Da L'UNIONE INFORMA, newsletter dell'Unione della Comunità ebraica italiana, riportiamo un brano del commento di Ugo Volli ai giornali del 28 ottobre 2008:
Sui giornali troviamo anche l’eco del dibattito su Pio XII con una lettera al Corriere di Sebastiano Carroni Orsenigo, nipote del nunzio vaticano in Germania ai tempi del nazismo, che naturalmente rivendica la bontà della scelta del silenzio delle autorità vaticane, ma anche con la recensione di Marco Ansaldo su Repubblica di un libro
dello storico tedesco Gerald Steinacher (Nazis auf der Flucht, Studien Verlag) che documenta l’estensione e l’efficacia della rete vaticana di protezione dei criminali nazisti nel dopoguerra: non solo SS qualunque, ma gente come Menegele, Eichman,
Priebke. Tutti costoro sono stati sottratti alla giustizia da monasteri, parroci, diplomatici vaticani. E allora se è merito della Chiesa nel suo complesso e del papa di allora il fatto che molti religiosi e istituzioni ecclesiastiche salvarono ebrei (in Italia, in Francia, non dappertutto), è colpa della Chiesa di allora e del suo papa il comportamento altrettanto
generalizzato di soccorso ai nazisti nel dopoguerra. In realtà la questione non riguarda la persona di Pio XII, ma l’istituzione su cui egli regnava e questo spiega la durezza della polemica. Su questo, per averne ancora un esempio, si veda il violento corsivo di Socci su Libero.
Il mondo cattolico non si limita a decidere di elevare agli altari un suo Papa (chi non ci finisce prima o poi), ma esige per l’occasione una liberatoria ebraica sul suo comportamento durante la Shoà. Non vuole che noi non interferiamo nei suoi processi interni, ma chiede un gesto attivo di adesione. Non a caso la figura di un rabbino convertito al cattolicesimo nel dopoguerra come Israel/Eugenio Zolli viene esaltato in questo momento in un convegno a Padova e ricordato con rilievo sul giornale dei vescovi italiani, L’Avvenire.
In ambito culturale, da leggere in questo senso è anche la recensione di Andrea Galli sull’Avvenire del libro di Victor Farìas che ricostruisce la traccia nera dell’Eredità di Heidegger nel neofascismo, nel neonazismo e nel fondamentalismo islamico (Casa editrice Medusa). Farias è colui che una ventina d’anni fa ha riaperto la questione del nazismo di Heidegger. Galli lo prende un po’ in giro per la sua “ossessione” - ed è invece molto interssante sapere che ci sono connessioni fra Chavez, gli intellettuali iraniani che influenzano la dirigenza attuale e altri nemici di Israele col “Füher della filosofia”, un collegamento che nella cultura italiana esiste e ha peso nella persona di Gianni Vattimo. Ma soprattutto contrappone la buona fama filosofica di Heidegger
alla “leggenda nera” di Pio XII, che non c’entra nulla col libro, ma è occasione di portare la propria pietruzza alla polemica: “Uno aiuta gli ebrei a sfuggire alla persecuzione nazista e diventa il “Papa di Hitler”. Un altro si propone come guida filosofico-spirituale del Terzo Reich, fa sfoggio di un radicale antisemitismo, arrivando alle delazione nei confronti di colleghi ebrei, che verranno per questo allontanati dall'università, e a teorizzare l'«annientamento totale» del «nemico asiatico», cioè ebraico, e diventa il più grande filosofo del XX secolo.”
Da La REPUBBLICA, l'articolo di Marco Ansaldo:
Adolf Eichmann, l´architetto dell´Olocausto, si faceva chiamare «Riccardo Klement, nato a Bolzano, professione tecnico». Josef Mengele, l´ "Angelo della morte", il medico autore degli esperimenti sui detenuti ebrei, aveva assunto invece il nome di «Helmut Gregor, cittadino sudtirolese, professione meccanico». E anche Erich Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine, si era dotato di documenti e identità nuove: «Otto Pape, lettone, direttore d´albergo», con doppia residenza, Roma e Bolzano.
Dopo la disfatta del Terzo Reich, i massimi dirigenti delle SS, e con loro migliaia di criminali nazisti, vennero salvati e ospitati in Sud Tirolo, regione germanofona, a quell´epoca dotata di un confine poroso e considerata quindi un nascondiglio perfetto, priva di spiccare il balzo con documenti nuovi verso il Sud America attraverso il porto di Genova. A procurare gli incartamenti falsi, e ad assicurare per settimane, talvolta per lunghi mesi, un rifugio sicuro, furono sovente sacerdoti compiacenti con il regime di Hitler. I prelati, dietro lo scudo della Pontificia commissione assistenza profughi creata da Pio XII nel 1944, prima ribattezzarono in chiesa i nazisti sotto nuovi nomi. Poi fecero assegnare loro documenti della Croce rossa, capaci di garantire l´espatrio dall´Italia, soprattutto verso l´Argentina, ma anche in Egitto o in Siria.
Le rivelazioni provengono da diverse carte ritrovate negli archivi di Bolzano, Merano e Bressanone, oltre che dai registri di molte parrocchie dell´Alto Adige e in alcuni fondi negli Stati Uniti. I documenti inediti sono stati portati alla luce da uno storico di Innsbruck, Gerald Steinacher, che per cinque anni ha lavorato sulle fonti dirette in Italia, Germania e America, pubblicando per l´editore StudienVerlag un corposo libro uscito in Svizzera e in Austria, intitolato "Nazis auf der Flucht" (Nazisti in fuga).
Nel dopoguerra, diversi dirigenti nazisti riuscirono a farla franca portando in salvo le proprie famiglie. E, assieme alla grande e genuina massa di profughi, scapparono anche una serie di personaggi legati al mondo del contrabbando, della prostituzione e dello spionaggio. Per costoro l´importante era assicurarsi una nuova esistenza. E il Sud Tirolo si rivelò in questo caso un territorio ideale.
Adolf Eichmann aveva vissuto in Germania, sotto falso nome, fino alla primavera del 1950. Era riuscito a risparmiare abbastanza denaro per la progettata fuga in Sud America. Nella cerchia delle SS era nota la sua possibile via di fuga attraverso l´Italia, e Genova costituiva per tutti, insieme con Trieste, una méta nevralgica prima del salto oltre Europa. Vestito in abiti di montagna, in testa un cappello tirolese col pennacchio, Eichmann passò il Brennero con l´aiuto di traghettatori di frontiera, che lo consegnarono una volta raggiunto il confine al parroco di Sterzing (Vipiteno) il quale lo confortò con del vino tirolese. Il suo prossimo rifugio fu un chiostro dei francescani nella provincia di Bolzano. A Merano ottenne infine documenti falsi, e a Genova, come mostrano i documenti pubblicati in questa pagina, gli venne consegnato in data 1 giugno 1950 il «permesso di libero sbarco».
Josef Mengele, dopo Auschwitz, lavorò in Baviera in un´azienda di materali agricoli. La domenica di Pasqua del 1949 scattò il suo piano per arrivare in Argentina, dove imperava Peròn e ben disposta verso la Germania. In Italia, Mengele giunse con l´aiuto di due passatori di Merano. Sotto falso nome, si fermò per quattro settimane all´hotel «Goldenes Kreuz» (Croce d´oro) di Sterzing, fino a quando non fu dotato di un´altra identità, come rivela il certificato N. 100501 del Comitato internazionale della Croce Rossa: «Helmut Gregor, nato a Termeno (Alto Adige), nazionalità italiana, professione meccanico, celibe, indirizzo via Vincenzo Ricci 3 Genova». Incredibile appare oggi il motivo della sua richiesta di viaggio: «Il richiedente è stato prigioniero di guerra - internato - deportato».
Erich Priebke, dopo la sconfitta dell´Asse già risultava residente con la famiglia a Sterzing nel 1943. Fu catturato a Bolzano dalle truppe americane nel maggio del 1945, portato ad Afragola e quindi a Rimini. Da lì fuggì, portandosi a Roma dove ebbe contatti con il superiore generale dei padri salvatoriani, Pancratius Pfeiffer, e da Bologna in treno riuscì a tornare a Sterzing sotto la nuova identità di Otto Pape, ottenuta con il rito del battesimo.
In molti casi infatti l´aiuto del Vaticano, al cui interno alcuni consideravano i nazisti come i salvatori dal bolscevismo, fu determinante. Dopo il "ribattesimo", pratica formalmente considerata illegale dalla Chiesa, e l´assegnazione di un nuovo nome, alle ex SS venivano consegnati documenti di espatrio da parte della Croce rossa, che non sempre operava controlli stretti e infine accettava gli incartamenti dotati di identità, dati di nascita, nazionalità e professione. Così accadde per Klaus Barbie, il capo della Gestapo di Lione, divenuto Klaus Altmann, cittadino rumeno. O per Franz Stangl, il boia di Treblinka, fatto «emigrare» in Argentina da «monsignor Luigi», il potente cardinale Alois Hudal.
Eichmann fu catturato infine dal Mossad in Argentina e impiccato nel 1962 dopo il processo in Israele. Mengele morì in Brasile nel 1979 per un ictus mentre nuotava in piscina. Priebke, oggi 94enne, dopo la cattura in Argentina e la condanna in Italia all´ergastolo, vive a Roma in regime di semilibertà. Molti furono i criminali di guerra ospitati nei conventi di Bressanone e Merano. Così come diversi capi ustascia croati trovarono rifugio a Roma, nel chiostro di S. Girolamo a via Tomacelli.
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