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Il Foglio - L'Opinione - Il Riformista - Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
28.10.2008 Israele verso le elezioni anticipate
rassegna di analisi

Testata:Il Foglio - L'Opinione - Il Riformista - Il Sole 24 Ore
Autore: la redazione - Michael Sfaradi - Anna Momigliano - Ugo Tramballi
Titolo: «In Israele solo Olmert può agire libero dai calcoli elettorali - La Livni non aveva altra scelta - Israele va alle urne,Kadima rimonta:Tzipi può farcela! - La sfida di Tzipi battuta dal sistema»

I quotidiani del 28 ottobre 2008 pubblicano analisi sulla situazione politica interna israeliana dopo la rinuncia di Tzipi Livni a formare un governo e la determinazione della data delle elezioni anticipate.

Ecco l'analisi pubblicata dal FOGLIO:


Gerusalemme. Come se nulla fosse accaduto, ieri pomeriggio Ehud Olmert si è presentato alla Knesset per l’apertura della sessione parlamentare d’autunno, ha preso la parola e ha spiegato che – sotto la sua leasdership – Israele supererà le possibili difficoltà legate alla crisi finanziaria mondiale e molte altre. Prima di parlare, il primo ministro dimissionario ha ascoltato il breve intervento inaugurale del presidente Shimon Peres che, di fatto, ha annunciato lo scioglimento dell’Assemblea e il ritorno alle urne per il prossimo 17 febbraio. Formalmente la decisione non spetta a lui, ma alla Knesset, che dovrà ratificarla con un voto che, quello sì, sarà poco più d’una formalità. A parole, ormai, le elezioni le vogliono tutti. Le vuole la leader di Kadima, Tzipi Livni, che domenica ha rimesso il mandato esplorativo conferitole da Peres il mese scorso per non essere riuscita – dopo il rifiuto dei partiti ultraortodossi Shas e United Torah Judaism e dei pensionati di Gil – a formare una maggioranza parlamentare in grado di sostenere il suo primo gabinetto. Le vuole Bibi Netanyahu, numero uno del Likud, che da mesi è indicato nei sondaggi come il probabile prossimo capo del governo di Gerusalemme. Le vogliono i partiti minori, come Shas e United Torah Judaism, che se non le avessero desiderate avrebbero ceduto al corteggiamento degli emissari di Livni. Non le vuole, perché i sondaggi dicono che Avoda rischia di scomparire, il leader laburista Ehud Barak, il quale però deve fingere di volerle proprio per non dare credito a quel che raccontano i sondaggi. Forse l’unico che non le vorrebbe davvero, e che può permettersi di dirlo, è il capo dei socialdemocratici di Meretz, Haim Oron, il quale stava trattando il suo ingresso nell’ipotetico governo Livni-Barak e alla fine sarebbe volentieri entrato a far parte di un nuovo esecutivo di centrosinistra. Tutto sommato, forse è lui l’unico vero scontento. Non lo è certamente Olmert, che fino alla prossima primavera resterà alla guida del governo israeliano e lo farà – immune per legge dalle inchieste giudiziarie che lo vedono coinvolto – con la libertà di uno statista che ha l’occasione di fare quel che crede senza dover nulla concedere al calcolo elettorale. Da domenica, quando Livni è andata da Peres per annunciargli il fallimento di un mese di negoziati, a Gerusalemme più d’uno ha ripreso in mano la copia del 30 settembre scorso di Yedioth Ahronoth e si è riletto l’intervista “di fine mandato” che il premier aveva concesso al quotidiano e che, adesso, potrebbe diventare la sua spregiudicata agenda di governo. Olmert era stato chiaro, persino impolitico, nel dire che per raggiungere la pace con i palestinesi Israele avrebbe dovuto “cedere quasi tutti i territori occupati, se non tutti” e che “ogni porzione della Cisgiordania che volessimo tenere per noi dovrebbe essere ‘risarcita’ con un pezzo del nostro paese in una proporzione molto simile all’uno a uno”. Un programma ancor più azzardato del ritiro unilaterale da Gaza con il quale Ariel Sharon aveva conquistato tre anni fa la fiducia degli israeliani, e forse l’unico proposito sharoniano di Olmert premier. Per conoscere le sue reali intenzioni non bisognerà neppure aspettare troppo: il nuovo summit in programma a Sharm el Sheikh il prossimo mese potrebbe essere l’occasione per riaprire il dialogo con i palestinesi su basi nuovissime. Un cambio della guardia alla Casa Bianca, in questo senso, potrebbe aiutare la svolta. “Se il 4 novembre vincesse Obama – spiega al Foglio Vittorio Dan Segre – in Israele si andrebbe a negoziati a tutto campo. E per Israele è meglio Obama di John McCain. Perché le guerre le fanno sempre i democratici, i repubblicani le finiscono. In Israele c’è timore per Mc- Cain, perché lui è lo stereotipo dell’immagine perfida dell’America, mentre gli alleati, l’occidente, tengono a un’America nuova, non trinariciuta come quella di Bush. Israele ha bisogno di un alleato forte, non di uno che lo trascini nel fango” Chi rischia di trovarsi spiazzato, al vertice in Egitto, è proprio Tzipi Livni. Se Olmert può infatti permettersi di avanzare proposte anche impopolari senza timori, il ministro degli Esteri e leader di Kadima si trova infatti nella situazione opposta. In piena campagna elettorale, difficilmente l’ex agente del Mossad potrà permettersi mosse avventate per evitare di perdere voti a destra (se passasse la probabile linea Olmert) o a sinistra (se invece fosse lei a dimostrarsi troppo rigida). In ogni caso, Kadima rischierà di apparire ambivalente proprio sotto elezioni e di erodere nuovamente il minimo vantaggio che ora i sondaggi danno a Livni su Netanyahu (dai 29 ai 31 seggi per i centristi contro i 26-29 della destra). Chi potrebbe approfittare della situazione è proprio il Likud. Ne è convinto anche Segre, che al Foglio spiega che “Netanyahu è il favorito, a questo punto, perché per gli altri c’è soltanto una sensazione di nausea. Kadima resta un bell’albero, ma senza radici. Olmert si candiderà ancora se non sarà accusato e portato davanti a un tribunale, perché finora nessuno lo ha condannato. Ma Netanyahu è di destra senza tradimenti, ha l’esperienza militare, è un ottimo ministro delle Finanze e possiede una capacità di persuasione anglosassone straordinaria. E poi in questi anni nel Likud ha fatto una grande pulizia dalla corruzione”. Gli analisti prevedono comunque una forte polarizzazione dell’elettorato e un testa a testa tra i due partiti principali. A farne le spese dovrebbe essere il Partito laburista, che rischia di racimolare una decina di parlamentari in tutto. Persino il seggio del leader Barak potrebbe essere a rischio, tanto che ieri il ministro Benyamin Ben-Eliezer ha auspicato una fusione tra Kadima e Avoda per dar vita a una nuova formazione riformatrice, ma la proposta ha raccolto scarsi consensi in entrambi i partiti che – semmai – tenderanno a contendersi gli stessi elettori fino al voto di febbraio. E sebbene Tzipi Livni sappia bene che “la gente è stanca della politica politicante”, come ha detto ieri, è proprio di quella che dovrà occuparsi nei prossimi mesi. Al destino di Israele, almeno fino alla prossima primavera, penserà il sempre più immortale Ehud Olmert.

Da L'OPINIONE:

Che Tzipi Livni, ministro degli Esteri e Presidente incaricato alla formazione del nuovo governo israeliano, fosse la persona giusta nel posto sbagliato lo avevamo sempre pensato. La decisione di non rovinare le finanze statali pur di creare un esecutivo a tutti i costi è stata sicuramente una mossa coraggiosa degna di un grande statista. Il nuovo segretario di Kadima, al contrario di quello che ha sempre fatto Olmert, ha chiuso i cordoni dei finanziamenti e sbattuto la porta in faccia a chi l’aspettava al varco. Il primo della lista è il partito religioso Shas, che, al contrario di quello che i media internazionali hanno riportato, non si è scontrato con il presidente incaricato sulla pretesa di un impegno ufficiale su Gerusalemme capitale, bensì sui finanziamenti statali, fuori bilancio, a favore delle sue organizzazioni sociali come scuole rabbiniche e centri religiosi. Il Partito dei Pensionati gli faceva eco pretendendo un extra-gettito nelle casse del partito e un impegno formale di aumento generalizzato delle pensioni. Alla fine, dopo lunghissimi giorni di estenuanti trattative con tutti i partiti presenti in parlamento, anche la Livni si è resa conto che non c’erano più i presupposti per portare a termine la legislatura, e senza perdere ulteriore tempo ha rimesso il mandato nelle mani del Presidente Shimon Peres. Alla fine i nodi sono venuti al pettine ed anche se le elezioni anticipate non sono mai gradite in nessuna democrazia, è sempre meglio rimettersi al giudizio del popolo che andare incontro a fragili e prezzolate coalizioni.

Il segretario del Likud Bibi Netanyahu, rispondendo ad una domanda dei giornalisti, ha detto una verità incontestabile: con le elezioni alle spalle si prendono le decisioni senza avere davanti agli occhi lo spauracchio dei sondaggi preelettorali. Ora dobbiamo prepararci ad una campagna elettorale lunga ed estenuante, alla fine della quale, crediamo, ci saranno nuovi assetti all’interno dell’arco parlamentare. Assetti che permetteranno, in un momento storico di crisi finanziaria globale come quello che l’umanità ha davanti a sé, la creazione di un governo forte ed in grado di affrontare l’incerto futuro. Oded Granot, commentatore politico del Canale 2 della televisione israeliana, commentando i sondaggi, diceva che la Livni non portando avanti la legislatura ha regalato al Likud fra il 30 ed il 35% dei mandati di Kadima. Noi crediamo invece che alla fine, il coraggio con il quale la Livni ha agito nell’interesse della nazione ha dato un segnale all’elettorato della svolta all’interno del partito Kadima rispetto a quella che Olmert aveva disegnato a suo uso e consumo. Tutto ciò darà sicuramente i suoi frutti nonostante un’eredità pesante come quella che lascia il premier uscente.

Da Il RIFORMISTA, un'intervista di Anna Momigliano allo storico israeliano Tom Segev:

Sono sempre più vicine, le elezioni in Israele. Il Presidente Shimon Peres ha accolto ieri formalmente la richiesta di andare alle urne presentata domenica dal premier in pectore Tzipi Livni. Preso atto dalla impossibilità di formare una nuova coalizione di governo, Peres alla Knesset ha dato il via al conto alla rovescia per lo scioglimento delle camere. Non più di tre settimane, entro le quali dovrà essere fissata la data delle elezioni. Tempo utile anche al sistema politico per«fare un un'analisi approfondita delle proprie lacune, ...non è mai troppo tardi per rimediare agli errori» ammonisce Peres, più che mai trascurato padre della patria. Netanyahu ha presentato subito una bozza di piattaforma elettorale, imperniata su «Gerusalemme non si tocca» e dal partito religioso Shas è giunta nei confronti della Livni l'accusa di razzismo.
Quando Shas aveva fatto sapere, la scorsa settimana, di non volere entrare a far parte di una coalizione di governo insieme a Kadima e ai laburisti, Livni aveva risposto per le rime: «Io non ho paura. Se elezioni volete, elezioni saranno». Una mossa giudicata avventata da molti, visto che i sondaggi davano per super-favorito il falco Benyamin Netanyahu, insieme al suo partito Likud. Ma la fortuna, si sa, aiuta gli audaci.
E già ieri una rilevazione realizzata dal quotidiano Yediot Ahronot dava Kadima in testa: «se si votasse oggi - riporta il sito della testata - il partito centrista otterrebbe 29 seggi (su un totale di 120), i conservatori ne otterrebbero 26 (comunque molti di più degli attuali dodici), mentre il Labour sarebbe in picchiata, con appena undici seggi (ora ne hanno 19)».
«Tzipi Livni è una donna eccezionale, può farcela». Ne è convinto lo storico israeliano Tom Segev, editorialista di Haaretz e autore del bestseller Il Settimo Milione. Moderatamente ottimista, Segev spiega che la crisi delle ideologie gioca tutta a favore di Kadima.
Fino a tre giorni fa tutti davano Kadima per spacciata in caso di elezioni anticipate. Ora lei pensa che davvero Livni possa farcela?
«È presto per poter dire con certezza come andranno le elezioni. In tre mesi le cose possono cambiare molto. Specie in Israele, dove gli eventi possono fare cambiare idea al pubblico in modo molto veloce. Però Tzipi Livni è una donna davvero eccezionale, e io credo che abbia buone possibilità di essere eletta. Ma anche Netanyahu ha delle possibilità».
Di un candidato di sinistra non si parla neppure…
«Per forza, la sinistra è debolissima. Un po' è colpa di Ehud Barak, un leader molto impopolare. È antipatico, alla gente non piace. Ma poi c'è un discorso di crisi più profonda del Labour e del fronte progressista in generale».
Appunto. Come spiega che la sinistra israeliana sia così in crisi?
«Tanto per cominciare votare per il Labour ha senso solo se si crede nel processo di pace. E gli israeliani non credono più nella pace. Non vorrei essere frainteso: la stragrande maggioranza degli israeliani vuole la pace. Solo che è convinta che adesso fare la pace coi palestinesi non sia possibile e dunque quando andrà alle urne non darà una priorità al processo di pace. Poi c'è dell'altro».
Che cosa?
«I partiti di sinistra, e specie il Labour, restano legati alle ideologie. E oggi gli israeliani non credono più alle ideologie. In fondo questa è la forza di Kadima: è un partito centrista, che non si rifà a un'ideologia precisa. In un certo senso è un partito "non politico". E anche se sembra una contraddizione, questa è la sua forza».
Però si va alle elezioni perché un rabbino ha detto ai suoi seguaci che la Livni avrebbe diviso Gerusalemme.
«È vero. È a causa del rabbino Ovadia Yosef, leader spirituale del partito Shas, che ci troviamo in questa situazione. Ma Gerusalemme è solo uno dei motivi. Mi sembra evidente che lo Shas volesse più soldi. Eppoi non dimentichiamo che Livni è una donna: credo che questo possa avere creato dei problemi a un rabbino conservatore come Ovadia. Anche se probabilmente, se Livni avesse tirato fuori gli "shekel" che chiedeva, avrebbe chiuso un occhio volentieri».
Pensa che il fatto di avere un leader donna penalizzi Kadima?
«Per carità! Alla stragrande maggioranza degli israeliani non fa alcuna differenza. Abbiamo un presidente del Parlamento donna, un giudice capo della corte suprema donna. E più di 30 anni fa abbiamo avuto Golda Meir».
Però in molti sostengono che Israele ha un problema di fanatismo religioso…
«Un problema c'è, eccome. Specialmente tra i coloni, il fanatismo religioso sta diventando un problema serio: basti pensare a quello che è successo al mio collega Zeev Sternhell (lo storico aggredito lo scorso 8 ottobre da un gruppo di setter). Non posso dire quanta gente sia a rischio, come Sternehll, ma resta il fatto che è un fenomeno preoccupante. Detto questo si tratta pur sempre di una minoranza di persone, che si ritiene estranea alla società israeliana. Non so che influenza possano avere sulle elezioni».

Su Il SOLE 24 ORE Ugo Tramballi sostiene che Tzipi Livni sarà emarginata e sconfitta dal "sistema" politico israeliano, rappresentato da

Netanyahu e Barak, i partiti religiosi che sono inraltà sette, l'apparato della sicurezza che vede  gli arabi come un pericolo e mai come un'opportunità, i deputati che calcolano ogni cosa in termini di seggio parlamentare. Le trbù moderne di Israele.

In realtà, Israele è una democrazia, nella quale non si viene vinti o sconfitti dalle "trbù", ma dagli elettori. E nella quale gli apparati di sicurezza proteggono i cittadini dalle minacce militari e terroristiche, mentre le decisioni politiche vengono prese dai rappresentanti del popolo, eletti.

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