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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.11.2008 Rahm Emanuel è il capo dello staff di Barack Obama
figlio di un membro dell'Irgun, è stato volontario civile in Israele

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 novembre 2008
Pagina: 5
Autore: Paolo Valentino
Titolo: «Il braccio destro di Barack: un duro di Chicago volontario in Israele»
Barack Obama ha nominato il capo del suo staff : è Rahm Emanuel, congressista democratico di Chicago, che è stato volontario civile in Israele ed è figlio di un membro dell'Irgun.

I quotidiani del 7 novembre 2008 si occupano diffusamente della sua figura e delle implicazioni della sua nomina.

Citiamo gli articoli di Rolla Scolari sul GIORNALE  ( "Rahm Emanuel, il pitbul che rassicura Israele", pagina 5 ), di Anna Momigliano sul RIFORMISTA  ("Il dialogante Obama inquieta la Livni", pagina 8) e di Maurizio Molinari sulla STAMPA ( "Un'iraniana, un ebreo e task force sull'energia", pagina 3)

Ecco il testo dell'articolo pubblicato dal CORRIERE della SERA :

WASHINGTON — Le storie e gli aneddoti, alcuni veri altri inventati, che si raccontano di lui hanno una leggendaria intensità. Una volta mandò a un sondaggista un pesce marcio, avvolto nel giornale che aveva pubblicato i suoi pronostici sbagliati. La notte dopo la prima elezione di Bill Clinton, nel 1992, durante una cena di celebrazione, prese un coltello da bistecca e cominciò a fare a voce alta un elenco dei nemici del neo presidente: ogni nome, un fendente sul tavolo e il commento: «Morto!». «Una scena degna dei Soprano», ricorda uno dei partecipanti. Quanto alle sue telefonate con persone che conosce, siano di lavoro o private, finiscono invariabilmente con la frase: «Fuck you, love you».
E c'è un'altra storia a proposito di Rahm Emanuel, il congressista democratico di Chicago che ieri ha accettato il posto chief of staff della Casa Bianca, offertogli dal presidente-eletto, Barack Obama: il dito medio che manca alla sua mano destra glielo avrebbe fatto saltare un tank siriano, mentre serviva nell'esercito d'Israele. Non è vera: il dito se lo è tagliato da solo, da giovane, nell'affettatrice del fast-food dove lavorava. E non si è mai arruolato in Tsahal. Ma la leggenda centra ugualmente un aspetto fondamentale della personalità complessiva di Emanuel: l'uomo che si appresta a diventare il più stretto collaboratore del primo presidente afro-americano ha un fortissimo senso del suo ebraismo, è profondamento ed emotivamente legato al retaggio culturale che gli viene dalla sua biografia, è un amico di Israele. «La sua nomina — dice Ira Forman, del National Jewish Democratic Council — è un'altra indicazione che, a dispetto dei tentativi di descrivere Obama come circondato da persone sbagliate a proposito dei rapporti con Israele, il nuovo presidente si muove nella direzione giusta».
La storia familiare e personale di Rahm Emanuel d'altronde parla chiaro. Suo padre Benjamin è un medico pediatra, nato in Israele, che fece parte della resistenza clandestina sionista negli anni Quaranta: era uno dei membri dell'Irgun, il gruppo militare ultranazionalista di fu capo anche l'ex premier Menachem Begin, che lottò contro l'occupazione inglese tra il 1931 e il '48.
«Ovviamente influenzerà il presidente in senso pro-israeliano», ha detto ieri Benjamin Emanuel al Los Angeles Times, dopo aver appreso dell'accettazione della nomina da parte del figlio.
A Chicago, dove si trasferì negli anni Cinquanta, Benjamin fu attivo negli ambienti democratici della città più segregata d'America, combinando l'ebraismo con l'impegno per la causa dei diritti civili al fianco dei neri: un patrimonio intellettuale e politico, ereditato dal figlio.
Anche se non ha mai combattuto nell'esercito di Tel Aviv, Rahm Emanuel nel 1991, durante la prima guerra del Golfo, andò volontario civile in Israele, dove servì come meccanico in una base militare. Al ritorno lavorò nella campagna di Bill Clinton e due anni dopo diventò uno dei suoi più fidati consiglieri alla Casa Bianca.
Un vero cane da guardia: celebre per gli urli e le maleparole ai suoi sottoposti, ma anche efficacissimo. Pronto a dire a Tony Blair, in visita a Washington durante lo scandalo Lewinsky: «Mi raccomando, non fare stronzate». Fu lui, tra le altre cose, a dirigere la famosa cerimonia della stretta di mano tra Rabin e Arafat, sul prato della Casa Bianca. E soprattutto fu la testa di ponte di Bill Clinton con la comunità ebraica, che grazie a Rahm finanziò generosamente le loro campagne: «Senza di lui, dubito che ce l'avrei fatta», disse più tardi l'ex presidente.
Quarantanove anni, tre figli con la moglie Amy Rule, conosciuta a un blind date, Rahm Emanuel è devotissimo membro di una congregazione ortodossa di Chicago. È anche molto attivo nella Jewish Federation of Metropolitan Chicago, dove partecipa a discussioni ed eventi, intervenendo spesso sul Medio Oriente. Tra fine settembre e i primi di ottobre, quando al Congresso federale è stato fra i protagonisti del negoziato sul piano di salvataggio finanziario da 800 miliardi di dollari per Wall Street, Emanuel ha chiesto e ottenuto una dispensa speciale dal suo rabbino per poter lavorare durante il Rosh Hashanah, il Capodanno ebraico. Insieme alla fama di duro, che gli è valso il soprannome di Rambo e che sarà preziosa al futuro presidente, Emanuel offre quindi a Barack Obama una straordinaria antenna di sintonizzazione con il mondo ebraico americano e con Israele. «La sua nomina mi dà ottime ragioni per credere che Barack Obama non aspetterà anni per occuparsi della crisi arabo-israeliana», ha commentato ieri Jeffrey Goldberg del periodico The Atlantic.

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