David Grossman A un cerbiatto somiglia il mio amore 10/11/2008
A un cerbiatto somiglia il mio amore David Grossman Traduzione di Alessandra Shomroni
MondadoriEuro 22
Dopo la tragedia che ha colpito la sua famiglia nell’agosto del 2006 quando il figlio Uri è rimasto ucciso nelle ultime ore della seconda guerra del Libano, non sapevamo se il libro che David Grossman stava scrivendo avrebbe visto la luce, se “si sarebbe salvato”. In realtà, come lui stesso ha affermato in occasione di un incontro con studenti bolognesi nel novembre del 2006, “è stato il libro a salvare me”.
“A un cerbiatto somiglia il mio amore” è il titolo che la casa editrice Mondadori ha scelto per l’ultimo bellissimo romanzo dello scrittore israeliano prendendo spunto da un verso del Cantico dei Cantici, mentre nella versione originale, Isha Borachat Mibesora” potrebbe essere tradotto con “Una donna in fuga da una notizia”.
Ed è proprio questo titolo che, a mio avviso, si avvicina maggiormente all’essenza profonda del libro definito da molti critici un’opera definitiva e dallo stesso editore Menahem Perry “il punto più alto della sua narrativa”.
E’ un romanzo complesso, fluviale, lacerante nel suo realismo ma anche dolcissimo e straripante di sentimenti.
L’azione prende avvio durante la Guerra dei Sei Giorni nel reparto di isolamento di un ospedale di Gerusalemme dove sono ricoverati tre giovani.
In quei giorni di delirio e di febbre il lettore fa conoscenza con Ilan, Avram e Orah, la cui amicizia nata in modo occasionale si salderà poco a poco e costituirà il collante che li terrà insieme per tutta la vita: Avram un ragazzo esuberante pieno di energia e di voglia di vivere che vuole scrivere radiodrammi, Ilan dal temperamento schivo che incanta le ragazze con i bellissimi occhi e poi Orah dai capelli rossi, una figura straordinaria che impregnerà con la sua carica umana ogni singola pagina del romanzo.
Dopo aver ascoltato le loro conversazioni e conosciuto i loro sogni adolescenziali, con un balzo temporale di vent’anni, ritroviamo Ilan, Avram e Orah ormai adulti alle prese con una vita complessa e dura perché tale è il paese dove vivono, un luogo dove per la maggior parte dei suoi cittadini il conflitto rappresenta l’unica realtà.
Fin dalle prime pagine la guerra è drammaticamente presente nelle vite e nei racconti dei personaggi, ora frantumando, ora disgregando le singole esistenze in un crescendo di tragedie passate e presenti: Avram rimane intrappolato nell’offensiva egiziana che sfonda le linee israeliane lungo il canale di Suez, viene catturato e torturato e con il corpo segnato dalle cicatrici prende le distanze dal mondo, da chi lo ama e da chi ama. Ilan e Orah dopo anni di matrimonio hanno deciso di lasciarsi: Ilan è partito con il figlio maggiore Adam per un lungo viaggio in Sud America, mentre Ofer, il figlio più piccolo ha terminato il servizio militare ma anziché partire con la madre per una gita in Galilea, come aveva concordato da tempo, si offre volontario per una missione in Cisgiordania.
Orah è disperata e teme l’arrivo degli ufficiali dell’esercito per annunciarle la terribile notizia della morte del suo ragazzo.
Da qui muove la decisione di fuggire come estremo atto d’amore di una madre che tenta di proteggere la vita del figlio: una fuga che si trasforma in rinascita perché ad accompagnarla a piedi in Galilea è Avram, il vero padre di Ofer, un uomo affaticato, disilluso dalla vita e segnato dalle sofferenze patite.
Orah scandisce quel lungo percorso narrandogli i mille episodi che hanno costellato la nascita e la crescita di quel bimbo che Avram non ha mai voluto conoscere: le piccole prodezze di quando ha cominciato a camminare, il rifiuto di mangiare carne nel momento in cui ha capito che le mucche venivano uccise per nutrire gli uomini, le corse in ospedale quando Ofer cade ferendosi al mento, tutti i gesti e i comportamenti che piano piano lo “hanno trasformato in un uomo”.
Attraverso i ricordi che scorrono inarrestabili e si insinuano con irruenza nella sua mente ferita, Avram torna alla vita: la memoria diventa quindi un modo per aggrapparsi all’esistenza e superare l’orrore del conflitto.
Ma non è solo il tema della guerra e dell’amore che emerge con forza dal tessuto del romanzo; mentre Orah e Avram percorrono a piedi la Galilea è la natura splendida e rigogliosa che appare agli occhi incantati del lettore. Come un pittore che dipinge un paesaggio, Grossman descrive con tocco lieve e suggestivo le bellezze naturali del paese: i boschi, i torrenti, i campi coltivati, le mucche al pascolo “gli insetti notturni che ronzavano”….
“…l’aria brulicava. Mosche, api, moscerini, farfalle, coccinelle, libellule, saltamartini su ogni foglia. Ogni particella di mondo contiene così tanta vita…..”
L’amore, la guerra e la natura non distolgono l’attenzione dello scrittore dalla complessa realtà israeliana che con le sue contraddizioni è presente nella figura di Sami, un arabo che vive nel villaggio di Abu Gosh, un amico per Orah con il quale si confida e al quale chiede all’occorrenza di farle da autista.
Eppure a un certo punto lo scontro con Sami diventa inevitabile e segna un altro tassello nella conflittuale convivenza fra arabi ed ebrei.
Il valore di questo romanzo risiede dunque nella capacità di condensare in sé, come un mosaico, tutte le situazioni possibili e immaginabili dell’esistenza quotidiana nello stato ebraico.
E’ un libro che mette insieme due temi salienti della narrativa dello scrittore israeliano e dei quali si è già occupato in precedenti romanzi: l’amore, la tenerezza, la vita intima della famiglia da un lato e il conflitto, la guerra con il suo corollario di sofferenze, brutalità e angoscia dall’altro.
Il risultato è un romanzo di forte impatto emotivo, la cronaca di un’emergenza senza fine che riesce a esprimere in modo mirabile la tensione e l’ansia profonda della società israeliana.