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L'Espresso Rassegna Stampa
06.11.2008 La scommessa di Tzipi Livni
la situazione politica interna israeliana secondo Wlodek Goldkorn

Testata: L'Espresso
Data: 06 novembre 2008
Pagina: 0
Autore: Wlodek Goldkorn
Titolo: «Israele è donna»
Da L'ESPRESSO del 6 novemnre 2008:

Siamo solo agli inizi. E sarà una campagna elettorale sporchissima, una delle più dure nella storia del nostro Stato... Yaron London ha 68 anni, è giornalista autorevole, scrittore, uno degli intellettuali più apprezzati d'Israele. Su queste consultazioni politiche (si terranno il 10 febbraio) non si fa illusioni. Sarà una guerra senza esclusione di colpi, perché centrata sulle questioni personali: in mancanza di grandi narrazioni della storia e dei progetti del futuro, ci si concentrerà sulle biografie dei candidati premier, e ci si massacrerà a vicenda. A poco più di 60 anni dalla nascita dello Stato degli ebrei, una donna, Tzipi Livni, lancia la sfida a tre militari, veterani di epiche battaglie. Bastava osservare, qualche giorno fa, la seduta della Knesset, il parlamento. Eccoli entrare lentamente i tre ufficiali. Sono nell'ordine: Ehud Barak, ex premier, ex capo di Stato maggiore, il soldato più decorato della storia d'Israele, oggi leader del Labour; Benjamin Netanyahu, ex ufficiale della Sayeret Matkal, unità d'élite in cui era sottoposto di Barak, anche lui ex premier, oggi a capo del Likud all'opposizione; e infine Shaul Mofaz, ex capo di Stato maggiore, e fino a qualche anno fa ministro della Difesa. Mofaz fa parte di Kadima, il partito fondato da Ariel Sharon, poi guidato da Ehud Olmert, e di cui oggi Livni è la leader. Ma anche lui le rema contro. Sono uomini in carne, petto all'infuori, colli forti, le giacche che non riescono a stare abbottonate. Sorridono con benevolenza. La mano che porgono è molle, le dita sfiorano appena quelle del collega di turno, segno evidente di potere. Sono maschi cinici dall'aria di grandi navigatori. Fanno capire che la patria gli deve molto e loro regalano al pubblico la gloria e il tempo. Poi, a seduta iniziata, furtivamente entra Livni, si siede rapidamente al banco del governo come se fosse una studentessa colpevole di un ritardo e che non vuole farsi notare da un severo professore: una secchiona, non brillante, ma brava. Il 10 febbraio vorrebbe vincere e governare. Ce la farà? E se sì, con quali armi? Ma soprattutto, qual è la vera posta in gioco di questa sfida?

Una risposta la dà Eitan Kabel, un deputato del partito laburista, alleato (oggi e in un ipotetico futuro governo) di Kadima. In una trasmissione tv, dice: "In queste elezioni da un lato ci sono due persone, Ehud Barak e Benjamin Netanyahu, dall'altro qualcuno che non si sa chi sia". Detto in parole povere: da un lato l'establishment maschile militare politico (e anche economico) e che ha governato Israele negli ultimi decenni, dall'altro una donna che rimane un'incognita. Si dà però il caso che, nei 60 anni di vita, Israele ha conosciuto 31 governi. Negli ultimi dieci anni, gli esecutivi che si sono succeduti sono stati cinque. E se negli anni Settanta, il 90 per cento degli aventi diritto si recava alle urne, nel 1992 questa percentuale era scesa al 77 per cento, per crollare nel 2006 (per il parlamento appena sciolto) al 63. Ecco perché è il disincanto il sentimento prevalente, in una nazione dove fino a poco tempo fa sull'autobus era sempre accesa la radio che trasmetteva le ultimissime notizie, mentre i passeggeri commentavano e litigavano. Ora, invece, il primo ministro in carica fino alle elezioni (Olmert) è indagato per corruzione; l'ex ministro delle Finanze Hirschson affronta una brutta storia giudiziaria, accusato di aver rubato soldi al sindacato di destra; l'ex capo dello Stato Katsav si è dimesso, e solo per carità di patria non è stato accusato di stupro (ci si è limitati a parlare di molestie). Netanyahu è stato indagato, il leader del partito degli ortodossi sefarditi Shas, Aryeh Deri, è finito qualche anno fa in galera.

Il compito che si è data Tzipi è convincere gli israeliani che un'altra politica è possibile. Stando ai sondaggi, il suo Kadima e il Likud di Netanyahu sono testa a testa (30 mandati su 120, ciascuno) con il capo dell'opposizione in ascesa. Ma c'è ancora molto tempo. E c'è un altro sondaggio che le dà speranza. Dice che il 47 per cento degli israeliani è convinto che lei Tzipi Livni, 50enne avvocato e da pochi anni in politica, nata a Tel Aviv, figlia di un leader storico della destra e deputato per ben tre legislature, Eitan Livni, ha a cuore "il bene della patria". Solo il 20 per cento la pensa così di Netanyahu, mentre il bene del Paese si associa al nome di Barak solo per l'11 per cento dei compatrioti. Livni è riuscita insomma a costruirsi l'immagine di una signora estranea agli intrighi di palazzo, una persona perbene. Qualcuno l'ha paragonata a Golda Meir, ma lei è il contrario. Golda veniva da Milwaukee, profonda provincia americana, parlava un ebraico povero, era sempre angosciata, con lo spettro dei pogrom (era nata a Kiev) in mente. Tzipi parla un ebraico bello, fiorito, duro, da sabra: ha l'aria di una donna realizzata e serena alla quale non mancano né affetti né intelligenza.

Dicono i suoi denigratori: dopo le dimissioni di Olmert non è riuscita a costruire una nuova coalizione di governo, perché troppo rigida, perché ingenua, inadatta a fare politica. Lei ha affidato la risposta a Yoel Marcus, un veterano del giornalismo. "Non sono un'ingenua", gli ha detto, "so che ogni cosa ha un suo prezzo. Ma non ogni prezzo vale la pena pagarlo". E ha spiegato: "Non sono entrata in politica per sopravvivere, ma per realizzare il mio programma". Quale programma? Non lo sa bene neanche lei, dicono i maligni. Forse perché ha scelto un metodo inusuale. Si è rivolta a tutti quelli che possono darle delle idee. Ha parlato con economisti, scrittori (che non sono esperti di niente se non dell'animo umano), intellettuali. Ha fatto e ripetuto domande semplici. Prima di parlare e decidere, vuole capire. I nomi sono segreti. Ma il verdetto è unanime: "Tzipi è come la si vede. È onesta. Non ha idee chiarissime, o se le ha, le farà sapere una volta eletta premier. Vuole la pace. Ha presente la gravità della situazione economica. Si rende conto che senza uno Stato palestinese, l'esistenza di Israele è in pericolo".

Economia e pace, dunque. Israele ha vissuto un'epoca di un boom straordinario: una crescita del Pil di oltre il 5 per cento l'anno, disoccupazione sotto il 6 per cento e Pil pro capite di oltre 27 mila dollari. Dice Avishai Braverman, economista di fama, presidente della Commissione finanze del parlamento, ex rettore dell'Università di Beer Sheva e uno dei leader laburisti: "La crisi mondiale finirà per colpire anche noi e ci impone di ripensare il modello del capitalismo, di investire di più nell'istruzione, di lavorare per diminuire le disuguaglianze sociali, in crescita, di investire nel capitale umano, di dare un'impronta di segno socialdemocratico alla società". Se Tzipi dovesse vincere, Braverman potrebbe diventare ministro nel suo governo. E comunque lei lo ascolterebbe. Per quanto riguarda la pace, la formula dell'accordo coi palestinesi è chiara: ritiro entro i confini del 1967, rinuncia al mito di una Gerusalemme unificata. E un simbolico riconoscimento del diritto di ritorno dei profughi palestinesi. "Di quest'ultima cosa Livni non vuole sentire parlare", dice uno dei suoi interlocutori segreti, "ma nel corso di negoziati cambierà idea, sa qual è la posta in gioco".

Netanyahu, suo principale concorrente, farà la campagna incentrata proprio su questo. Dell'economia, meglio che non parli. È stato un ultraliberista, ora dovrà far dimenticare questo suo passato: ma lui è abile a negare oggi ciò che ha detto ieri. Su Gerusalemme (che "Tzipi vorrebbe dividere") può mobilitare un importante pezzo dell'opinione pubblica. E si è già procurato l'appoggio dello Shas. Sono stati loro a far fallire il tentativo di Tzipi di costituire il governo. Un pretesto erano i soldi per le famiglie bisognose; l'altro la questione della Città Santa. Ma Livni ha un'arma potente nelle mani: può spiegare come i capi dello Shas hanno voluto le elezioni subito, non per ragioni nobili, ma perché tra dieci mesi finisce il divieto, decretato da un tribunale, per il leader corrotto Deri di coprire ruoli pubblici. Votando a febbraio, Deri resta fuori dal parlamento e l'attuale leadership è salva, altro che amore per la patria. Livni dirà poi che nella lista elettorale di Netanyahu, che "non vuole la pace", ci sono troppi uomini delle élite: da Yair Shamir, figlio di Itzhak, ex premier, a Zeev Jabotinsky, nipote del leggendario fondatore della destra sionista. E anche che ha vinto una sola volta: contro Peres, per pochi voti, mentre ogni giorno saltavano per aria gli autobus (le altre elezioni le ha sempre perse).

Tra l'altro, Tzipi dovrà spiegare come ha fatto lei, figlia dell'élite askenazita (i suoi genitori furono la prima coppia a sposarsi il giorno dopo la nascita dello Stato) e pupilla di Ariel Sharon, politico da molti considerato un "bugiardo patologico", ad assumere le sembianze di una donna fuori dal palazzo. Ma c'è pure chi dice: oggi in Israele ci sono solo tre persone che hanno davvero la faccia pulita. E sono: Dalia Itzik, presidente del parlamento, Dorit Beinish, presidente della Corte Suprema, e Tzipi Livni aspirante premier. Guarda caso sono tre donne con principi, non tre combattenti maschi, in apparenza forti, in realtà dediti a ogni intrigo. Ecco i termini della scommessa.

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