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Il Manifesto Rassegna Stampa
06.11.2008 Il complotto sionista o bushista, le ossessioni dell'estrema sinistra
due articoli dal quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 06 novembre 2008
Pagina: 0
Autore: Michele Giorgio - Tommaso Di Francesco - la redazione
Titolo: «In Iraq è in arrivo il colpo di coda di Bush - Ora è Petraeus il presidente Usa - «Schiavo negro, un segno di resa»»

I "sionisti" controllano la politica mediorentale americana, è alto il rischio che Israele attacchi l'Iran ( una nazione come noto pacifica, che non minaccia nessuno).

Michele Giorgio intervista per Il MANIFESTO del 6 novembre 2008 l'analista egiziano Diaa Rashvan.

Tra iintervistato e intervistatore l'intesa è perfetta. Per entrambi i nemici sono Israele e i "sionisti" in America.

Ecco il testo:


Nel mondo arabo Barack Obama non ha mai suscitato grande entusiasmo. Tuttavia in Medio Oriente, dopo l'annuncio della vittoria del candidato democratico e l'uscita di scena di George W. Bush, in molti hanno tirato un sospiro di sollievo. È presto per fare previsioni dettagliate, ma dal Cairo a Baghdad molti si pongono interrogativi su quella che sarà la politica del nuovo presidente americano nella regione. Sarà più imparziale del suo predecessore nel conflitto israelo-palestinese, come gli ha chiesto ieri il Segretario della Lega araba Amr Musa? Metterà fine alla «guerra preventiva» di Bush? Rinuncerà a fare dell'Iraq una enorme base militare americana da cui attaccare i cosiddetti «Stati canaglia» come Siria e Iran? Lo abbiamo chiesto a Diaa Rashwan, analista del Centro studi strategici «Al-Ahram» del Cairo.
Parte Bush, arriva Obama: in Medio Oriente cosa cambierà?
Barack Obama non si dedicherà solo all'economia americana e alla politica interna come dicono molti. Il nuovo presidente si occuperà anche di politica estera e, ne sono certo, lo farà in modo sostanzialmente diverso da George W. Bush. Obama ha origini politiche diverse, non è circondato dai neocons che decidevano la politica estera di Bush e, soprattutto, vuole ricostruire su basi un po' diverse la leadership americana nel mondo. Instaurando, ad esempio, relazioni forti relazioni con Mosca e Pechino, e anche con l'Europa, rinunciando all'uso della forza per risolvere le tensioni e in conflitti.
I palestinesi possono sperare nella libertà e nell'indipendenza?
Purtroppo questo è un terreno minato nel quale Obama eviterà di entrare, se possibile. Israele e la sua sicurezza non sono per gli americani un capitolo della loro politica estera ma di quella interna. È una questione delicata che condiziona la linea di ogni presidente Usa. Perciò mentre immagino un Obama che avvia una politica diversa nel resto del Medio Oriente, invece lo vedo seguire le orme dei suoi predecessori quando si occuperà di Israele e Territori occupati palestinesi. E non escludo che possa prendere posizioni persino più filo-israeliane di quelle tenute da Bush.
Insomma anche con Obama le risoluzioni internazionali sulla Palestina rimarranno pezzi di carta?
Purtroppo sì, non riesco a vedere cambiamenti drammatici nella politica Usa su quel conflitto.
Obama in campagna elettorale ha detto che farà tornare a casa i soldati americani che occupano l'Iraq. Sul tappeto però ora c'è l'accordo di sicurezza che Baghdad e Washington stanno negoziando e che potrebbe fare dell'Iraq una base per le operazioni militari Usa in quell'area, come avvenuto il mese scorso con l'attacco in Siria.
Obama probabilmente non rinuncerà a quell'accordo, ma non lo intenderà come Bush, almeno è questo quello che si spera nel mondo arabo. A mio avviso cercherà soprattutto un'uscita onorevole dell'Iraq. Tuttavia nei prossimi due mesi dobbiamo aspettarci un colpo di coda dell'Amministrazione Bush che potrebbe prendere decisioni in Iraq, volte a condizionare il lavoro della nuova Amministrazione.
Gli Stati Uniti di Barack Obama attaccheranno l'Iran, come ha minacciato più volte Bush?
Lo escludo, il nuovo presidente ha altre priorità e non intende scatenare una nuova guerra che oltre ad essere disastrosa per il Medio oriente assorbirebbe enormi risorse che Obama vuole investire nella ripresa economica.
Potrebbe farlo Israele.
Il rischio esiste, specie se nelle elezioni legislative del febbraio prossimo sarà Benyamin Netanyahu (Likud) a vincere le elezioni. Ma Israele non può fare tutto da solo, avrebbe bisogno del sostegno americano che al momento appare assai improbabile.



Tommaso di Francesco teme invece che il generale Petraeus continui la guerra al terrorismo. il che fa capire quale genere di speranze il quotidiano comunista nutre per la presidenza Obama: che sia la presidenza della resa dell'America ai suoi nemici.

 Qualcuno negli Stati uniti e non solo, si sta interrogando sull'anomala figura rappresentata dal generale David Petraeus, che è diventato comandante del CentCom, il Central Command Usa, la cui area di responsabilità è tutto il Medio oriente (le due guerre in corso in Iraq e Afghanistan, la tensione con l'Iran, la crisi Israele-Palestina, Libano e Siria). Così, sarà per quello strano cognome che riecheggia assonanze da tardo impero romano, sarà perché, ricordano i giornali statunitensi, è stato comandante della famosa 101ma Brigata corazzata che sbarcò in Normandia e che fu a suo tempo comandata da Eisenhower (che poi diventò presidente), ma sono im molti a guardare a questo «strano guerriero» che avanza e che vanta la svolta militare, in extremis, che ha, solo in parte, capovolto le sorti della guerra di Bush in Iraq.
Soprattutto ora che c'è stata la straordinaria elezione a presidente di Barack Hussein Obama. Obama è stato eletto a furor di popolo, ma non è ancora insediato. Nell'interrregno che dura fino a metà gennaio, governerà l'America ancora lo screditato e fallimentare George W. Bush. Quindi rischiamo da oggi di avere una sorta di dualismo di poteri: quello del nuovo, legittimo presidente degli Stati uniti in pectore pronto a prendere il suo posto di comando, e dall'altra il predecessore che fa lo scatolone per andarsene ma che in realtà è ancora, a tutti gli effetti, il presidente.
Attenti allora. A lui, ai suoi possibili colpi di coda che già fanno capolino dai quattro angoli del pianeta. Soprattutto al lascito più pesante: 635miliardi di dollari investiti nel bilancio del Pentagono che fanno da sentinella ai 700miliardi di dollari impegnati per salvare il disastro finanziario americano. Uno strascico bellico non è da escludere se in gioco è il primato. Del resto la giornata di ieri sembrava allestire il teatro - tra irruzione di carri armati israeliani a Gaza, raid aereo Nato in Afghanistan che ha provocato una strage di civili, dichiarazione russa sull'installazione di missili Iskander nell'enclave di Kaliningrad come ritorsione allo Scudo antimissile di Bush installato a Praga e Varsavia.
Ma è credibile che un presidente disarcionato e impresentabile trascini all'ultimo momento la più potente nazione della terra nell'ennesima sfida armata, magari all'imperituto stato canaglia rappresentato dall'Iran di Ahmadi Nejad o contro Damasco come ha dimostrato il sanguinoso recente raid in territorio siriano? Tanto da coinvolgere anche il neopresidente eletto Obama che tante speranze di pace invece suscita?
Il dato certo è questo dell'interregno. Nel quale, in modo assolutamente sotterraneo, ad essere davvero «presidente» sul campo sarà proprio il generale in capo David Petraeus. Il plenipotenziario d'Oriente è arrivato in questi giorni a Kabul, non prima d'essere passato in Pakistan ad incontrare, proprio come un capo di stato, il neopresidente Asif Ali Zardari. All'ordine del giorno le tensioni tra Washington, Kabul e Islamabad per il disastro degli attacchi missilistici e aerei che provocano stragi di civili e la rivolta delle popolazioni locali, ma soprattutto il tentativo di inscrivere quelle aree, comprese quelle turbolente delle «regioni tribali» nella logica già sperimentata in Iraq da Petraeus della «guerra speciale» di controguerriglia, capace di assoldare tribù locali le une contro le altre e tutte contro Al Qaeda. Spostando inoltre massicciamente, con l'accordo del neopresidente Obama, truppe dall'Iraq.
Chissà se ora Petraeus arriverà anche sul fronte del Caucaso, a Praga e Varsavia per lo Scudo, a CampBondsteel in Kosovo nella più grande base americana in Europa, a Vicenza o a Pratica di Mare che il governo Berlusconi promette di trasformare in una base americano-atlantica? Comunque per due mesi e mezzo è lui l'uomo più autorevole per l'uso della forza. Alla cerimonia della nuova investitura nella base dell'Air Force MacDill a Tampa Bay, il ministro delle difesa Robert Gates - che, arriva notizia, il neopresidente Obama intenderebbe confermare nella carica - ha definito Petraeus «l'uomo giusto al momento giusto».

Il MANIFESTO pubblica anche una notizia interessante.
Anche gli jihadisti sperrano che l'elezione di Obama sia un segno di resa.
E non perdono l'occasione di chiarire che il mondo che vorrebbero è agli antipodi di quell'America nella quale "tutto è possibile"
Per loro, Obama è solo uno "schiavo negro", buono solo per alzare le mani ins egno di sconfitta. 
Speriamo in una risposta a tono.



«Un segnale implicito della resa statunitense» e «un'indicazione della voglia del popolo americano di scendere a patti con al-Qaeda». Così molti forum jihadisti hanno commentato, in tempo reale, l'elezione di Obama, definito «uno schiavo negro», «un negro blasfemo a capo di una nazione blasfema». E i commentatori dei principali forum jihadisti si dicono «inorriditi» anche dal fatto che «per la prima volta nella storia la First Lady americana sarà una schiava negra». Reazioni e commenti ma soprattutto tanti improperi sono comparsi sin dalle prime ore del mattino, quando la notizia della certa vittoria di Obama si è diffusa attraverso i media di tutto il mondo.




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