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La Stampa Rassegna Stampa
21.10.2008 Così Israele saprà superare il rischio della violenza fratricida
un intervento di Abraham B. Yehoshua, dopo l'attentato a Zeev Sternhell

Testata: La Stampa
Data: 21 ottobre 2008
Pagina: 41
Autore: Abraham B. Yehoshua
Titolo: «Ebreo non uccide ebreo»
Da La STAMPA del 21 ottobre 2008, un articolo di Abraham B. Yehoshua:

Parecchi anni fa il rettore dell’università in cui insegnavo, un rispettabile docente di Scienze politiche, citò un aforisma: «Un ebreo non ne uccide un altro, gli rende solo la vita impossibile». E difatti nella lunga storia della diaspora i casi di omicidio di matrice ideologica commessi da ebrei contro loro confratelli sono rari, anche se episodi poco edificanti saranno certamente sfuggiti agli occhi degli storici. L’assenza di violenza omicida nelle comunità ebraiche è dovuta a tre motivi:
1. Tutti gli ebrei, indipendentemente dal loro credo ideologico, erano, in un modo o nell’altro, minacciati dal milieu nel quale vivevano. Così, nonostante le feroci diversità di opinioni all’interno della comunità, erano costretti a mantenere un minimo grado di solidarietà e di sostegno reciproco, fatto che impediva violenze interne.
2. I temi sui quali si accendevano le divergenze erano essenzialmente di natura ideologica o teologica, non inerenti a un territorio, a questioni di proprietà o a volontà di dominio, fattori scatenanti le guerre civili presso altri popoli sovrani con un loro territorio.
3. Gli ebrei non disponevano di mezzi di predominio sui loro confratelli. Non possedevano un esercito, forze dell’ordine, un sistema carcerario o organi istituzionali in grado di imporre sanzioni punitive. Non potevano reclutare milizie, confiscare beni o condannare all’esilio. Quando Baruch Spinoza, per esempio, disconobbe i principi della religione ebraica, i membri della sua comunità non poterono arrestarlo o sottoporlo a tortura, ma si limitarono a scomunicarlo e a bandirlo dalla comunità e lui poté continuare a condurre una vita relativamente sicura ai margini della società dalla quale era stato allontanato.
Per questi motivi la violenza fra gli ebrei si è sempre manifestata sostanzialmente su un piano intellettuale. Gli ebrei si accanivano l’uno contro l’altro con lettere violentissime, zeppe di ingiurie e invettive, talvolta arrecavano danno ai beni di un avversario o gli procuravano leggere lesioni fisiche, ma erano lontanissimi dal raggiungere il livello di violenza registrato nelle sanguinose guerre civili di molti popoli.
Anche dopo la comparsa dei primi germogli di indipendenza, prima della fondazione dello Stato di Israele, gli ebrei mantennero l’autocontrollo che li aveva caratterizzati negli anni della diaspora. E una volta fondato lo Stato, nonostante possedessero organi istituzionali e strumenti giudiziari e penali, il rifiuto arabo di riconoscere Israele e la minaccia che ne derivava per i suoi abitanti fecero sì che il livello di violenza tra i diversi schieramenti politici si mantenesse basso. Nei sessant’anni di vita di Israele soltanto tre ebrei hanno trovato la morte per mano di loro confratelli per motivi politici, e tutti e tre gli assassini provenivano dalle file della destra. L’omicidio più famoso è, naturalmente, quello del primo ministro Yitzhak Rabin, freddato da un giovane estremista religioso.
Anche nel grande dibattito che da anni divide la società israeliana in merito alla restituzione dei territori conquistati nel 1967 e alla nascita di uno Stato palestinese a fianco di quello israeliano si sono registrati manifestazioni violente e scontri con le forze dell’ordine ma, finora, nessun versamento di sangue. E pure lo sgombero delle colonie e delle basi militari nella Striscia di Gaza è avvenuto con relativa calma.
Nessuno ha mai nemmeno osato toccare gli intellettuali di sinistra che, già quarant’anni fa, in un periodo di attentati terroristici, si esprimevano controcorrente e lanciavano appelli per riconoscere l’Olp e fondare uno Stato palestinese in Cisgiordania. Fra gli esponenti più battaglieri dello schieramento per la pace c’era il defunto professor Yeshayahu Leibowitz, docente di chimica e ebreo osservante, che, pur criticando aspramente i coloni, gli insediamenti nei territori occupati e il governo, rimaneva una figura molto rispettata nella comunità. Nessuno tentò mai di fargli del male e, nonostante le sue posizioni e quelle dei suoi seguaci sollevassero reazioni infuocate, tutti i media gli erano aperti. Lo stesso posso dire di me. Malgrado abbia ricevuto qua e là qualche lettera minatoria per aver espresso opinioni contro la destra e la presenza di coloni nei territori occupati, nessuna porta mi è mai stata chiusa.
L’attentato di un mese fa contro il professor Zeev Sternhell, sopravvissuto alla Shoah, ex ufficiale dell’esercito, insignito del «Premio Israele» e accademico di fama internazionale nel campo della ricerca sul fascismo, segna dunque una svolta nel livello di violenza da parte della destra con l’avvicinarsi di un accordo tra noi e i palestinesi? Così sembrerebbe. Una violenta lotta fratricida è forse alle porte e ciò che avverrà in Israele nei prossimi anni potrebbe ricordare il ritiro francese dall’Algeria alla fine degli Anni Cinquanta. I coloni francesi e i loro difensori in madrepatria fondarono a quel tempo una brutale organizzazione clandestina denominata Oas che compì attentati terroristici contro algerini e francesi sostenitori del governo di De Gaulle. Alcuni ex ufficiali attentarono persino alla vita del presidente De Gaulle, senza successo.
Primi segnali di violenza sono dunque già visibili ma tra Israele e l’Algeria ci sono delle differenze che potrebbero rendere la situazione anche peggiore per noi.
1. Gli algerini non consideravano Parigi e la Francia come loro madrepatria, mentre molti palestinesi ancora credono e sperano in un annientamento dello Stato ebraico.
2. Tra noi e i territori occupati non c’è un mare come tra la Francia e l’Algeria. I simpatizzanti dei coloni potrebbero quindi riversarsi con facilità in Cisgiordania e complicare notevolmente lo sgombero degli insediamenti.
3. L’esperienza dell’evacuazione della Striscia di Gaza tre anni fa non rende più facile un nuovo ritiro, visto che, dopo averla effettuata, Hamas ha cominciato a lanciare razzi su Israele.
4. Infine, almeno per il momento, Israele non ha un leader come De Gaulle in grado di guidare un’operazione tanto complessa in forza della sua autorità, del suo prestigio e della sua visione radicale.
Cosa dunque tiene a freno la violenza e contribuisce a evitare una guerra civile? Secondo me la prolungata esperienza degli ebrei nel risolvere conflitti con negoziati e non con le armi. Se quindi tutti i partiti dell’arco politico, di destra e di sinistra, condanneranno - come hanno fatto nei giorni scorsi - ogni atto di violenza di matrice ideologica di un ebreo contro un altro ebreo, i valori storici del rispetto della vita e della libertà di pensiero potrebbero agire come fattori immunizzanti contro i germi di violenza fratricida che minacciano una possibile e fragile pace nel turbolento Medio Oriente.

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