Su REPUBBLICA di oggi, 26/10/2008, a pag. 21, con il titolo " E Ratzinger apre agli ebrei, non usare mai il nome Jahvč ", m.pol, firma l'articolo che riportiamo:
CITTA´DELVATICANO - Non nominare il nome di Jahvč invano. Anzi, non usarlo mai. La Chiesa cattolica si mette sulla stessa lunghezza d´onda dell´ebraismo e prescrive a tutti i sacerdoti di non pronunciare mai il nome sacro durante i riti. L´invito, anzi un ordine, č contenuto in una circolare inviata dalla Congregazione per il Culto divino prima dell´estate a tutte le conferenze episcopali. Il documento, non pubblicizzato, č riemerso in margine ai dibattiti sinodali sul legame tra cristianesimo ed ebraismo. Firmato dal cardinale Francis Arinze prescrive tassativamente: «Non si deve pronunciare il nome di Dio sotto la forma del tetragramma YHVH nelle celebrazioni liturgiche, nei canti, nelle preghiere».
Quanto alle traduzioni della Bibbia nelle lingue moderne, che servono alla funzioni liturgiche, il divino tetragramma dovrŕ essere letto come Adonai (ebraico), Kyrios (greco) e dunque Signore, Herr, Lord, Seigneur.
E´ uno dei cardini della tradizione ebraica che il nome di Dio sia indicibile. Solo il Sommo Sacerdote nel Tempio di Gerusalemme poteva pronunciarlo in rare occasioni. Nell´ultima fase, prima della distruzione del secondo Tempio, soltanto nel giorno del Kippur e unicamente in quella sala denominata Santo dei Santi.
Il documento vaticano parte dalla premessa che non si sa nemmeno quale sia la pronuncia esatta. Jahvč? Jahweh? Jave? Jehowah? I testi ebraici, infatti, riportano nella scrittura soltanto le consonanti. Ma questo rimane un dettaglio filologico. La Congregazione per il Culto richiama invece l´attenzione sul fatto che le prime comunitŕ cristiane si sono sempre attenute alla tradizione di ritenere ineffabile il nome di Dio e di renderlo con un altro termine. I primi cristiani, in effetti, hanno adottato la parola che giŕ la traduzione della Bibbia in greco - fatta in pieno ellenismo dagli ebrei grecizzanti - usava: Kyrios, che significa Signore. Ma c´č anche una sottigliezza del magistero papale. Se Signore č il termine che qualifica Jahvč, cioč Dio, allora quando nei testi dei Vangeli e nelle Lettere di san Paolo si legge che Gesů Cristo «č il Signore», questo significa confermare la sua divinitŕ.
E´ indubbio che la decisione vaticana riflette la particolarissima attenzione di Benedetto XVI verso l´ebraismo. E c´č un retroscena. E´ stato il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, andando in udienza da papa Ratzinger il 16 gennaio 2006, a sollevare il problema spiegando al pontefice il disagio dell´ebraismo, quando viene usato nei riti il nome divino. «Il Papa - ricorda oggi Di Segni - si mostrň molto attento e disponibile, dicendo che in realtŕ si trattava di una deviazione dalla tradizione». La risposta papale alla richiesta del rabbino capo si trova nella lettera ai vescovi delle Congregazione per il Culto e non č un caso che la data della firma sia il 29 giugno 2008, festa di Pietro e Paolo, festa del papato. «Per direttiva del Santo Padre» č scritto nel preambolo del documento. E´ una decisione che avvicina molto, dal punto di vista liturgico, la Chiesa cattolica all´ebraismo. «Lo considero un segno di rispetto nei confronti della sensibilitŕ ebraica», commenta Di Segni. D´altra parte l´uso di "Jahvč" č sempre stato piů diffuso fra i protestanti.
Tuttavia non sempre fra gli ebrei dell´antichitŕ il nome divino č stato impronunciabile. Come altri popoli dell´antico Oriente gli ebrei avevano l´abitudine di comporre i nomi propri usando il nome della divinitŕ preferita.
«Jahvč o El o Baal-mi - protegge», ad esempio. Giovanni, Giosuč, Gesů sono tutti nomi del genere, che hanno nella loro radice il termine divino. E sono state trovate anche iscrizioni che invocano espressamente la benedizione di Jahvč (comunque sia stato pronunciato) e persino graffiti che raffigurano il dio Yahvč con la sua (compagna-dea) Asherah. (m. pol.)
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