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La Repubblica - La Stampa - Il Sole 24 Ore - L'Unità - Liberazione - Il Manifesto Rassegna Stampa
28.10.2008 Siria 2: questi servizi li giudichino i lettori
qualcuno crede alla versione siriana

Testata:La Repubblica - La Stampa - Il Sole 24 Ore - L'Unità - Liberazione - Il Manifesto
Autore: Pietro Del Re - Lorenzo Trombetta - Roberta Miraglia - Umberto De Giovannangeli - Sara Volandri - Michele Giorgio
Titolo: «Damasco attacca Washington Terrorismo contro di noi-Gli Usa ammettono: raid in Siria-Damasco: il raid Usa atto di terrorismo-L'America conferma il raid. Ira della Siria - Damasco: Il raid Usa è un crimine di guerra-La Siria NEL MIRINO»

Molti quotidiani del 28 ottobre 2008 pubblicano articoli sull'azione antiterrorisrica americana in Siria che privilegiano la versione di Damasco, secondo la quale gli Stati Uniti ucciderebbero intenzionalmente civili.
Formalmente, la Siria potrebbe avere ragione: i terroristi di Al Qaeda non indossano divise, sono
civili.
Di un genere particolare, però. In una parola, sono terroristi.

Ecco il testo della cronaca di Pietro Del Re, da La REPUBBLICA
 Un atto criminale. Peggio, terroristico. Roba da cowboy. Così, il ministro degli Esteri siriano, Walid al Muallem, ha definito il raid Usa in territorio siriano che domenica ha provocato la morte di otto persone. «Ci devono spiegare perché hanno compiuto questa aggressione», ha detto Muallem in un incontro a Londra con i giornalisti al termine di un colloquio con il suo omologo britannico, David Miliband. Ripreso in diretta da varie tv satellitari arabe, il capo della diplomazia di Damasco ha dichiarato che non si è trattato di un errore ma di «un´azione determinata, poiché l´attacco è avvenuto in pieno giorno».
Muallem ha anche chiesto al governo di Bagdad (gli elicotteri implicati nel blitz sono decollati dall´Iraq) e all´amministrazione americana di indagare su quanto successo e di riferire poi a Damasco perché «secondo il diritto internazionale uccidere civili equivale a un´aggressione terroristica».
Domenica scorsa erano da poco passate le cinque del pomeriggio quando quattro elicotteri da combattimento americani sono penetrati in Siria per una decina di chilometri e hanno aperto il fuoco uccidendo, a sentire i sopravvissuti intervistati da Al Jazeera, otto civili, tra i quali un pescatore, quattro operai e il guardiano di un cantiere.
Diversa, ovviamente, la versione di Washington. Per i generali del Pentagono lo sconfinamento in Siria è da considerarsi una missione politicamente giustificata e militarmente riuscita. E anche se in sede ufficiale sia il portavoce della Casa Bianca, Dana Perino, sia quello del Dipartimento di Stato, Sean McCormack, si sono limitati a un "no comment" di circostanza, in forma ufficiosa i militari hanno ammesso che erano effettivamente americani gli elicotteri entrati in territorio siriano. Non solo: per loro quel raid è stato "una vittoria contro il terrorismo".
Citando una fonte anonima interna all´amministrazione, la Cnn ha infatti reso noto che «l´operazione è stata un successo perché - ha detto la fonte - riteniamo sia stato ucciso uno dei più importanti terroristi della regione». Il riferimento è a Abu Ghaduya, considerato appunto dagli Usa trafficante attivo al confine tra Iraq e Siria, in diretto contatto con al Qaeda, «uno dei principali fiancheggiatori dei miliziani stranieri nella regione».

 Un atto criminale. Peggio, terroristico. Roba da cowboy. Così, il ministro degli Esteri siriano, Walid al Muallem, ha definito il raid Usa in territorio siriano che domenica ha provocato la morte di otto persone. «Ci devono spiegare perché hanno compiuto questa aggressione», ha detto Muallem in un incontro a Londra con i giornalisti al termine di un colloquio con il suo omologo britannico, David Miliband. Ripreso in diretta da varie tv satellitari arabe, il capo della diplomazia di Damasco ha dichiarato che non si è trattato di un errore ma di «un´azione determinata, poiché l´attacco è avvenuto in pieno giorno».Muallem ha anche chiesto al governo di Bagdad (gli elicotteri implicati nel blitz sono decollati dall´Iraq) e all´amministrazione americana di indagare su quanto successo e di riferire poi a Damasco perché «secondo il diritto internazionale uccidere civili equivale a un´aggressione terroristica». Domenica scorsa erano da poco passate le cinque del pomeriggio quando quattro elicotteri da combattimento americani sono penetrati in Siria per una decina di chilometri e hanno aperto il fuoco uccidendo, a sentire i sopravvissuti intervistati da Al Jazeera, otto civili, tra i quali un pescatore, quattro operai e il guardiano di un cantiere. Diversa, ovviamente, la versione di Washington. Per i generali del Pentagono lo sconfinamento in Siria è da considerarsi una missione politicamente giustificata e militarmente riuscita. E anche se in sede ufficiale sia il portavoce della Casa Bianca, Dana Perino, sia quello del Dipartimento di Stato, Sean McCormack, si sono limitati a un "no comment" di circostanza, in forma ufficiosa i militari hanno ammesso che erano effettivamente americani gli elicotteri entrati in territorio siriano. Non solo: per loro quel raid è stato "una vittoria contro il terrorismo".Citando una fonte anonima interna all´amministrazione, la Cnn ha infatti reso noto che «l´operazione è stata un successo perché - ha detto la fonte - riteniamo sia stato ucciso uno dei più importanti terroristi della regione». Il riferimento è a Abu Ghaduya, considerato appunto dagli Usa trafficante attivo al confine tra Iraq e Siria, in diretto contatto con al Qaeda, «uno dei principali fiancheggiatori dei miliziani stranieri nella regione».

Sbilanciato anche l'articolo di Lorenzo Trombetta pubblicato da La STAMPA 


Per Washington è un «successo» nella cosiddetta guerra al terrorismo, per Damasco si tratta di «un’aggressione terroristica»: due versioni dello stesso attacco aereo condotto domenica pomeriggio da elicotteri americani in pieno territorio siriano, poco lontano dal confine orientale con l’Iraq.
Drammatico il bilancio definitivo secondo Damasco: otto morti, tra cui quattro bambini e una donna, appartenenti a una stessa famiglia. Il Pentagono non ha fornito spiegazioni ufficiali ma «fonti militari» non meglio identificate hanno ammesso, circa 24 ore dopo l’accaduto, la responsabilità del raid, definendolo un «successo» contro il terrorismo di Al Qaeda. Washington non ha rivelato i dettagli dell’operazione, ma ha comunque smentito, come invece sostenuto dalla Siria, che nel blitz siano state usate truppe di terra trasportate dagli elicotteri.
Diversa anche la definizione dell’obiettivo colpito: per gli Stati Uniti è stata distrutta una base di Al Qaeda usata come punto di passaggio di combattenti arabi diretti in Iraq. Ed è stato ucciso, a bordo della sua auto, il responsabile locale della rete terroristica, noto come Abu Ghaduyya, incaricato di far passare le armi oltre confine. «Quando si è di fronte a un’occasione importante bisogna coglierla - hanno aggiunto le fonti Usa - in particolare quando si tratta di combattere contro stranieri che entrano in Iraq e minacciano le nostre forze armate».
Secondo l’agenzia ufficiale siriana Sana invece «quattro elicotteri da combattimento hanno aperto il fuoco contro civili inermi all’interno di un edificio civile in costruzione, uccidendo un’intera famiglia e tre guardie del cantiere».
Quel che è certo è che l’episodio è avvenuto nella provincia di Abu Kamal, a Sukkariyye, villaggio nei pressi del fiume Eufrate, 550 chilometri a Est dalla capitale Damasco e distante appena otto chilometri dal confine con l’Iraq. La stampa siriana governativa ieri mattina titolava: «Crimine di guerra», e il giornale «al Baath», dell’omonimo partito al potere da 45 anni, sosteneva che «anche mentre si accinge a lasciare la Casa Bianca, l’amministrazione di George W. Bush sembra insistere nel commettere follie politiche».
Ancor più dura la reazione del ministro degli Esteri di Damasco, Walid al Muallim: «È una vera e propria aggressione terroristica condotta da un’amministrazione che adotta la politica del cowboy», ha detto Muallim da Londra, aggiungendo: «Se si dovesse ripetere, ci difenderemo».
Dal comando delle Forze della coalizione in Iraq era ieri mattina giunta un’imbarazzata dichiarazione («Non siamo al corrente di nessun attacco militare in territorio siriano»), mentre nel pomeriggio da Baghdad è intervenuto il portavoce del governo, Ali Dabbagh, anticipando quel che sarebbe poi trapelato anche da Washington: «Si è trattato di un’azione lanciata contro gruppi terroristici ostili all’Iraq. Avevamo già chiesto alle autorità siriane di consegnare i membri di questi gruppi che usano la Siria come base per le loro attività terroristiche contro l’Iraq», ha aggiunto Dabbagh.
L’attacco Usa ha comunque suscitato un polverone di dichiarazioni provenienti da tutte le più importanti cancellerie: condanne dirette a Washington sono arrivate da Teheran, dalla Lega Araba e da Mosca, mentre la Francia ha chiesto che sulla vicenda sia fatta «piena luce». Da Londra, in un comunicato congiunto firmato dal ministro degli Esteri David Miliband e dal suo omologo siriano al Muallim, ci si è limitati a esprimere «rammarico» e la prevista conferenza stampa tra i due è stata annullata perché «sarebbe stata inopportuna

Considerazioni analoge valgono per l'articolo di Roberta Miraglia pubblicato dal SOLE 24 ORE
(Damasco: il raid Usa atto di terrorismo) e per quello di Umberto De Giovannangeli pubblicato da L'UNITA' "L'America conferma il raid. Ira della Siria"
Concentrato sulle reazioni siriane e arabe l'articolo di Sara Volandri su LIBERAZIONE, "Damasco: "Il raid Usa è un crimine di guerra"


Ovviamente Michele Giorgio sul MANIFESTO si fa paladino del regime di Damasco minacciato dal "terrorismo" americano:

La Siria ha definito ieri «criminale e terroristica» l'aggressione subita domenica nel villaggio di Sukkariyya da parte di un commando americano entrato nel suo territorio lungo la frontiera con l'Iraq (almeno otto le persone uccise). «Abbiamo bisogno di sapere perché hanno compiuto quest'aggressione», ha detto il ministro degli esteri Walid Moallem al termine di un colloquio con il ministro degli esteri britannico David Miliband. «Gli americani sappiano che stiamo facendo del nostro meglio», ha aggiunto, in riferimento alle attività della sicurezza siriana per impedire le infiltrazioni di miliziani islamici diretti in Iraq.
Washington, dopo essere rimasta in silenzio per molte ore, ieri ha rivendicato la paternità del raid aereo in territorio siriano. Una fonte governativa anonima ha descritto l'attacco come «un successo» nella lotta contro al Qaida. «Quando si è di fronte ad un'occasione importante, bisogna coglierla. È esattamente quanto le truppe americane aspettavano, in particolare quando si tratta di combattere contro stranieri che entrano in Iraq», ha aggiunto la fonte lasciando intendere che le persone uccise, o almeno una parte di esse, erano un obiettivo di grande importanza. La Cnn da parte sua ha riferito dell'uccisione di un presunto trafficante di armi, Abu Ghaduya. La Siria invece parla di civili morti. Versioni sulle quali probabilmente non verrà fatta mai piena luce. L'attenzione si concentra perciò sul significato politico dell'aggressione e i suoi risvolti sullo scacchiere mediorientale. Un quotidiano siriano, al Thawra, ha denunciato il silenzio arabo sulla vicenda - condanne ufficiali sono arrivate solo da Teheran e da Beirut - domandandosi se esso non «incoraggi le forze di occupazione a commettere qualcosa di più grave».
Certo, nelle ore successive al raid, il segretario generale della Lega Araba Amr Moussa ha condannato l'attacco statunitense e denunciato la «violazione della sovranità siriana», ma l'Arabia saudita è rimasta in silenzio, come le altre petromonarchie. Hanno taciuto anche Giordania ed Egitto, segnalando che i principali alleati di Washington in Medio Oriente hanno gradito la «lezione» data dall'Amministrazione Usa uscente alla Siria. A parziale sostegno di Damasco è invece scesa la Francia, presidente di turno dell'Unione europea, chiedendo che venga fatta «piena luce» sull'attacco. Mosca ha condannato apertamente il raid americano. «Crediamo che attacchi che sono da condannare non dovrebbero essere lanciati sul territorio di Stati sovrani», ha detto il ministero degli esteri russo.
Non deve essere sottovalutato anche l'appoggio che il governo iracheno ha dato al raid. Il portavoce Ali Debbagh ha sottolineato che Baghdad aveva già «chiesto alle autorità siriane di consegnare i membri di questo gruppo che utilizzano la Siria come base per le loro attività terroristiche contro l'Iraq». Il governo nato sotto occupazione quindi si mostra in piena sintonia con Washington e conferma la sua disponibilità a raggiungere l'accordo di sicurezza in discussione con l'Amministrazione Bush che darà a Washington la possibilità di usare l'Iraq come una enorme base militare. «L'attacco a Sukkariyya ha una doppia chiave di lettura - ha detto al manifesto l'analista arabo Mouin Rabbani - la prima è l'evidente intenzione americana di affermare la volontà di continuare la cosiddetta guerra preventiva, colpendo, per la prima volta, la Siria che di recente è uscita dall'isolamento in cui Washington l'aveva costretta a rimanere per anni, peraltro senza poter reagire all'attacco israeliano (subito lo scorso anno, contro un presunto sito di sperimentazione nucleare, ndr)». La seconda, ha aggiunto Rabbani, «è molto legata ai rapporti futuri tra Baghdad e Stati Uniti. Washington ha messo in chiaro quale sarà la strategia militare che attuerà grazie a basi militari (in Iraq) che sono situate tra Siria e Iran, paesi che considera ostili. Tutto ciò mentre varie formazioni politiche irachene sono impegnate a tentare di bloccare un accordo di cooperazione militare che già mostra la sua pericolosità per la stabilità della regione».
Sullo sfondo si muove il presidente siriano Bashar Assad. Se da un lato può vantare alcuni successi diplomatici, soprattutto, nelle relazioni con l'Europa, e politici in Libano. Dall'altro il suo paese, un tempo impenetrabile, si mostra esposto alle infiltrazioni dei qaedisti libanesi e dei servizi segreti stranieri. Nell'ultimo anno in Siria sono stati uccisi il capo militare di Hezbollah, Imad Mughniyeh, e un esponente di primo piano degli apparati di sicurezza, vicino al presidente Assad. Senza dimenticare gli attentati rimasti avvolti nel mistero.


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