Scriveva storie di contadini belle come racconti di Maupassant, Irčne Némirovsky, nel villaggio d’Issy-l’Evęque in cui era sfollata nel 1940, in fuga da Parigi occupata. La casa č gelida, e conta 14 stanze. Le galline danno sei uova al giorno; il marito coltiva rape e cavoli che rivende agli amici rimasti nella capitale razionata; e lei scrive “libri postumi”, cercando di rientrare a Parigi, perché ha bisogno dell’oculista – la penuria della carta la costringe a scrivere minutissimamente; soprattutto, vorrebbe convincere gli editori a pubblicarla, e a pagarla: la famiglia ha vissuto, finora, dei suoi proventi.
Ma Parigi č preclusa; ci manda allora la piccola Denise: č cattolica; e chi puň notare una bambina? Ma Denise non riesce a prendere oggetti preziosi dalla casa della nonna che, notoriamente senza cuore, ha cambiato le serrature, da quando Irčne ha fatto sparire certe vecchie pellicce. Perň Denise torna in estasi: č stata a teatro, grazie allo zio, e ha assistito a due allarmi aerei! Ma le sorprese vere la aspettano in campagna. Vede, per la prima volta, la mamma con un ago in mano; sta confezionando una stellina gialla da cucire sul cappottino: ma da quando sono ebree? Lei e la sorellina? Ma se sono battezzate! A scuola comunque le compagne fanno finta di nulla.
E’ André Sebatier – il discreto, autorevole redattore della casa editrice Albin Michel – che andrŕ a trovare Irčne Némirovsky nel suo rifugio di campagna nel Morvan, la Francia profonda. Non il Sud libero: il solito enigma della Némirovsky, che sembra offrirsi volontariamente (“siamo fuggiti tante volte”), dopo i pogrom zaristi, dopo la Rivoluzione russa, alla nuova persecuzione che falcerŕ nell’estate del 1942, ad Auschwitz, lei e il marito. Nella sua gita a Issy, Sebatier lascia un po’ di denaro, e va via con dei manoscritti. Irčne aveva messo le sue carte dal notaio del paese, ma in quel momento le affidň a Sebatier – e in effetti hanno riposato per 63 anni nelle soffitte di rue Huygens, la sede di Albin Michel, dove i biografi e curatori Olivier Philipponnat e Patrick Lienhardt le hanno ora ritrovate.
Sono le varie versioni del primo capolavoro, David Golden, un abbozzo di Cani e lupi, e il racconto – di cui si conosceva appena l’inizio – Il calore del sangue.
E’ un romanzo breve, ma, una volta finito si riprende dall’inizio, per gustare tutti i sintomi e gli indizi sparsi dalla Némirovsky nel testo, e a cui non abbiamo fatto caso tenendo dietro alla malevolenza dei personaggi, alla vernice unica dei paesaggi, ai profumi di campagna (“nella mia grande casa gelida spirano ovunque correnti d’aria cariche dell’odore aspro e fruttato della stagione”). Si sposano due ragazzi, eredi di due agiate famiglie di proprietari terrieri: il soave, e gretto quadro agreste (“ciascuno se ne sta in casa propria, non si fida del vicino, ripone il grano, conta i soldi e non si cura del resto”) si metamorfosa mostruosamente, per via di quel “calore del sangue” che rende i pacifici confinanti – e noi stessi! – insani e assassini. A posteriori, si ripensa a ogni parola, alla disposizione dei personaggi – alla fine, tutto č segno, e ha sensi nuovi; la sagoma di uno stilizzato scontro di generazioni, giovani e vecchi, si complica, e diventa sottile, penetrante; coinvolge la voce narrante e noi che leggiamo. Ma la straordinaria e semplice sapienza compositiva si doppia con la resa del mondo campagnolo (“i salotti sono pieni di mobili e perennemente chiusi”) che la Némirovsky, a Issy, esamina da vicino. E’ davvero grande, questa sua ultima maniera; come un Maupassant, appunto, che avesse le risorse profonde di Tolstoj.