in qualsiasi campo della vita […] e si impegnano a dare risposte salafite a tutti i problemi della società»: sono quegli integristi che vogliono far restare l’islam com’era nel VII secolo, senza provare a conciliarlo con la modernità. Il nodo storico affrontato da Choubachy è questo: «La lingua araba è discesa dal cielo, oppure è una lingua terminologica, vale a dire elaborata dall’uomo?». Uno sguardo al passato scevro da pregiudizi offre la risposta: l’arabo preesisteva al Corano, comunicato in tale idioma «per essere capito dagli abitanti della penisola in cui viveva il Profeta». Diversi esempi propendono per la separazione di lingua e religione: «Esiste una sola sura del Corano che alluda alla necessità di imporre la lingua araba a tutti i fedeli? Se la lingua del Corano fosse veramente una lingua sacra, l’islam avrebbe dovuto restare appannaggio esclusivo degli arabi. Il proselitismo dell’islam è la dimostrazione che l’arabo non è sacro». Un’interessante sezione del testo è dedicato al contributo glottologico dei cristiani arabi che - sancisce Choubachy - «hanno svolto un ruolo preponderante nella salvaguardia e nello sviluppo della lingua araba». La traduzione di opere letterarie straniere in arabo, la stampa di opere arabe, l’avvio del giornalismo arabo: ecco esemplificato tale ruolo 'pionieristico' della minoranza cristiana in Medio oriente e dintorni. «La prima opera stampata in caratteri arabi fu ilLibro dei Salmi, realizzato nel 1610 nel monastero maronita di Sant’Antonio in Libano. Ad Aleppo, nel 1698 si sviluppò una stampa specificatamente araba. La prima stamperia libanese fu di un cattolico». La riforma linguistica dell’arabo è urgente, esso influenza - secondo l’autore - alcuni tratti antiquati della società islamico-araba: la preponderanza 'dell’apparenza a scapito della realtà», il formalismo religioso - per i «custodi del tempio» «la vera fede si riassume nel portare il velo o farsi crescere la barba, non a comportarsi in modo onesto»; il gusto esagerato per la retorica, che porta «certi politici a prorompere in dichiarazioni incendiarie»; una schizofrenia linguistica, per cui si ha «l’abitudine di dissociare le proprie parole dai propri atti»; l’«ignoranza degli arabi dalla propria storia», derivante da una confusione insita nei tempi verbali del loro idioma. Per Choubachy «ogni lingua è il riflesso dei bisogni di una società. Gli arabi del XXI secolo non pensano più allo stesso modo dei beduini del deserto arabico vissuti in epoca pre-islamica». Di qui una necessità vitale: «Vogliamo salvaguardare l’arabo? Dobbiamo assoggettarlo ai bisogni della nostra epoca, come vi si assoggettano tutte le lingue del mondo».
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