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La Stampa Rassegna Stampa
22.10.2008 In Giordania un poeta arrestato per "blasfemia", in Iran carcere per una studentessa femminista
storie di libertà negata nel mondo islamico

Testata: La Stampa
Data: 22 ottobre 2008
Pagina: 0
Autore: la redazione - Dariush Parsa
Titolo: «Poeta arrestato per blasfemia - Asha e le sue sorelle in un carcere iraniano»

Un caso per la regina Rania di Giordania, impegnata a difendere i diritti umani nel mondo.
Questa volta, avrebbe l'occasione di occuparsi di una vicenda che riguarda il suo regno:  quello di un poeta arrestato per "blasfemia".

Da La STAMPA del 22 ottobre 2008

Un giovane poeta giordano è stato arrestato perché accusato di blasfemia nei confronti dell’Islam e del suo libro sacro, il Corano. Lo hanno riferito ieri fonti giudiziarie giordane. Le fonti hanno precisato che Islam Samhan, 27 anni, è stato indicato come «blasfemo» dal Gran Mufti di Giordania, Nauh al-Qadah, suprema autorità dell’Islam sunnita del regno hascemita. Secondo le autorità religiose musulmane, la colpa di Samhan, che svolge anche la professione di giornalista, è quella di aver paragonato, in una poesia da lui composta e comparsa in una raccolta pubblicata e diffusa già sei mesi fa, le proprie sofferenze a quelle patite dal profeta Giuseppe durante il periodo di prigionia in Egitto. Se dovesse esser giudicato colpevole, Samhan rischia fino a tre anni di carcere e un’ammenda che può sfiorare i 20.000 euro.

Altro caso di persecuzione della libertà di espressione, in Iran. Ne riferisce Il RIFORMISTA:

Teheran. Non si ferma in Iran la repressione del movimento femminista, una delle forme di dissenso prese di mira negli ultimi tre anni, da quando cioè è presidente Mahmud Ahmadinejad, insieme alle organizzazioni studentesche e sindacali. L’ultima a finire in prigione è stata Asha Momeni, un’attivista che studia negli Usa e che si trovava a Teheran per visitare la famiglia e condurre attività di ricerca. La donna è stata arrestata il 14 ottobre, ma la notizia è circolata solo ieri. «Nonostante sia già in carcere da una settimana - ha detto Mohammad Ali Dadkha, l’avvocato nominato dai familiari - non mi hanno ancora lasciato incontrarla e le accuse non sono state comunicate nemmeno a lei. Tutto ciò è illegale e una violazione dei diritti umani». Un’altra avvocatessa, che ha voluto rimanere anonima perchè non impegnata ufficialmente nella causa, ha detto che alla Momeni è stata concessa soltanto una breve telefonata per far sapere alla famiglia che era stata arrestata. Curiosa la spiegazione dell’arresto data dal quotidiano riformista Kargozaran. «Asha Momeni - ha scritto - è stata fermata dalla polizia stradale per un sorpasso vietato sulla Modarres». Una delle austrade urbane a più alto scorrimento di Teheran. Ma poi lo stesso Kargozaran aggiunge che la giovane è stata «rinchiusa nella sezione 209 del carcere di Evin». Quella dei detenuti politici, come tutti sanno in città. L’improbabile ricostruzione ha suscitato le ironie di altri attivisti. «Evidentemente sono cambiate le sanzioni per gli automobilisti indisciplinati», si legge su un sito Internet. Sebbene i capi di imputazione non siano stati resi noti, negli ambienti femministi si è saputo che Asha Momeni era impegnata nella campagna «Un milione di firme». Un’iniziativa avviata due anni e mezzo fa per raccogliere adesioni ad una richiesta di abrogazione delle leggi ispirate al diritto islamico che limitano i diritti delle donne. Come quella che assegna ad una figlia femmina la metà della parte di eredità dei fratelli maschi, quella che attribuisce alla vita di una donna la metà del valore pecuniario rispetto all’uomo o quella che dà alla sua testimonianza in tribunale la metà del valore rispetto. Ma le attiviste chiedono anche la revisione delle normative riguardanti il matrimonio e il divorzio, che garantiscono agli uomini una posizione dominante e, quasi sempre, la custodia dei figli. La Guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, è intervenuto personalmente lo scorso anno per ammonire le femministe a non «giocare con la Sharia» cioè la legge islamica. Parole accompagnate dai fatti, sotto forma di arresti e dure sentenze della magistratura. Sebbene la maggior parte delle decine di femministe arrestate a partire dal 2006 siano state rimesse in libertà, nel giugno scorso una ragazza di 21 anni, Hana Abdi, è stata condannata a cinque anni di reclusione. Quattro femministe sono state condannate a sei mesi di reclusione e 10 frustate, ma con la sospensione condizionale. Mentre un’altra, Parvin Ardalan, ha avuto due anni, anche in questo caso sospesi, dopo che le autorità di Teheran le avevano impedito di espatriare per andare a Stoccolma, dove avrebbe dovuto ritirare il premio “Olof Palme”. Asha Momeni, laureanda in Comunicazione, Media e Arte presso l’Università statale della California, era arrivata a Teheran due mesi fa. Secondo la Ardalan, stava realizzando un documentario sul movimento femminista. Iniziativa che evidentemente non è piaciuta alle autorità di Teheran. Così come non erano piaciute le attività di quattro irano-americani residenti negli Stati Uniti, incarcerati per diversi mesi nel 2007. Si trattava di Haleh Esfandiari, dell’Istituto di ricerca Woodrow Wilson di Washington, Kian Tajbakhsh, che lavora in un istituto del miliardario George Soros, Ali Shakeri, un imprenditore attivo in un’organizzazione pacifista, e Parnaz Azima, una giornalista di Radio Farda, un’emittente in lingua farsi finanziata dal Congresso Usa. Il timore più volte espresso dalle autorità iraniane è che, con il pretesto di attività culturali, queste persone cerchino di instillare, sotto la direzione di Washington, idee occidentali nella mentalità del popolo, per provocare una «rivoluzione di velluto» come quelle avvenute in Paesi dell’ex blocco sovietico.

Per inviare una e-mail alla redazione della Stampa e del Riformista cliccare sul link sottostante


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