La vignettista palestinese irride Israele, ma tace sulle magagne palestinesi così funziona la satira in una società che non conosce la libertà
Testata: La Stampa Data: 22 ottobre 2008 Pagina: 15 Autore: Francesca Paci Titolo: «Vive a Gaza l’unica vignettista donna del mondo arabo: “Ma sul Profeta non rido”»
Da La STAMPA un articolo di Francesca Paci sulla vignettista palestinese Omayya Juha. La cui satira, che spesso sembra piuttosto un incitamento all'odio e alla violenza, colpisce solo Israele, mai la società palestinese. Così funziona la "libertà di espressione" nel mondo arabo. E' "libertà" di attaccare il "nemico", mai di guardare in modo critico al proprio interno.
Ecco il testo:
All'inizio pensavano tutti che fossi un uomo, Omayya infatti è un nome sia maschile che femminile». Omayya Juha, 36 anni, la più famosa nonché unica vignettista palestinese, siede nell'ufficio all'ultimo piano della casa di produzione cinematografica JohaToon Company, a Gaza City. Sulla scrivania ci sono gli schizzi del suo primo cartoon, «Alia and the Wall» (Alia e il muro), la storia palestinese degli ultimi 4 anni vista con gli occhi di una bambina uguale a quella della foto sul computer, la figlia Nur. Come lei, Omayya adora Ratatouille, Shrek, Toy Story. E pazienza se sono pellicole made in Usa. «La mia meta è un festival europeo» dice temperando la matita con le mani inguantate. Il sogno, emulare il successo di «Valzer con Bashir» il film d'animazione del collega e «nemico» israeliano Ari Folman sulla strage di Sabra e Chatila. Dalla finestra aperta salgono le grida dei ragazzini che giocano alla guerra. Da anni il Palestinian Media Watch Center denuncia l'uso dei cartoon per educare all'odio i minori. Mesi fa l'emittente di Hamas, Al Aqsa tv, arruolò Topolino nella «lotta all'occupazione sionista». Poco dopo toccò a Re Leone, in campo, stavolta, contro i fratelli coltelli di Fatah. Omayya ricaccia una ciocca di capelli sotto il chador blu e fa spallucce: «Il solito trucco di metterci gli uni contro gli altri. Non abbocco. Se caricaturassi i nostri problemi interni riderebbero solo gli israeliani». D'altra parte sarebbe dura canzonare a turno le fazioni palestinesi rivali: Omayya Juha lavora per entrambe. Una vignetta al giorno per Al-Hayat Al-Jadida, il quotidiano dell'Autorità Nazionale Palestinese, due per Al Risala, il settimanale di Hamas, pubblicazioni pungenti con l'avversario ma accomunate da una certa riluttanza all'autoironia. Lei giura di stare nel mezzo, nonostante la sua storia: «Il mio primo marito è stato il martire numero uno della seconda Intifada». E l'attuale lavora con Hamas. «Combattere è una missione, io uso la matita» continua Omayya. Ha cominciato da adolescente, studiando le strisce del connazionale Naji Al-Ali. Nel '97, laurea in matematica in tasca, è approdata ad Al Risala. Tra le vignette che ritiene più riuscite c'è quella sulla battaglia di Zeitun, a Gaza: «Era il 2003, la resistenza aveva tagliato la testa a sei militari israeliani. Disegnai Ariel Sharon che, davanti alla stampa, lodava il busto dei soldati accanto a lui, tornati dalla missione "rasak marfuah", che in arabo significa "fieri" ma anche "senza testa"». Israele non si divertì: «Il giorno dopo colpirono la sede di Al Risala». Omayya Juha si firma Omayya e aggiunge una chiave, la chiave di casa dei rifugiati palestinesi del 1948. Il piano di pace saudita, che ipotizza uno Stato palestinese e uno israeliano lungo la linea del '67, la lascia fredda. Non vede differenza tra il Moshav Tekuma, sorto negli Anni 50 sulle rovine del villaggio dei suoi nonni, e le colonie ebraiche costruite dopo. «Israele non dovrebbe esistere» ha ripetuto in un'intervista al quotidiano israeliano Jerusalem Post. Quanto alla fantomatica solidarietà araba, la racconta nell'ultima vignetta di Al Risala: «C'è un gigante grasso che emette un peto in faccia a un palestinese di Gaza con la bombola del gas da cucina vuota. S'intitola "Il gas arabo"». L'Anti-Defamation League l'accusa d'antisemitismo, gli arabi l'adorano e nel 2003 hanno votato www.omayya.com sito comico dell'anno. Omayya è un brand. S'ispira al collega Baha Boukhari, il cartoonist di Al Ayam condannato dai giudici di Hamas per aver oltraggiato l'Islam disegnando il premier deposto Haniyeh con narici grandi come un gorilla. Ma rifiuta l'idea dell'incompatibilità tra la sua religione e l'umorismo diffusasi dopo la crisi delle vignette danesi su Maometto: «Come caricaturista capisco il punto. Ma noi musulmani abbiamo dei limiti che non possiamo superare». Meglio ridere d'Israele e degli americani.
Per inviare una e-mail alla redazione de La Stampa cliccare sul link sottostante lettere@lastampa.it