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Luciano Tas
Le storie raccontate
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1973: la sesta parte di "Quaranta e li dimostra", di Luciano Tas

Giornalismo e giornalisti.

Il 23 gennaio uno scrittore sovietico “di corte”, Aaron Vergelis, pubblicava sull’ignoto “Birobigianer Stern”, foglio del Birobigian, regione “ebraica” dell’URSS, un lungo articolo sugli ebrei italiani che aveva maturato - così riferiva – dopo qualche ricerca e un colloquio avuto nella redazione del mensile ebraico “Shalom” a Roma.

La cortesia che era stata volentieri usata al collega non veniva però ricambiata.

Vergelis scriveva che “Shalom”  da un lato sopprime i fatti e dall’altro li falsifica”. Io stesso venivo presentato come “un agente israeliano locale”, mentre “il bilancio di Shalom è coperto per il 40% da Israele e il resto arriva in dollari dalla CIA”.

I sionisti, assassini di Abdel Zwaiter (di cui si riferiva nella scorsa puntata) sono terroristi e Shalom è il dipartimento giornalistico del gruppo terroristico”.

Il punto però non è la prosa, in puro stile comunista sovietico, di Vergelis, legato al potere di Mosca dalla paura, ma la nessuna eco che quello scritto ingiurioso e diffamatorio verso un periodico italiano generalmente stimato e rispettato, suscitava nei media di casa nostra. Nessun commento, nessuna solidarietà al giornale ebraico, né ad un collega trattato da terrorista al soldo della CIA.

Nel ’73 è ancora di cattivo gusto criticare in qualsiasi modo, anche indiretto, l’Unione Sovietica.

Il 1973 vede il compiersi di importanti eventi.

A gennaio a Parigi il rappresentante degli Stati Uniti Henry Kissinger e quello del Vietnam del Nord Le Duc Tho firmano l’accordo che prelude alla fine del coinvolgimento militare americano in Vietnam e prevede la riunificazione di quel paese.

In pratica la guerra in Vietnam finisce con la prima sconfitta militare degli Stati Uniti e con la pura e semplice occupazione nordcoreana della Corea del Sud.

Il principio che le guerre è meglio non farle, ma se proprio si devono fare è meglio essere attrezzati materialmente e psicologicamente per vincerle, era stato disatteso dagli americani che dovettero registrare un grave smacco al loro prestigio e la perdita di cinquantottomila soldati.

La crisi in cui si dibattevano gli Stati Uniti era resa più grave dallo “scandalo del Watergate”. Il Presidente Richard Nixon, che pure aveva saputo evitare al paese ulteriori guai mettendo fine alla disgraziata avventura vietnamita, veniva messo sotto accusa per avere ordinato di spiare gli avversari democratici in casa loro, appunto l’Hotel Watergate. tanto da doversi dimettere l’anno seguente per evitare l’impeachment, il “processo” da parte del Congresso. Nessuno, almeno qui da noi capirà bene perché Nixon abbia finito per consegnare agli inquirenti i nastri con le sue conversazioni compromettenti invece di farli sparire, come probabilmente sarebbe accaduto tranquillamente in alcuni paesi europei.

A luglio colpo di Stato in Afghanistan. Il re Mohammed Zahir Shah è cacciato dal trono e costretto all’esilio. E’ proclamata la repubblica, di cui diventa Presidente  Mohammed Daud, che a sua volta nel 1978 sarà rovesciato con conseguente costante peggioramento della situazione economica e politica del Paese, diventata catastrofica dopo l’insensata invasione sovietica (sempre il vecchio sogno zarista di espansione fino ai mari caldi…) che tuttavia rappresentava ancora una fetta di civiltà rispetto alla devastazione selvaggia perpetrata dal potere conquistato dai talebani, che riportavano l’Afghanistan al più cupo medioevo.

Settembre è ancora tempo di golpe. I militari cileni, guidati dal generale Ugarte Augusto Pinochet, costringono a suicidarsi il Presidente in carica Salvador Allende durante l’assalto armato al Palacio de la Moneda, sede della Presidenza della Repubblica. Ne seguiva un bagno di sangue e l’instaurazione di una spietata dittatura che sarebbe durata per molti anni.

Intanto da noi fa rumore la proposta di Enrico Berlinguer, leader del PCI, lanciata dalle pagine di “Rinascita” di un “compromesso storico”, vale a dire una qualche forma di collaborazione (o coabitazione) tra i due maggiori partiti italiani, la DC e il PCI. Berlinguer ha capito che la sinistra in Italia non potrebbe mai raggiungere il potere attraverso le urne.

Di ”compromesso storico” si parlerà a lungo. Ma una vera e completa analisi della vicenda politica della sinistra italiana, con uno sguardo non superficiale alla storia del comunismo sovietico e cinese, il PCI prima, i DS poi e infine il PD, esiteranno sempre ad affrontarla.

All’alba del 6 ottobre truppe egiziane (i cui movimenti erano inspiegabilmente sfuggiti al servizio segreto israeliano) passano il Canale di Suez e sbarcano nel Sinai, rimasto in mani israeliane dopo la guerra del ’67.

A presidiare le rive orientali del Canale c’è solo una fragile linea difensiva: poche migliaia di soldati con la stella di David, una parte dei quali era tornata a casa per la solennità religiosa ritenuta la più importante nel mondo ebraico, il Kippur, giorno del Grande Digiuno.

Israele è dunque colto di sorpresa. Quando reagisce (con relativa prontezza) due armate egiziane stanno raggiungendo le loro avanguardie penetrate profondamente nel Sinai. Contemporaneamente si muovono anche i blindati dell’esercito siriano, cui si oppone da parte d’Israele un  meno fitto schieramento di carri armati.

Ora qui accadono due cose di segno opposto. La prima riguarda le riserve di armi e munizioni dell’esercito d’Israele, che non bastano per una guerra prolungata. Ed ora non siamo più ai sei giorni del 1967.

Il timore dello Stato Maggiore è dunque questo. La richiesta, drammaticamente urgente, di assicurare il livello degli armamenti, è subito rivolta agli Stai Uniti (l’Europa è fuori discussione, visto il suo atteggiamento più attento ai produttori di petrolio che al piccolo Stato ebraico, e che forse è anche attraversata da storiche avversioni).

Gli USA tuttavia tarderanno almeno una decina di giorni a far pervenire a Israele il materiale bellico richiesto.

Si dirà poi che dietro a questo ritardo ci sia stato il disegno un po’ cinico del Segretario di Stato americano Henry Kissinger di consentire all’Egitto di conseguire una vittoria su Israele per “pareggiare i conti”, cancellare l’umiliazione della guerra dei sei giorni e rendere così più facile un negoziato di pace globale. Una ipotesi, naturalmente.

La seconda cosa, quella di segno positivo per Israele. è l’errore strategico del comandante egiziano, il quale ritenendo di essere avanzato troppo nel Sinai. fino a lambire il confine pre-1967, decide di fermarsi per aspettare i rifornimenti. Non si fosse fermato, l’arretramento delle forze israeliane si sarebbe tramutato probabilmente in rotta.

L’indugio risulta fatale, e quando l’indisciplinato generale Ariel Sharon decide di passare il Canale con la sua divisione e di giungere fino a 101 chilometri dal Cairo, il panico comincia a serpeggiare nello Stato Maggiore egiziano. Quando le forze di Sharon si trovano in terra d’Egitto a bloccare i movimenti delle due armate egiziane, stringendole in una morsa insieme alle truppe schierate di fronte agli egiziani sulla parte opposta del Canale, la guerra è decisa a ovest come ad est, dove le truppe siriane finiscono per subire una cocente punizione.

Il 22 ottobre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU intimava ai contendenti di cessare il fuoco, dando così modo a Egitto e Siria di evitare una catastrofe. Ma proprio di catastrofe egiziana e siriana si tratta. Le truppe israeliane da una parte sono ferme a minacciare il Cairo, distante appena 101 chilometri, dall’altra completano l’accerchiamento delle due Armate egiziane. Sul fronte siriano, ora Damasco è a trenta chilometri, a portata d’artiglieria.

Il 25 ottobre la guerra è finita davvero.

Luciano Tas

taslevi@alice.it


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