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La Stampa Rassegna Stampa
10.11.2008 Scontri tra monaci al Santo Sepolcro
la cronaca di Francesca Paci e un'analisi di Franco Garelli

Testata: La Stampa
Data: 10 novembre 2008
Pagina: 0
Autore: Francesca Paci - Franco Garelli
Titolo: «Battaglia tra monaci al Santo Sepolcro - Le futili ragioni dell'odio tra cristiani»

Scontri al santos epolcro tra monaci greco ortodossi e armeni.

Da La STAMPA del 10 novembre 2008, la cronaca di Francesca Paci e un'analisi di Franco Garelli.

Il testo di Francesca Paci:


Mariam ha 12 anni e si sente un'eroina. Insieme alle compagne del collegio armeno ha messo in salvo lo stendardo della Madonna dalla furia dei monaci, avvinghiati come in un match di wrestling davanti all'Edicola del Santo Sepolcro. È mezzogiorno. Sullo spiazzo davanti alla chiesa più famosa della cristianità, sovrastata dal minareto della moschea di Omar, si parla solo della guerra santa per il diritto alla pole position davanti alla tomba di Gesù. I soldati israeliani hanno appena ammanettato due religiosi, un prete armeno e l'avversario ortodosso con la tonaca nera e la lunga barba ispida come in una fiaba del russo Afanasiev. All'interno della basilica, ancora addobbata per la festa armena della Croce, l'aria è satura d'incenso e il pavimento disseminato di pezzi di candele, carbone, pietre come dopo una manifestazione politica dispersa dalle cariche della polizia.
«Ogni volta è la stessa storia» osserva Christian Manougian, 35 anni, originario di Yerevan, scendendo nella cripta di San Gregorio, la porzione del Santo Sepolcro che la legge ottomana del 1852, assegna agli armeni. Lo scorso anno, ammette, fu costretto a menare le mani: «I greci si sentono padroni. Siamo tutti cristiani ma ci combattiamo come fossimo ebrei e musulmani».
Non c'è pace in Città Santa. Don Matteo Crimella, studioso dell'École biblique, era al Santo Sepolcro ieri mattina alle 11, quando la processione guidata dal patriarca Torkom Manoogian, con il piviale d'oro d'ordinanza, ha raggiunto la Nastasi, l'ultima dimora di Cristo prima della resurrezione. «La liturgia armena prevede che ogni 9 novembre il vescovo e i seminaristi portino il proprio frammento della croce al sepolcro» racconta don Matteo. Nel mese di settembre tocca a latini e ortodossi: il legno della reliquia è lo stesso, ma le tre principali confessioni cristiane che custodiscono i luoghi sacri lo venerano a turno. Secondo il diritto consuetudinario bisognerebbe celebrare una volta ciascuno, da anni però armeni e greci si battono come tifosi di calcio per la vittoria, la bandierina su un metro di terra in più: «Quando il corteo è arrivato davanti all'edicola ha trovato un custode ortodosso impassibile. Non doveva essere lì durante la cerimonia. Invano padre George Hintlian gli ha urlato in inglese di andar via».
«Volevano provocarci» attacca padre Pakrat, diacono armeno con la dalmatica, la lunga veste rossa accompagnata dal cappuccio di raso nero. Nelle immagini televisive si vedono molti religiosi sfilarsi l'abito talare per non essere identificati. Cronaca d'una guerra annunciata, conferma Micky Rosenfeld, portavoce della polizia israeliana: «Sapevamo che sarebbe successo, era questione di tempo». Un anno fa, durante i preparativi per la messa di Natale, ortodossi e armeni si erano picchiati nella basilica della Natività, a Betlemme. Stavolta la polizia era preparata: 40 agenti e un reparto delle forze speciali.
Chi ha scagliato la prima pietra? L'eterno dilemma mediorientale s'infrange sulle mura antiche. «Stavamo protestando pacificamente per il nostro diritto a restare nella chiesa» spiega padre Serafim, un greco con la barba lunga e il cilindro nero. Mostra gli occhiali rotti da un pugno, icona tragica d'una fede accecata.
«Sembrava di essere allo stadio - continua don Matteo Crimella - i monaci che si lanciavano candele e incensieri, i pellegrini in fuga, la polizia israeliana affiancata dai militari armati di mitra. Uno spettacolo tristissimo in quello che dovrebbe essere il teatro simbolo dell'umanità». Yosef, falegname palestinese cristiano, un habitué della domenica mattina, si è ritrovato asserragliato con le figlie di 8 e 12 anni come durante l'intifada: «Ho visto un gruppo di armeni aggrapparsi ai capelli di un greco e strappargliene una ciocca». Sul pavimento a pochi metri dal sepolcro c'è un brandello di stoffa, un lembo di tonaca.
«È sempre peggio, l'anno scorso a Betlemme c'erano monaci con le pietre in tasca» ammette padre Ibrhaim Falts, parroco di Gerusalemme. Ieri si è combattuto con gli arredi sacri. Mariam e le amiche ripiegano lo stendardo e si fanno il segno della croce: la Messa, per ora, è finita.

E quello di Franco Garelli, del quale segnaliamo un errore storico. Scrive Garelli che il complesso delle moschee sorte sull Monte del Tempio "ricorda il luogo in cui Allah ha consegnato a Maometto il Corano".
Pochi sanno che Gerusalemme non è nominata nemmeno una volta nel Corano. E la tardiva leggenda che collega Maometto alla città santa dell'ebraismo riguarda un'ascesa al cielo su un cavallo bianco, non la consegna del libro sacro dell'islam.
Invitiamo i nostri lettori a scrivere alla STAMPA ricordando questi dati storici:



P roprio in un mondo in cui la religione si coniuga sempre più al plurale desta particolare scalpore la violenta rissa tra monaci armeni e greco ortodossi scoppiata ieri nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Una zuffa senza esclusione di colpi, come dicono le cronache, con un ricco repertorio di pugni e calci, e l'uso di candelabri per supportare le proprie ragioni. La polizia israeliana, intervenuta prontamente (forse perché già allertata) per sedare la rissa da stadio, ha fermato due monaci «rivali», ma conta tra le fila due feriti. Al di là del motivo contingente dello scoppio del conflitto (con i monaci armeni che hanno accusato quelli greco ortodossi di non aver lasciato libero il campo in occasione della loro cerimonia annuale della croce), è utile comprendere perché quello del Santo Sepolcro è uno spazio in cui il fuoco cova costantemente sotto la cenere. La rissa di ieri non è occasionale e riflette una situazione esplosiva che da anni coinvolge tutti gli attori religiosi che si dividono questo luogo sacro, unico per la sua importanza. In un ristrettissimo spazio sacro si riverbera una storia di divisioni del cristianesimo, che si sono cristallizzate nel tempo e continuano tutt'oggi.
La centralità del Santo Sepolcro (per le confessioni cristiane) è evidente, dal momento che esso è il solo spazio in cui si possa dire con una certa sicurezza che l'evento salvifico e quello storico coincidano.
Tutto si svolge attorno al monte Sion, sulla cui spianata c'è la moschea (che ricorda il luogo in cui Allah ha consegnato a Maometto il Corano), sul lato sinistro è situato il muro del pianto (ultima traccia del tempio di Salomone), mentre più spostato è ubicato il Santo Sepolcro. Nel raggio di nemmeno due chilometri, vi sono i maggiori luoghi della memoria delle tre grandi religioni del Libro. All'interno di questo luogo fondamentale della memoria, si assiste alla cogestione del Santo Sepolcro da parte di sei comunità. In primis le quattro chiese che gestiscono la Basilica (la greco ortodossa, l'armena, la copta e la latina); sul tetto della Basilica vi sono altre due comunità monastiche, una della chiesa copta ortodossa, l'altra di quella etiope ortodossa, che si contendono da sempre questo spazio.
Tra queste diverse confessioni religiose (e gli «inquilini» monaci che le rappresentano) la convivenza è difficile, per varie ragioni.
Anzitutto è assai arduo organizzare e dividere l'uso temporale dello spazio comune, in quanto la porta e la navata sono uniche e non è detto che le celebrazioni di una confessione religiosa (messa, processione, pellegrinaggio) terminino in modo cronometrico prima che inizino quelle di un'altra chiesa. Si può stabilire quando inizia una liturgia, mentre è più difficile prevedere quando essa finisce o di quanto può sforare rispetto ai tempi previsti; ciò perlomeno se si ha una concezione «vitale» e non meccanica degli eventi liturgici. All'interno di questo quadro, c'è la questione plurisecolare dei calendari, in quanto le diverse chiese non hanno un calendario liturgico comune. Per cui c'è il rischio talvolta della coincidenza di festività importanti nello stesso giorno, che crea tensioni e suscettibilità tra le diverse confessioni.
Oltre a ciò, le diverse chiese sono rappresentate nella basilica da comunità monastiche, che non sono espressione di una comunità allargata di fedeli. I fedeli che frequentano il Santo Sepolcro sono i pellegrini che vi giungono da tutto il mondo, per cui i monaci delle diverse chiese nel rivendicare il loro spazio nell'ambiente intendono difendere anche quel diritto al pellegrinaggio dagli evidenti risvolti culturali ed economici.
Infine, da tempo si rende necessaria un'opera di restauro della basilica, che rischia il crollo per rilevanti problemi di statica. Alcune comunità di monaci presenti non condividono gli interventi, ritenendo che essi siano invasivi e possano alterare gli aspetti reali e simbolici del luogo santo. Così un luogo sacro per eccellenza come il Santo Sepolcro continua a essere ancor oggi un fattore di tensione e conflitto tra le confessioni religiose cristiane.

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