DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME — Si scopron le tombe, si rinfacciano i torti. Il muftì Mohammed Hussein tuona da Est, indignato: «Stanno cancellando la nostra religione e la nostra memoria! ». Il rabbi Marvin Hier via telefono da Los Angeles, ironico: «Ci hanno parcheggiato le auto per 45 anni, e protestavano solo per le multe...». L'ultima terra contesa di Gerusalemme è un antico cimitero musulmano. Mamilla. Nel cuore dell'Ovest, vicino al consolato americano e alle vie dei negozi. Ai margini del Gan Ha 'Atzamaut, il parco che disegnarono gl'inglesi, oggi il polmone verde della città. Un luogo un po' anonimo: «C'è poco da dire — lo liquida pure la Lonely Planet, la guida turistica —: è trascurato, circondato dal traffico». Quattro anni fa, con solenne cerimonia alla presenza di Arnold Schwarzenegger, il governo ha concesso l'area al Centro Wiesenthal e deciso che lì, dove ci sono le tombe, sorgerà un Museo della Tolleranza, «un' opera che unisca le grandi confessioni religiose e racconti la storia d'Israele e dei suoi vicini Arabi». Due anni fa, le ruspe furono bloccate perché tre grandi famiglie palestinesi, che hanno lì sepolti i loro antenati, sono andate per avvocati. Mercoledì, la Corte Suprema ha stabilito che i lavori possono continuare. Giovedì, un allarme bomba (finto) ha paralizzato per un' ora il centro città. Venerdì, dalle moschee è stato lanciato un appello ai Paesi arabi: «Fate pressione internazionale, questo progetto non deve passare ». La tolleranza è solo un progetto, in effetti. Come il museo. Aspettando di sistemare i vivi, si litiga sui morti. «Quella dei giudici è una decisione grave e ingiusta», protesta un deputato arabo comunista, Mohammed Barakeh: «Chiederemo a tutti i discendenti di mettersi davanti alle lapidi dei loro cari». A Mamilla c'è un'antica cisterna per la raccolta dell'acqua piovana e, accanto, tombe di tre-quattrocento anni: molte famiglie palestinesi ancora conservano il ricordo di chi vi è sepolto. Parte del cimitero fu già coperto nel 1960, quando sull'area venne costruito un parcheggio. Dopo la guerra del 1967, tutto passò all'ente israeliano che si occupa delle proprietà abbandonate. Abbandonato anche dalla memoria. Quando s'è deciso di scavare sotto il posteggio, e sono spuntati ossa e teschi, la sovrintendenza ha bloccato tutto e alle proteste dei musulmani si sono unite quelle degli ebrei ultraortodossi: «Noi che siamo stati oltraggiati dalla dissacrazione dei nostri siti santi — ha contestato un deputato — non possiamo permettere questo scempio». I progettisti hanno due mesi per decidere: riesumare e trasferire altrove le tombe, oppure inventarsi una variante (pavimenti di vetro) che preservi il luogo. Nessuna soluzione pacificherebbe gli arabi di Gerusalemme, però: il «Centro per la dignità umana», 21.600 metri quadri di pietra, cristallo e titanio blu, centro congressi e teatro e mostre permanenti, 250 milioni di dollari già investiti, sarebbe un museo simile a quello che già c'è a Los Angeles («dedicato a ebrei, musulmani e cristiani senza distinzioni», descrive Hier), ma in realtà è visto come un tentativo di «rendere più ebraica e meno islamica la città» (il muftì Hussein). «Non ci sono motivazioni religiose in questa protesta, solo politiche — dice Hier —: questa città ha tremila anni, tutte le religioni vogliono rispettarne il passato, ma devono anche permetterle un futuro». Qualche tempo fa, nella zona del cimitero è venuto a dare un'occhiata anche chi dovrebbe costruire il Museo della Tolleranza: Frank Gehry, il geniale architetto del Guggenheim di Bilbao. Lo chiamano il Creatore dei Sogni. Per realizzare questo, gli servirà una buona interpretazione.
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