Lo chiamano il "diario delle stelle" lo ha scritto Ilan Ramon, l'astronauta israeliano morto sullo shuttle Columbia nel 2003
Testata: Il Foglio Data: 28 ottobre 2008 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Il miracolo del diario di Ramon, l’astronauta che inseguiva lo shabbath»
Da Il FOGLIO del 28 ottobre 2008:
Lo chiamano il “diario delle stelle”. Quando l’esploratore di una tribù indiana del Texas li ha trovati erano soltanto un impasto di carta, piovuto da sessanta chilometri di altitudine e dopo aver superato due mesi di pioggia e sole. Alla Nasa nessuno aveva capito che cosa fossero. Poi hanno pensato di far vedere le pagine alla vedova di Ilan Ramon. Un’equipe israeliana ha ora reso leggibili gli “appunti dal cielo” di Ilan Ramon, uno degli astronauti dello shuttle Columbia morto il primo febbraio 2003. I brandelli di carta sono per miracolo sopravvissuti al mostruoso calore dell’ultimo tuffo della navetta spaziale nell’atmosfera. La scrittura ebraica di Ramon ha resistito a temperature di mille gradi centigradi. Le diciotto pagine, ricavate mettendo assieme frammenti piccoli come un’unghia, utilizzando un software a infrarossi per scovare le parole, sono esposte al museo di Gerusalemme per il sessantesimo anniversario dello stato ebraico. Accanto al diario di Adolf Eichmann e all’ultima melodia della pace cantata da Yitzhak Rabin prima che fosse ucciso. “E’ un miracolo che sia sopravvissuto” dice il curatore del diario, Yigal Zalmona. Le pagine di “Ilan shelanu”, il “nostro Ilan”, come lo chiamano gli israeliani, raccontano gli ultimi giorni di un uomo che portò con sé dei simboli legati alla storia del proprio popolo, come un pugno di terra d’Israele e un bicchierino da shabbath. Figlio di sopravvissuti ai campi di concentramento, Ramon aveva anche un disegno della terra vista dalla luna fatto da un bambino, Peter Ginz, ucciso ad Auschwitz. Fra le pagine recuperate è leggibile quella sui dubbi religiosi di Ramon. Come rispettare il riposo dello shabbath se nello spazio il sole sorge e tramonta sedici volte al giorno? “No. No. Non ci credevo. Fino a che i motori non si sono accesi, ho avuto dubbi che non saremmo partiti”, ha scritto Ramon. Come osservare il kiddush, il brindisi del sabato, in assenza di gravità? Ramon decise di recitare le preghiere tenendo in mano una bottiglia di vino chiusa. Poi, con una cannuccia, ne bevve un sorso. Scrisse Ramon: “Assaf, mio primogenito. Ogni notte guarda al cielo e pensa a me che gli giro attorno. Un poco lontano ma vicino col cuore. Ti amo. Mi manchi. Prendi cura di te stesso di tua madre e dei tuoi fratelli”. Il colonnello diceva che il suo volo “ha un valore molto simbolico per Israele, soprattutto per i sopravvissuti all’Olocausto”. Anche la sua Torah era sfuggita alla distruzione. Gliela aveva affidata lo scienziato Joachim Joseph, che ricevette in dono il volume da un rabbino morto a Bergen- Belsen cui aveva promesso che avrebbe raccontato la sua storia se fosse scampato all’Olocausto. Infine, Ramon aveva con sè una moneta coniata a Gerusalemme poco prima che i romani distruggessero il Tempio e con impressa la scritta: “Salvezza per il popolo d’Israele”. Sono passati sessanta secondi dal momento in cui l’equipaggio si è accorto del guasto e la disintegrazione del Columbia. “Ogni secondo è come venti anni”, ha detto il padre di Ramon, Eliezer Wolferman. “Non posso spiegarlo, ma lo spazio è inferno, inferno”. Dopo quel volo Ramon “è diventato per sempre parte dell’universo”. Non ci è arrivata la porzione di diario del suo “dvar Torah”, il messaggio dalla Torah. Si sa soltanto che parla della B’shalah, la liberazione dalla schiavitù in Egitto. Resterà per sempre indecifrabile. Come nella leggenda che narra del mistico ebreo Baal Shem-Tov: incontrò il Messia e gli chiese quando sarebbe disceso sulla Terra; la risposta fu: “Quando il vostro messaggio arriverà in cielo”.
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