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La Stampa Rassegna Stampa
27.10.2008 Intervista al presidente turco Abdullah Gül
sul futuro di un paese chiave del Medio Oriente, sul velo nelle università, sulla questione curda, sui negoziati israelo-siriani...

Testata: La Stampa
Data: 27 ottobre 2008
Pagina: 0
Autore: G. Sporl e D. Steinvorth
Titolo: «Il presidente Gül: cresciamo del sette per cento»
Da La STAMPA del 27 ottobre 2008 un'intervista del settimanale tedesco Der Spiegel al presidente turco Abdullah Gül, che formula anche un'ottimistica valutazione dei negoziati israelo-siriani, mediati da Ankara:«Aiuta avere la fiducia di entrambi gli interlocutori. E tutte e due le controparti stanno lavorando con grande apertura e onestamente per raggiungere un accordo».
Ecco il testo completo dell'articolo:


Con la sua visita in Germania, culminata nel discorso alla Fiera del Libro di Francoforte che aveva quest’anno la Turchia come ospite d’onore, il presidente turco Abdullah Gül ha rafforzato la sua immagine di moderno leader europeo, nonostante le critiche del premio Nobel Orhan Pamuk sullo stato della libertà di espressione nel suo Paese.
Presidente Gül, il partito al governo, l’AKP guidato da Recep Tayyip Erdogan, sta rapidamente modernizzando l’economia. Ma a livello sociale è conservatore, come dimostra per esempio il dibattito sul velo nelle università. C’è una contraddizione?
«Il partito al governo non nasconde certo di essere un movimento conservatore, e democratico. Ma abbiamo anche partiti socialdemocratici e nazionalisti. Quello che conta è che la nostra economia sta crescendo rapidamente negli ultimi anni. Stiamo prosperando e andiamo avanti. Nello stesso tempo, la Turchia è diventata un attore influente nel diffondere la democrazia, i diritti umani e i principi del libero mercato in economia. Il governo sta modernizzando una società largamente musulmana: ciò rende la Turchia uno stato unico al mondo».
Certamente, ma il dibattito sul velo è stato molto aspro.
«Anche il dibattito sul velo tocca il processo di democratizzazione della Turchia, qualcosa che tocca i diritti fondamentali e le libertà civili, compresa la libertà di professare una religione. Il mio Paese è uno Stato democratico e laico. Il fatto che una donna decida di indossare o no il velo è una sua scelta personale. Un argomento viene vissuto in modo emotivo quando i politici si focalizzano su di esso e ne fanno un fenomeno culturale».
La crisi finanziaria mondiale non rischia di annullare i vostri progressi?
«La Turchia è tra i Paesi che ne saranno meno toccati. Nel 2001 abbiamo sperimentato una crisi molto simile. Fummo costretti a investire un quarto del Pil nel settore bancario. Ma quelle scelte hanno pagato, specialmente se guardiano la situazione dal punto di vista attuale. Il settore finanziario turco è diventato molto solido, grazie a quell’intervento e alla supervisione del settore bancario da parte di una agenzia indipendente».
Gli scambi commerciali, però, sono destinati a soffrire, specialmente con i Paesi europei che importano prodotti turchi e che ora sono in difficoltà.
«E molto probabile che le nostre esportazioni declinino il prossimo anno. Negli scorsi sei anni, abbiamo goduto di una crescita media del Pil del 7 per cento annuo, quest’anno abbiamo già previsto che sarà del 4. Ma siamo tra i Paesi europei con il minor deficit di bilancio. A differenza di molti altri Paesi europei, noi rientriamo perfettamente nei criteri di Maastricht».
Ai primi di novembre, l’Unione Europea renderà pubblico il suo ultimo rapporto sui progressi della Turchia verso l’adesione. Ancora una volta sono attese molte critiche, soprattutto sulla lentezza delle riforme.
«È possibile che il rapporto ne parli, e potrebbe anche essere vero, considerando che nel 2008 siamo stati molto occupati in questioni politiche domestiche. Abbiamo accumulato ritardi rispetto ai nostri obiettivi, ma sono fiducioso che recupereremo terreno nel 2009».
A suo parere, quando entrerà la Turchia nell’Unione?
«Non abbiamo fretta. Ma c’è una cosa che dovete considerare: la Turchia è un posto molto diverso rispetto a quello che era nel 2003 e, tra cinque anni, sarà un Paese molto diverso da oggi. La mia nazione affronterà enormi cambiamenti. Quando questo processo sarà finito, la Turchia dovrà prendere una decisione politica: entrare oppure no nell’Unione. A quel punto, ci aspettiamo che ogni Paese onori i suoi impegni e la sua firma».
Lei sta gestendo una politica estera che ha ricevuto molte lodi dagli europei. Non avete più vicini nemici, a parte Cipro.
«Conduciamo una politica estera orientata alla soluzione dei problemi. Non solo i nostri, ma anche quelli dei nostri vicini».
Ankara sta anche facendo da mediatore tra Israele e Siria. Come stanno procedendo i colloqui?
«Aiuta avere la fiducia di entrambi gli interlocutori. E tutte e due le controparti stanno lavorando con grande apertura e onestamente per raggiungere un accordo».
Lo stesso approccio potrà essere applicato per risolvere il conflitto con il Pkk. Perché la questione curda resta una ferita aperta?
«Avete giustamente separato la questione curda dal Pkk. Secondo la nostra costituzione, ogni cittadino turco ha gli stessi diritti. Può avere un incarico pubblico indipendentemente dall’etnia. Nel passato, non lo nego, abbiamo avuto problemi. Molti curdi erano discriminati, non potevano parlare la loro lingua. Tutto ciò è cambiato, i diritti culturali dei curdi sono migliorati».
E il rapporto con il Pkk
«Il Pkk è un’organizzazione terroristica. Ha ucciso molte donne e bambini. Tutti possono rendersi conto che il Pkk sta conducendo una campagna senza pietà e senza scrupoli. Dobbiamo fronteggiarli».
Non ipotizzabili fare come in Irlanda del Nord, dove Tony Blair ha trattato con l’Ira?
«Ci sono molti modi per affrontare il problema del terrorismo. Sono sicuro che i nostri esperti hanno studiato e analizzato l’approccio britannico in Irlanda del Nord».Copyright Der Spiegel

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