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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Dan Jaffé Il Talmud e le origini ebraiche del cristianesimo 20/10/2008

Il Talmud e le origini ebraiche del cristianesimo            Dan Jaffé

 Jaca Book                                                                    Euro 32,00

Talmud e cristianesimo: un’accoppiata dal passato burrascoso. Per alcuni secoli, i cristiani il Talmud lo hanno messo in piazza, in bei mucchi, per poi appiccare il fuoco. Le cronache raccontano che nel 1242, a Parigi, furono portati al rogo 24 carri di manoscritti talmudici. Nel 1510 un umanista ebbe il coraggio di far notare che, prima di bruciarli, sarebbe magari stato meglio leggerli. Ma anche quest’osservazione di banale buon senso costò a Johannes Reuchlin un mare di guai. Apostati, delatori e inquisitori non avevano dubbi, il Talmud era stracolmo di sconcezze anticristiane e l’unico rimedio era distruggerlo.

Per una strana ironia della storia, fior di studiosi frugano ora in quelle stesse pagine del Talmud alla ricerca di testimonianze sul cristianesimo. Anche il recente volume di Dan Jaffé, ora tradotto da Jaca Book, appartiene alle indagini sul protocristianesimo more thalmudico. Jaffé si concentra per altro sui primi due secoli dell’era volgare, ovvero sul periodo in cui cristianesimo e giudaismo erano ancora strettamente legati l’un l’altro, e proprio qui nasce il problema principale. I due Talmudim furono infatti redatti tra il IV e il VII secolo, ovvero centinaia di anni dopo l’età che Jaffé vuole lumeggiare, e questa sfasatura, da cui il lettore non viene adeguatamente messo in guardia, crea un’inevitabile deformazione prospettica.

I Talmudim – raccolte amplissime di materiali eterogenei – sono testi a forte contenuto ideologico, ispirati al principio del “dover essere” e, quando furono elaborati, i loro autori avevano preso il controllo della società ebraica. Gli scritti talmudici sono insomma espressione di una classe intellettuale estremamente consapevole, che proiettava sul passato la propria visione del mondo e si attribuiva – ora per allora – le prerogative di élite culturalmente dominante.

Ma le cose stavano davvero così tra il I e il II secolo? Jaffé è sicuro di sì, e la sua ricostruzione delle dinamiche intellettuali, dopo la caduta di Gerusalemme, fa dei maestri ebrei coloro che spinsero i giudeo-cristiani ai margini del giudaismo, con l’approvazione, o per lo meno l’acquiescenza, di quello che egli chiama  genericamente “il popolo” ebraico. Molti indizi extratalmudici inducono invece a credere che, negli anni convulsi seguiti alla fine del Tempio, i rabbi non avessero affatto il dominio dell’ebraismo. Accanto a loro, che si proclamavano eredi dei farisei, continuava a esistere la classe sacerdotale, potentissima prima della disfatta e ora avvilita ma non estinta, mentre il giudaismo ellenizzato manteneva, almeno in parte, la propria vitalità. Lo scontro tra rabbi e proto-cristiani è uno degli elementi della storia giudaica tra il I e II secolo, ma non l’unico, come afferma Jaffé, e il filologo deve avere il coraggio di riconoscere che i contorni esatti di questa lotta sono oscurati, forse per sempre.

Il volume di Jaffé si appoggia su un’ottima padronanza delle fonti rabbiniche, ma mostra i limiti di tutte le ricostruzioni del passato basate esclusivamente su documenti letterari. Rinunciando al confronto con l’archeologia e alle fonti extra-ebraiche, Jaffé presenta un quadro dei rapporti ebraico-cristiani fin troppo coerente, e dai tratti irrimediabilmente stereotipi.

Dopo esser stato considerato un libro-mostro, il Talmud è divenuto di recente un libro-prodigio, da cui si vorrebbe estrarre impossibili certezze storiche. Sarebbe forse ora di prenderlo per quello che è: un libro inquieto, come coloro che lo hanno scritto.

Giulio Busi

Il Sole 24 Ore


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