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La Stampa Rassegna Stampa
08.11.2008 Uno storico sbilanciato e una svastica da 10,000 euro
Lui è Giovanni De Luna, la svastica è quella esposta ad Artissima

Testata: La Stampa
Data: 08 novembre 2008
Pagina: 8
Autore: Giovanni De Luna-La redazione
Titolo: «Vivere sotto custodia-Io di centro sinistra compro la svastica»

Due articoli sulla STAMPA di oggi, 08/11/2008. Il primo, di Giovanni De Luna, è una recensione ad un libro fotografico su Israele. Tutto il tono dell'articolo è fortemente impregnato dalla visione che l'autore ha dello Stato ebraico. Il libro, evidentemente critico, dà l'occasione a De Luna, storico da sempre sbilanciato verso la parte palestinese, di esprimere giudizi faziosi. 

Vivere sotto custodia, di Giovanni de Luna, pag.VIII di TUTTOLIBRI:

Moshe Dayan, affiancato da Yitzhak Rabin e Uzi Narkiss, varca la Porta dei Leoni nella città vecchia di Gerusalemme. E’ appena finita la guerra del 1967. I tre vincitori sono consapevoli della presenza dei fotografi (è stato lo stesso Dayan a convocarli) ma non guardano verso l’obiettivo; i loro occhi spaziano lontano, abbracciano tutto l’orizzonte: è uno sguardo da padroni, ma il loro sorriso è anche quello di chi si sente finalmente a casa.
Comincia così, con questa immagine, l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, un’immagine che la studiosa israeliana Ariella Azoulay ha scelto come foto-simbolo per il suo libro Atto di Stato. Palestina-Israele, 1967- 2007. Storia fotografica dell’occupazione (a cura di Maria Nadotti, Bruno Mondadori, pp. 313, e55). Si tratta di 700 scatti che provengono dagli archivi di oltre 70 fotografi, quasi tutti israeliani (nelle strade dei Territori furono affissi cartelli con il divieto di fotografare). Azoulay è consapevole della loro intenzionalità, sa benissimo cosa significhi che siano gli israeliani a fotografare e i palestinesi a essere fotografati e del complesso intreccio che si stabilisce tra gli uni e gli altri. Ma proprio questa consapevolezza segnala il suo libro come uno degli esempi più efficaci di come si possano usare le fotografie per raccontare la storia. Non sono immagini che illustrano il testo, che servono da contorno alla narrazione: parlano da sole, ci restituiscono una realtà altrimenti destinata alle nebbie dell’incertezza e dell’ignoranza.
A seconda dei punti di vista i Territori sono considerati «occupati», «liberati», oppure - ed è questa la terminologia ufficiale israeliana - «sotto custodia». Quale che sia la definizione da adottare, le immagini ci mostrano un’esistenza collettiva scandita dalla violenza e dalla brutalità (scontri, demolizioni di case, scioperi del commercio, arresti di massa), ma anche punteggiata da oasi di irreale normalità, da momenti di serenità inaspettati. Nonostante la censura, la propaganda, spesso a dispetto delle intenzioni di chi le ha scattate, quelle fotografie creano uno spazio di relazione tra vincitori e vinti, consentono a chi è stato ridotto alla condizione di apolide e privato della cittadinanza di trovare uno spazio pubblico in cui emergere dall’invisibilità e dalla rimozione.
«Atti di Stato» sono quelli che in altre circostanze sarebbero definiti come crimini e che invece possono essere impunemente commessi da individui a cui lo Stato garantisce la piena immunità. Ce ne sono molti nel libro. Due per tutti, non cruenti e proprio per questi esemplari: la famiglia cacciata dalla propria casa perché i soldati israeliani possano assistere ai mondiali di calcio; il piccolo sciuscià palestinese che lucida gli scarponi di un civile israeliano, travestito da ufficiale. Una domesticità infranta, un’infanzia abbandonata: la riproposizione, per noi italiani, degli incubi di un passato non ancora cancellato.

" Io di centro sinistra compro la svastica ", LA STAMPA, pag.53

Il secondo riguarda lo scandalo della svastica alla manifestazione torinese " Artissima ", della quale abbiamo dato notizia ieri. La riprendiamo perchè nella cronaca cittadina del quotidiano torinese si dà notizia della avvenuta vendita dell' < opera d'arte >, e quindi della sua scomparsa dalla esposizione. L'acquirente, un collezionista d'arte di Verona, tale Giorgio Fasol, si è subito dichiarato < di centro sinistra >, ed ha ripetuto le giustificazioni addotte dal curatore della rassegna,  < dissacra il simbolo del nazismo >, < evita la banalizzazione del male > ecc. Noi ci chiediamo come si sentirà il signor Fasol quando ammirerà l'opera, acquistata per 10,000 €, una enorme svastica luccicante usata come porta fiori. La guarderà, senza provare ripugnanza ? Si complimenterà con se stesso per aver dato prova di grande coraggio nell'aver difeso la < libertà dell'arte >, come molti hanno dichiarato per difenderne la presenza ? E meno male che è uno di sinistra ! Se fosse stato un simpatizzante nazista, chissà, il gallerista venditore dell' avrebbe potuto organizzare un'asta, il prezzo sarebbe forse anche salito. Riproduciamo la nazista, che adesso adornerà la parete della casa del signor Fasol.

Dopo la denuncia della Comunità Ebraica, la protesta del gallerista Ermanno Tedeschi e una serie di accuse più o meno velate, la contestata svastica è sparita. Impacchettata in un guscio di pluribol, l’opera di Giovanni Morbin è stata venduta e, contrariamente alle abitudini, staccata dal muro dello stand della galleria Artericambi prima della fine della fiera. «Dal momento che ci sono persone che si sentono offese dall’opera abbiamo deciso di consegnarla subito all’acquirente», ha spiegato il gallerista Francesco Pandian.
Il simbolo del nazismo trasformato in una luccicante fioriera di acciaio ha lasciato il Lingotto per raggiungere Verona e il suo nuovo proprietario, il collezionista d’arte Giorgio Fasol: «L’avrei lasciata esposta fino alla fine - dice Fasol, commercialista ed esperto d’arte contemporanea - perché il significato dell’opera è chiaro e forte: comunica la banalizzazione del male, ne denuncia i pericoli, provoca una reazione forte e critica, non certo apologetica». Fasol, che ha pagato diecimila euro senza battere ciglio, difende l’arte dei giovani, la necessità di non dimenticare l’orrore e di difendere a tutti i costi la libertà d’espressione. Dentro la svastica-fioriera ci metterà non a caso dei nontiscordardimé, poi la presterà a musei e gallerie. L’ideologia qui non c’entra, lui, che si definisce un uomo di centrosinistra, lotta «per i giovani, per l’arte, soprattutto quella che contribuisce a evitare che un simbolo atroce diventi un segno abituale, che non fa più discutere, che viene accettato come se fosse normale: è per questo che l’opera di Morbin è un’opera forte».
Anche Gianni Oliva comprende la scelta del direttore di Artissima, Andrea Bellini, e del gallerista di esporre la svastica: «Mi pare tipico dell’arte contemporanea suscitare polemiche e discussioni; in questo caso non mi pare ci sia nessun intento apologetico. Comunque l’arte suscita reazioni legittime da parte di tutti, e se non ne suscita vuol dire che ha fallito, che è solo paccottiglia». Fiorenzo Alfieri, assessore comunale alla Cultura, aggiunge: «La libertà espressiva non si tocca. Non basta una svastica per dire che si è mancato di rispetto, dipende tutto dal contesto. Allora che dire dei simboli del nazismo al Museo Diffuso della Resistenza? Certo che è una materia delicata, e posso capire una prima reazione negativa, ma è bene andare oltre, capire che l’intenzione è di dissacrare il simbolo, non di esaltarlo».
Ora l’opera è sparita da Artissima, comparirà altrove. «Senza voler entrare nel merito della libertà di espressione artistica - dice Tullio Levi, a nome della Comunità Ebraica di Torino - credo che l’aver utilizzato in questo contesto un simbolo cui sono collegate le peggiori atrocità della storia dell’umanità dimostra innanzitutto la più totale mancanza di sensibilità nei confronti di coloro che di tali atrocità sono state vittime».
Levi contesta il messaggio - secondo lui mancato - dell’artista: «una svastica scintillante da cui escono fiori veri e piante verdi non può che suscitare nel visitatore l’idea di un simbolo vitale, un’immagine dunque che rimanda a concetti di bellezza e di positività».
Ricorre proprio in questi giorni il settantesimo anniversario della Notte dei Cristalli e dell’emanazione delle Leggi Razziali: «Spero si siano resi conto che l’opera poteva offendere i visitatori - aggiunge Levi -, sono contento che sia finita così».
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