Il giardino degli ebrei
a cura di Annamaria Mortari e Claudia Bonora Prevdi
Giuntina Euro 40,00
La signora non capisce la mia domanda, resta sulla porta, e mi guarda un po’ a disagio. Eppure il quesito mi sembrava abbastanza innocuo: “Sa dirmi dov’è la sinagoga?”. Evidentemente quella parola venuta dal greco suona esotica e fuori posto. “Che cos’è una sinagoga?”, chiede a sua volta. Dalle profondità maieutiche del mio animo esce la brillante spiegazione: “E’ la chiesa degli ebrei”. Il volto della signora s’illumina, il braccio si stende a indicare alcune finestre sulla destra: “E’ lì”. Ci abita proprio di fronte.
Siamo a Viadana, una cittadina sulle rive del Po, dove per secoli è fiorita una piccola comunità ebraica. Il vecchio edificio della sinagoga è stato adattato a fabbricato civile e ben poco permette di distinguerlo all’esterno. Per oggi nulla da fare, nessuno ha le chiavi per aprirmi la sala, che so bella e ornata di colonne, e dovrò tornare dopo aver preso un appuntamento. Mentre mi allontano, ripenso al paradosso con cui mi sono fatto largo nell’immaginario della signora viadanese, e di come mi sia riuscito facile buttare all’aria i miei distinguo professionali tra cristianesimo ed ebraismo. Ma qui, tra le case della provincia mantovana, la sinagoga può ben trasformarsi, almeno per un attimo, in una “chiesa”, tanto prolungata, e per lo più pacifica, è stata la convivenza dei tenaci ebrei di queste parti con la maggioranza cristiana.
Mi sposto di alcune decine di chilometri, per una visita che è stata invece organizzata per tempo. Anche la sinagoga di Sermide è rimasta imprigionata entro una casa d’abitazione e, per raggiungerla, si deve passare attraverso il salotto buono della gentile proprietaria. Salendo poi per una scala ripida, come per andare in soffitta, ci si trova immersi nella penombra di un grande locale. I segni dell’antica sala di preghiera sono molto sbiaditi, ma ancora leggibili. Se ci si aiuta con qualche fotografia storica, s’individua ancora bene la zona del matroneo, la parete contro cui stava l’armadio sacro, le finestre che ritmavano la luce.
E’ bene non dimenticare che, sotto il governo dei Gonzaga, gli ebrei godettero per secoli di una, certo non disinteressata, ma pur singolare tolleranza, e si inserirono capillarmente nel tessuto sociale. La diffusione di piccole, talvolta piccolissime comunità ebraiche ebbe il suo apogeo nel secolo XVI, ma continuò anche nelle età successive, con la fine del Ducato e l’insediarsi del dominio austriaco.
Il bel volume dedicato al Giardino degli ebrei, appena uscito a opera di un gruppo di studiosi mantovani, si muove lungo il crinale di queste memorie storiche. Lo spunto è stato offerto dall’indagine sui “giardini” appunto, ovvero “orti” – che era un modo antico per definire i cimiteri ebraici – oggi ancora numerosi, ma minacciati da un lento scomparire, pietre che temono l’abbandono. L’accurata trascrizione e traduzione delle lapidi ha prodotto, fra l’altro, un ricco apparato onomastico, che mette a disposizione abbondante materiale per nuove ricerche, ma il libro offre anche un inedito percorso tra sinagoghe e contrade ebraiche, in centinaia di documenti, immagini fotografiche e scorci di storia.
Ci si addentra così in luoghi desueti, affioramenti del passato, quasi riapparizioni carsiche di una dimenticata quotidianità giudaica: chi voglia capire quanto resta dell’ebraismo nelle vecchie terre delle signorie gonzaghesche è costretto a muoversi tra oblio e riscoperta, tra decadenza e rivalutazione. Eppure, la presenza delle vestigia ebraiche nel tessuto urbanistico di Mantova e dei centri della provincia è tanto sorprendente che ci si potrà godere il volume anche come un invito al viaggio.
Giulio Busi
Il Sole 24 ore
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